E' uscito in questi giorni il nuovo libro sul pensiero di Charles Péguy e, qui di seguito, propongo alcuni paragrafi presi dall'introduzione
INTRODUZIONE
In un clima culturale di transizione, com'è quello nel quale stiamo vivendo, si tende a rovistare nel passato per
trovare quei barlumi di luce che possono contribuire a portare un po’ di
chiarezza. La post modernità, sia intesa come momento conclusivo del moderno sia
come dissoluzione interna dei valori della modernità, chiama sul banco degli
imputati il moderno.
Non è allora un caso se, a partire da questo
sfondo, vengono alla ribalta nel dibattito culturale odierno, autori che
offrono spunti critici nei confronti della modernità. Péguy è certamente un
autore che si presta ad una tale operazione critica. La sua opera è, infatti,
contrassegnata da una puntuale disamina nei confronti di ogni simbolo del mondo
moderno. Sfogliando le pagine soprattutto della sua opera filosofica, si
ritrovano anticipate le critiche alla modernità che hanno caratterizzato il
dibattito filosofico sulla post modernità degli ultimi decenni. La critica al
metodo moderno, alla possibilità di controllare la realtà e di dirigerla dove
si vuole, oltre ad essere l’espressione dell’arroganza culturale tipica di quell'Occidente che ha preteso di ordinare il mondo, è anche allo stesso tempo
il segno di una perdita di senso, di contatto con la realtà. Il contatto con
altri mondi, con altre culture e altri popoli, che anche chi non è abituato a
viaggiare è costretto a vivere a causa della fortissima spinta migratoria in
atto, che vede coinvolti milioni di persone in tutti i continenti, ci permette
di verificare quotidianamente la fragilità delle presunzioni moderne. La
pluralità delle visioni, dei modi di dire e di narrare la realtà, è spesso
stata identificata come apertura alle derive relativiste e, di conseguenze, un
ostacolo per la comprensione della verità. Abituati da millenni a leggere la
realtà con gli schemi della logica aristotelica, del principio di non
contraddizione, facciamo ancora oggi molta fatica a vedere nella posizione
differente dalla nostra, nel punto di vista altro, non un limite, una
limitazione, una contraddizione, ma un valore, un aspetto di verità da porre a
lato del nostro, senza voler a tutti i costi fare una sintesi. Questo
discorso non vale solamente per quella
che potremmo definire la cultura laica, ma anche per la teologia, per la
religione. Infatti, il modo di vedere la realtà elaborato nei secoli dalla
cultura Occidentale, ha lentamente assorbito anche il modo di confrontarsi con
il divino. La verità dell’essere da Parmenide in poi, è sempre percepita in
contraddizione al non essere. Anche se il mistero dell’Incarnazione sconvolge
tutte le logiche di questo mondo, riusciamo, comunque sempre, come direbbe
Péguy, a narcotizzarlo, a escogitare un modo d’interpretarlo che non sfugga
dalle logiche della razionalità moderna.
La storia degli ultimi decenni ha
spazzato via tutte le certezze pensate dalle meta-narrazioni moderne. E così,
ciò che sembrava ineluttabile, come ad esempio la lettura marxista della realtà
o la possibilità di calcolare il progresso economico e di debellare la fame nel
mondo, si è rivelato con il tempo piuttosto relativo. I mutamenti climatici, i
disastri ambientali, stanno dimostrando giorno dopo giorno che non è possibile ingabbiare
la natura tra stretti procedimenti matematici. La realtà esige di essere
ascoltata. Non si possono fare i conti senza l’oste. Quello che è sotto gli
occhi di tutti è un mondo che più che essere ascoltato, è stato interpretato. Si
è voluto che il mondo, la realtà, la natura prendesse quella direzione pensata
a tavolino. Si è voluto a tutti i costi che la realtà obbedisse alle operazioni
dei sistemi Occidentali, alle logiche delle meta-narrazioni. La volontà di
potenza Occidentale si è scontrata con la realtà della natura. Senza dubbio
questo modo di affacciarci alla realtà è frutto anche di un antropocentrismo
malato di protagonismo, slegato cioè dal contesto nel quale l’uomo e la donna
sono inseriti, vale a dire la natura. La storia di questi ultimi decenni ci sta
insegnando che non possiamo pensare di prevedere il futuro dell’umanità
escludendo dai nostri calcoli la realtà, la vita. Soprattutto però, questa
triste e drammatica esperienza che stiamo vivendo c’insegna che la vita, la
natura, la realtà sfuggono al tentativo di essere ingabbiate e interpretate da
una sempre serie di logiche. C’è tutta un’imprevedibilità che la vita porta con sé che, più che interpretata dev'essere ascoltata, accompagnata. Cercare un
pensiero che ha percorso questo cammino, che si è messo in ascolto della
realtà, che ha considerato la pluralità dei punti di vista come una ricchezza
più che un limite, che in definitiva si è messo a servizio della vita e della
natura più che servirsi di essa: è questo, forse uno dei grandi compiti della
cultura Occidentale.
Se ancora oggi sfogliamo le pagine di
Péguy è proprio per questi motivi. Nella sua opera infatti, oltre ad una
critica serrata al metodo moderno, troviamo soprattutto interessanti
indicazioni di metodo per ascoltare la realtà, per valorizzare la pluralità.
Assieme all’analisi puntuale dei danni provocati dalla mentalità moderna
soprattutto all’interno della cultura francese – bellissime sono le pagine sulla
vita contadina nelle campagne francesi -, troviamo in Péguy una lucidità
intellettuale capace di mostrare con precisione le cause delle faglie del
metodo moderno. Sappiamo e in parte documenteremo, il grande debito filosofico
che Péguy ha con Henry Bergson. E' a partire, infatti, dal bagaglio teoretico
offerto dalla filosofia di Bergson che Péguy sarà in grado di offrire ai suoi
lettori le chiavi ermeneutiche necessarie per interpretare il suo tempo. In
ogni modo, sarà a partire da questo fecondo incontro culturale che Péguy
riuscirà a trovare o, meglio, per dirla con Bergson, a intuire il cammino da
percorrere per capire e mostrare le faglie del metodo moderno e di tutta la sua
produzione. Significativo a questo punto notare che il particolare percorso esistenziale
di Péguy, lo conducono a spostare la sua riflessione e la sua profonda analisi
della realtà dal piano politico a quello religioso. Gli anni successivi alla
sua conversione religiosa imprimeranno una profondità spirituale che lo
condurranno a rileggere la Sacra Scrittura con occhi nuovi, gli occhi appunto
del metodo intuitivo appreso da Bergson e messo a punto negli anni delle sue
battaglie polemiche a tutti i i livelli con gli uomini di cultura del suo
tempo.
Affascinanti sono le pagine che Péguy dedica alla riflessione sui vangeli. Come nelle pagine di
poesia e di prosa, anche in queste più specificamente spirituali o, per alcuni,
mistiche, Péguy riesce a scoprire novità di significati e di contenuti,
analizzando testi ascoltati da sempre e che in apparenza non avrebbero la
possibilità di dire nulla di nuovo. Se è vero che, come vedremo, è importante
ascoltare la realtà, senza volerla anticipare con angusti sistemi di pensiero
che rischiano costantemente di reprimerla, lo stesso vale nel rapporto con la
Sacra Scrittura. Troppe volte, secondo Péguy, si è trattato la Scrittura come
se fosse un pezzo di materia freddo e distaccato, anticipandone il senso
attraverso una griglia concettuale. Ascoltare la Scrittura, come vederemo in
seguito, significa per Péguy anzitutto liberarla dagli schemi freddi del metodo
moderno, per seguirla pazientemente dove lei vuole condurre il lettore, e cioè
alla conversione nel cuore. Questa
relazione stretta tra filosofia e religione, tra metodo intuitivo e poesia, ci
sembra una delle caratteristiche specifiche dell’opera di Péguy.
Il problema che a questo punto si
pone a livello ermeneutico consiste nel cogliere il modo con il quale s’intende
leggere e capire l’opera Péguy. Non è possibile, infatti, avvicinare un’opera
così profonda e allo stesso tempo così poliedrica, come è quella del nostro
autore, esclusivamente per sottolineare eventuali simpatie o affinità di
vedute. Simili operazioni culturali rischiano non solo di decurtare
l’integralità di un messaggio, quanto soprattutto di distorcerne il senso
autentico. Del resto, Péguy sembra abituato a simili strumentalizzazioni. Se,
infatti, si sfogliano le pagine dei suoi biografi, lo si trova tratteggiato con
le sfumature più disparate: anarchico, socialista, comunista, rivoluzionario,
reazionario, cattolico, mistico. Dinnanzi ad una tale varietà di opinioni viene
spontaneo chiedersi chi sia realmente Péguy e quale sia in sostanza il suo
messaggio. E' proprio questo che le pagine del libro cercano di scoprire.
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