UNIVERSITA’ DEGLI
STUDI DI BERGAMO
GLOBALIZZAZZIONE E
SCIENZE SOCIALI
Venerdì
23 ottobre 2020
Prof: Stefano Tomelleri
Sintesi: Paolo Cugini
Standardizzazione:
standard è un format, un algoritmo che decide chi dobbiamo veder. Non abbiamo
una logica del funzionamento dell’algoritmo, che però ha un’influenza sulla
nostra vita. Lo standard ci crea un ambiente umanamente sostenibile. La
tecnologia ha raggiunto un livello di sofisticazione tale che hanno
prodotto delle antropologie implicite. Ciò significa che accettando gli
standard proposti, si accoglie una particolare visione dell’uomo, un modo di
essere. Dove c’è sicurezza e confort c’è anche perdita della libertà.
O siamo dentro allo standard o siamo fuori. Gli algoritmi
selezionano le notizie, idee, e condizionano il nostro immaginario. La Cina ha
necessità di controllare gli algoritmi. La dittatura teme le altre dittature.
Qual è il ruolo delle agenzie che filtrano le notizie, le immagini che filtrano
le notizie?
Coca cola ha fatto una campagna sul movimento. Per smaltire
un litro di coca-cola ci vogliono 8 ore di attività fisica. Sono i paradossi
dello standard.
La capacità dello Standard è quello di prevedere la
realtà. Gli
standard tolgono lo spazio di libertà, creando l’illusione della libertà. Ciò
non significa che dobbiamo togliere lo standard, perché abbiamo bisogno di
modelli capaci di prefigurare il futuro. Lo standard è stato pervertito in uno
strumento di influenza sulle persone. Occorre capacità critica.
Delirio del non senso, l’arte della fuffa: “mandami un’email”.
Questa è la riproduzione del modello che dobbiamo rendicontare. Chi è il
responsabile dello standard? Scompare nel sistema della standardizzazione.
Mary Douglas, come pensano le istituzioni? (Bologna: Il mulino
1990). Pensano come sistemi organizzativi.
Uno dei grandi temi di Goethe è quello di rendere disponibile
l’anima. Oggi si crea lo scalpore moralistico. Il punto: perché si ritiene che
il tuo corpo diventi disponibile al commercio? È una dimensione culturale.
Marc Augé: c’è una sensazione di eterno presente, senza un futuro, nel
senso che ad un certo punto scompare il pensiero sul futuro che aveva caratterizzato
i grandi sistemi filosofici prodotti nella modernità.
Siamo sempre disponibili h 24. È assurdo. Si è creato il
problema del flusso permanente: devi essere sempre connesso, se no sei fuori.
A questo punto del discorso il problema è: come possiamo riappropriarci del
tempo? Abbiamo reso anche il futuro disponibile. Il passato non esiste più e
quando neghi il passato neghi l’eredità, che è tutto ciò che portiamo dal
passato e dice di un’identità. L’idea
della disponibilità assoluta è nociva alla performance. Porta all’esaurimento
delle persone che sono in una organizzazione. Occorre fermarsi. Occorre
spegnere il cellulare, dice Marc Augé.
L’immigrato arriva nel nostro flusso e ci arriva a piedi pari e rischia
di essere travolto dal capitalismo, da un sistema economico e di pensiero che
non gli appartiene.
Domanda: in questo contesto i legami sociali sono ancora
possibili?
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