Dietro
ad affermazioni stereotipate come: “Vengono
tutti in Italia. Non possiamo accoglierli tutti”, bisogna stare attenti a non
correre il rischio di lasciarsi standardizzare al contrario, di dare per
scontato che si tratti di un’affermazione falsa e, di conseguenza, di non
ascoltare ciò che vuole indicare. Senza dubbio, affermazioni così categoriche e
perentorie, dicono di un immaginario standardizzato e strumentalizzato che cela
interessi di tipo politico e che fa leva sulla così detta “pancia” del popolo,
sulle paure collettive, portatrici di un’immediatezza tale da non permettere il
discernimento della bontà o negatività della notizia. Certamente i numeri
parlano chiaro: nel 2018, i migranti arrivati in Italia sono stati 332
300, poco più di un terzo di quelli arrivati in Germania (893 900) e la metà di
quelli arrivati in Spagna (643 700). La Francia si è attestata su numeri
simili, con 386900 nuovi arrivi nel 2018 (fonte Eurostat 2019). Degli oltre
300000 arrivi totali del 2018, solo 22031 sono arrivati senza documenti sul
territorio italiano. Non c’è traccia, dunque, della tanto proclamata invasione.
C’è però, anche da
considerare il motivo per cui una frase come quella citata all’inizio, trova
una breccia immediata nella coscienza collettiva di un popolo. Se, infatti, quella frase,
come abbiamo visto, contiene falsità eclatanti, allo stesso tempo è in sintonia
con ciò che le persone vedono con i loro occhi. Chi è abituato viaggiare in
treno, senza dubbio si è imbattuto nei bivacchi di persone provenienti da altri
paesi, adagiate sui marciapiedi delle stazioni (Roma, Napoli, Milano, ecc.). Dinanzi
a questi scenari è facile chiedersi il senso di un’accoglienza che non permette
a chi arriva d’inserirsi in un percorso formativo e lavorativo e di buttare il
proprio tempo senza fare nulla. Davvero queste persone sognavano questa vita
quando hanno deciso di partire?
Chi lavora da decenni, come
il sottoscritto, con l’accoglienza di persone provenienti da altri paesi, ha
diverse volte ascoltato la storia di coloro che sono arrivati immaginandosi
qualcosa che poi si è rivelato l’esatto contrario. Ciò è dovuto, anche, alla
narrazione che i compaesani emigrati fanno al ritorno nel proprio paese, nel
quale si sentono obbligati a raccontare meraviglie sul proprio nuovo stile di
vita, nascondendo la realtà di sfruttamenti e di miseria in cui spesso si
trovano a vivere.
Basterebbe, allora,
fermarsi e chiedersi perché i paesi europei non hanno problemi a sborsare
milioni di euro ai paesi in prima linea nell’accoglienza di persone proveniente
dall’Africa (ma poi tirarsi indietro sul tema della redistribuzione di queste
persone e la difficoltà a modificare la convenzione di Dublino), mentre
continuano indisturbati a depredare le risorse minerarie di quegli stessi
paesi. Forse si tratta della fatica a rinunciare ad uno stile di vita, che
necessita del sacrificio di altre vite. Con i soldi si pensa di fare tutto,
persino di addormentare le coscienze. Fino a quando?
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