Paolo Cugini
Gli studi di teologia femminista
hanno ormai da anni raggiunto non solo un livello di scientificità di pregevole
valore, ma stanno portando la comprensione delle dinamiche culturali
stratificate nel testo biblico e nella tradizione ecclesiale, a
risultati impensabili. Del resto, per chi è abituato ad un approccio del testo
biblico veicolato dalla tradizione che è prevalentemente maschile, fa fatica a
cogliere le sfumature che lo sguardo femminile riesce a percepire. E’ strano
pensare che facciamo parte di una tradizione culturale che ha trattato le donne
come inferiori, come degli esseri la cui anima era messa in discussione sino al
VII secolo d.C. C’è stata una concentrazione di mondi che si è unito per
mettere fuori gioco le donne. Le culture che si affacciano sul Mediterraneo e,
in modo particolare quella semitica, greca e romana, non hanno risparmiato
colpi e argomentazioni fantasiose per dimostrare l’inferiorità di quello che in
seguito sarà definito il sesso debole. Da una parte, il pensiero greco ha
preparato le basi filosofiche per l’elaborazione di un’antropologia misogina,
che supportava la già esistente cultura patriarcale. Poi sono arrivati i
romani, con Seneca, Plinio il Giovane e Giovenale, solo per fare qualche nome,
rafforzando l’impostazione antropologica dualista e tendenziosa a favore
dell’uomo, mostrando come proprio questa struttura antropologica giustificava
la subordinazione della donna nei confronti dell’uomo. Subordinazione che
doveva essere ben chiara anche sul piano sociale, nella distribuzione degli
spazi: all’uomo la piazza, alla donna la casa, per accudire i figli e tutto il
resto.
E’ sul piano sociale che si gioca la
battaglia dei sessi. Nel dibattito culturale dei primi secoli del cristianesimo
uno dei temi principali che apparirà già negli scritti del Nuovo Testamento,
sarà la decisione di chi spetta ad insegnare in luogo pubblico. Il tema acquista
significato proprio nell’avvento del cristianesimo, in quanto la casa domestica
diviene il luogo della costituzione delle prime comunità cristiane. Ed è
proprio nella casa, spazio in cui culturalmente la donna non solo è relegata,
ma è chiamata ad assolvere la sua identità, che le comunità cristiane assistono
al protagonismo delle donne, che prendono la parola per insegnare. Il pensiero
cristiano antico, sviluppatosi nell’epoca patristica, utilizzerà tutti gli
strumenti possibili, incalzato anche dalla cultura pagana circostante, per
riportare l’ordine, vale a dire, far tacere le donne. Punto di svolta di questa
involuzione culturale, saranno le parole dell’autore della prima lettera a
Timoteo che intimerà alle donne di tacere: “La
donna impari in silenzio in piena sottomissione. Non permetto alla donna
d’insegnare, né di dominare sull’uomo, rimanga piuttosto in atteggiamento
tranquillo” (1 Tm 2, 11-12).
Da questo momento in avanti, si
costituisce una vera e propria alleanza culturale per dimostrare l’inferiorità
della donna sull’uomo e della necessità dell’uomo di guidare la donna, che le
deve rimanere sottomessa. Ciò che il pensiero patristico aggiungerà
all’abbondante produzione culturale misogina del mondo greco e romano, saranno
non solo l’approfondimento dell’antropologia platonica sul tema, ma soprattutto
la fondazione scritturistica della subordinazione della donna nei confronti
dell’uomo. In primo luogo, si sottolinea il fatto incontestabile che il primo
ad essere creato da Dio fu Adamo e, solo in seguito venne creata Eva, dalla
famosa costola. C’è dunque, una subordinazione che trova il suo avvallo persino
dalla volontà di Dio. Oltre a ciò, e sarà uno dei cavalli di battaglia della
produzione omiletica medievale contro la donna, è fuori discussione che, ad
essere ingannata dal serpente fu proprio Eva e non Adamo. La debolezza naturale
della donna, la sua fragilità fisica e di mente, la sua incostanza e la
conseguente necessità di un uomo per poter realizzare la propria esistenza,
trova d’ora innanzi nel testo biblico un inconfutabile alleato.
Come ha dimostrato Selene Zorzi in un
recente studio[1], la
produzione culturale cristiana nei confronti della donna si scatena arrivando a
livelli parossistici, dopo il 1115 dopo Cristo, vale a dire dopo l’imposizione
del celibato obbligatorio per il clero. “La
marginalizzazione e la denigrazione delle donne sarebbe stata una sorta di
tattica per incoraggiare la continenza del celibato”[2].
Uno dei testi più famosi e più ripugnati di questa squallidissima produzione
culturale cristiana, che la dice lunga sulle strutture patriarcali e misogine
messe in atto per secoli dalla chiesa, è la predicazione di Pier Damiani
dell’XI secolo: “Dico a voi, incantatrici
dei chierici, voluttuosa carne del diavolo, che avete gettato fuori del
paradiso, voi, pozione delle menti, spade delle anime, veleno di chi beve e dei
banchetti, materia del peccare, occasione del perdersi […] Venite ora,
ascoltatemi, puttane, prostitute con i vostri baci lascivi, voi luoghi in cui
si avvoltolano grassi porci, giacigli per spiriti impuri, semidee, sirene,
streghe […]”[3].
Leggere questi brani aiuta a capire
come mai la chiesa fa così fatica ad ammettere le donne al sacerdozio
ministeriale. Ci sono stati molti secoli di predicazione del genere, di
manipolazione della realtà, di alleanze culturali che hanno relegato la donna
non solo in casa, ma nei bassifondi della storia. La stratificazione
paternalista e misogina in Occidente è entrata così in profondità da convincere
le stesse donne ad essere inferiori. Basta sfogliare le pagine di alcuni testi
prodotti in ambito cristiano, che incitano le donne a rimanere sottomesse agli
uomini per essere felici davanti a Dio, per rendersi conto del disastro
culturale e spirituale messo in atto. La donna serve alla riproduzione e alla
cura dei figli e della casa: punto e a capo. Questa impostazione resterà
normativa per tutto il medioevo fino a tempi recenti. L’unica differenza che si
manifesta in epoca moderna sarà quella della perdita d’importanza dell’argomentazione
antropologica a favore dell’argomentazione basata sui ruoli sociali.
L’obiettivo esplicito di queste argomentazioni sarà quella di giustificare
l’esclusione della donna dall’ordinazione sacerdotale. In tutta l’epoca moderna
continua l’opera denigratoria nei confronti delle donne considerate volubili e
deboli d’animo, incostanti e troppo loquaci: tutti argomenti considerati
ostacoli all’ordinazione.
Sfogliando la letteratura cristiana
dell’epoca patristica, medievale e moderna sul tema del ruolo della donna nella
società, oltre a rimanere allibiti per il vuoto delle argomentazioni e la
cattiveria nei loro confronti, si percepisce l’assenza totale di argomentazioni
significative nei confronti del tema così delicato dell’esclusione delle donne
dall’ordinazione sacerdotale. Senza dubbio, si percepisce che il clima
fortemente ostile creato nei secoli, rendeva difficile, direi impossibile un
loro inserimento nella gerarchia ecclesiale. Oggi però, non si giustifica più.
Si tratta, infatti di argomenti culturali, tra l’altro argomentazioni di
bassissimo livello, persino ripugnanti nei confronti delle donne e non di
elementi significativi su cui poggiare una decisione così ferma.
A mio parere l’ammissione delle donne
al ministero sacerdotale nella chiesa cattolica sarebbe un gesto profetico. In
un clima culturale sempre più ostile alle donne, che le vede sempre di più
deboli, oggetto sessuale più che persone, inferiori al punto da non ricevere lo
stesso salario degli uomini quando realizzano lo stesso lavoro, ma più basso,
un clima che sembra confermare tutti i pregiudizi misogini della cultura
patriarcale occidentale, l’ammissione delle donne al ministero sacerdotale
sarebbe un gesto in controtendenza, che farebbe riflettere molto. Vorrebbe,
infatti dire, che la chiesa dalle parole è passata ai fatti. Dalle parole dei
documenti ufficiali, in cui si esalta il “genio femminile”, al fatto di considerarla
degna di assumere ruoli ritenuti da sempre esclusivi per gli uomini. Del resto,
la Bibbia è piena di questi gesti profetici, di segni che provocano il popolo
d’Israele, segni che indicano un cammino nuovo, che rivela, allo stesso tempo,
l’erroneità del vecchio. La profezia viene dalla capacità di guardare lontano,
dalla forza di liberarsi dalle chiusure asfittiche del tempo presente, delle
logiche di potere nelle quali si rimane avvinghiati. La profezia è sempre la
vittoria della misericordia sulla durezza della legge, è lo spazio offerto allo
Spirito di entrare nella storia degli uomini e delle donne per sconvolgerlo,
riorganizzarlo. La profezia è segno di libertà che apre cammini nuovi,
sull’esempio di ciò che realizzava Gesù. La profezia è forza di smascheramento
della religione degli uomini che offusca la bellezza liberante della Parola di
Dio con tradizioni umane, dalla logica perversa, che discrimina e mette gli uni
contro gli altri.
E’ di questa profezia che noi oggi
abbiamo bisogno. Ed è proprio questa profezia che noi oggi attendiamo dalla
chiesa: la profezia del sacerdozio femminile. Per togliere ogni dubbio, per
smascherare tutti gli inganni. Per poter dire con chiarezza, che se nel mondo
c’è ancora chi ritiene la donna inferiore all’uomo, noi no. Se c’è ancora che
ritiene la donna incapace d’insegnare e spiegare la Parola di Dio in pubblico,
noi no. Se c’è ancora qualcuno che sostiene che la donna non è capace di
condurre una comunità, che non ha carisma sufficiente per discernere e
orientare, noi diciamo chiaramente che non è vero. Carissima chiesa, noi ti
chiediamo: non lasciarci senza argomenti. Soprattutto, però, ti chiediamo: non
negarci questa profezia.
[1] ZORZI, S., Al di là del “genio
femminile”. Donne e genere nella storia della teologia cristiana, Carocci,
Roma 2015
[2] Ivi, p. 142
[3] Ivi p. 146
Almeno non riciclare la storiella che per secoli si sia dubitato dell'anima delle donne. Qualche gnostico, forse, ma non certo i cristiani e la Chiesa. Attento poi a non buttare via così Pier Damiani: per il rapporto fede/ragione è un precursore del "pensiero debole". Inoltre sui preti e sui religiosi ha scritto cose ancora più tremende di quelle che ha scritto sulle donne. Magari potrebbe piacerti...
RispondiEliminaDa laico, poi, che non si ritiene inferiore ai preti, non capisco perché la condizione della donna si innalzerebbe se la si facesse diventare prete: ci vedo il pregiudizio clericale che considera i preti superiori agli altri umani, uomini o donne che siano.
Con il solito affetto (e sai che non lo dico per finta),
Adriano Nicolussi
Carissimo Adriano,quella dell'anima delle donne é molto piú di una storiella: basta documentarsi un pó. Per quanto riguarda Pier Damiani conosco chi é e l'importanza del suo pensiero e proprio per questo l'ho citato. Se uno come lui arriva a scrivere quella roba sulle donne vuole dire che il livello del dibattitto sulle donne era veramente manipolato e filtrato dalla cultura patriarcale.
EliminaPer quanto riguarda il sacerdozio femminile non ho parlato d'innalzamento (forse é tuo il pregiudizio): é semplicemente un problema di eguaglianza in una comunitá di fratelli e sorelle uguali