Paolo Cugini
La
proposta ecclesiale di Francesco non nasce da un lavoro di studio, ma dalla sua
pratica pastorale, in una costante relazione circolare tra i due momenti. La novità
di quello che Papa Francesco dice e fa, novità nel suo modo di vivere il
papato, d’interpretarlo, suscita la curiosità sulle sue fonti. Il suo stile
popolare e immediato è in continuità, così come ce lo hanno dimostrato le
biografie, le omelie e i discorsi del periodo in cui è stato arcivescovo a
Buenos Aires e le testimonianze fatte su di lui, con il gesuita prima, e poi il
vescovo e il Cardinale Jorge Mario Bergoglio.
Dopo alcuni anni del suo
pontificato, ci si rende conto che la proposta ecclesiale di Papa Francesco non
è improvvisata, ma viene da molto lontano, si radica nel suo particolare
percorso spirituale e culturale, s’intreccia con le scelte fatte nel tempo, che
hanno plasmato un particolare modo di essere pastore, attento ai poveri, aperto
al dialogo, capace di parlare al cuore della gente. Francesco sta riproponendo
con i gesti e le parole la grande intuizione del Concilio Vaticano II della
Chiesa come popolo di Dio. Il capitolo II della Lumen Gentium, Chiesa popolo di Dio, che precede il capitolo sulla
struttura gerarchica della Chiesa, lo ha spiegato al mondo non con un trattato
di ecclesiologia, ma dichiarandosi, appena eletto papa, come vescovo di Roma e
chiedendo la benedizione del popolo fedele accorso in piazza san Pietro per
l’evento, prima di impartirla lui stesso. Lo stesso si può dire per la proposta
di una Chiesa dei poveri, vagheggiata durante il Concilio Vaticano II espressa,
in parte, nel numero 8 della Lumen
Gentium ma, soprattutto, nel patto delle Catacombe.
L’attenzione del Papa
per i poveri, visibile non solo nell’incontro personale con loro, ma anche
nelle sue scelte personali di mantenere un profilo sobrio e semplice,
rinunciando ai privilegi che la sua posizione richiederebbe, la troviamo come
stile costante sia come gesuita che come arcivescovo di Buenos Aires. Austen
Ivereigh racconta, nella sua biografia sulla vita di Jorge Mario Bergoglio, il
costume che aveva nei fine settimana di visitare i quartieri poveri di Buenos
Aires, al punto che era molto più conosciuto dalle persone povere di questi
quartieri che dalle persone dell’alta borghesia che viveva nei quartieri
ricchi. Gesti che dicono di scelte maturate nelle lunghe ore di preghiera
mattutina, di frequenza costante del Vangelo, assimilando lo stile di Gesù, il suo
pensiero il suo modo id essere[1].
Con Francesco, i gesti
sono la chiave ermeneutica dei testi: si trasmette ciò che si vive, e si vive
ciò che si è assimilato nel silenzio della preghiera, nel rapporto personale
con il Signore. Questa stessa modalità ermeneutica la troviamo in tantissime
pagine della vita di Bergoglio. Nel periodo in cui era rettore della Facoltà di
teologia e filosofia di san Miguel (1976), inizia un lavoro di riforma
integrale del programma di formazione degli studenti gesuiti, strumento
fondamentale della strategia di rifondazione della provincia di cui era
superiore (1973-1979). Oltre alla revisione del programma di studi, Bergoglio
propose un impegno pastorale specifico tra la popolazione locale. Essere a
servizio dei poveri durante i fine settimana avrebbe permesso agli studenti
gesuiti di conoscere la realtà, di entrare in contatto con il popolo di Dio.
«Nella nostra testa noi siamo re e grandi
signori – diceva Bergoglio in un discorso di quel periodo – e chiunque si
dedichi esclusivamente a coltivare la propria fantasia non riuscirà mai a
sentire l’urgenza del “qui e ora”. Il lavoro pastorale nelle nostre parrocchie,
invece, è l’opposto». Bergoglio trasmise agli studenti
gesuiti quell’importanza di frequentare i poveri che lui stesso viveva ogni
giorno. Sfogliando le pagine delle biografie, dei discorsi e delle omelie di
Bergoglio, si rimane profondamente colpiti dalla radicalità delle scelte di un
uomo immerso nel Vangelo, desideroso di seguire le orme del Signore per
assimilare il suo stesso modo di vedere il mondo. Non a caso, uno dei
ritornelli che papa Francesco ripete soprattutto quando s’incontra con dei
sacerdoti e che ripeteva ai gesuiti e ai sacerdoti di Buenos Aires è lo sforzo
di fuggire dalla mondanità Spirituale.
Bergoglio rimase profondamente colpito
dalla lettura della Meditazione sulla
Chiesa del teologo francese Henri de Lubac, il quale riteneva che la
mondanità spirituale è qualcosa d’infinitamente più disastroso di qualsiasi
mondanità di ordine puramente morale, «Una forma di antropocentrismo religioso che utilizza la Chiesa a fini
temporali – per guadagni politici o personali – trasformandola così in uno
strumento per le macchinazioni umane e oscurando il volto di Cristo, la cui
rivelazione è la stessa raison d’etre
della Chiesa». La vicinanza ai poveri significa per Bergoglio
attenzione alla realtà, che permette di smantellare dal di dentro le
costruzioni ideologiche di tipo politico, sociale e religioso.
È stata la
frequenza costante dei quartieri poveri di Buenos Aires che ha permesso a
Bergoglio di comprendere i malefici di un sistema economico che non solo
allarga sempre di più la forbice tra i pochi ricchi e una moltitudine immensa
di poveri, ma incentiva il sistema di corruzione a tutti i livelli. È toccando
la carne reale dei poveri che Bergoglio comprende la falsità del discorso
politico-economico sul mercato finanziario che si autoregola e, aumentando la
ricchezza, la distribuisce a chi non ne ha. Quello che lui incontrava e vedeva
nei quartieri poveri assieme ai giovani seminaristi gesuiti a metà degli anni
’70 prima e con un gruppo di sacerdoti negli anni ’90 come vescovo ausiliare
prima e poi come arcivescovo di Buenos Aires, era ben altro. Soprattutto dopo
la spaventosa crisi economica del 2001 che mise l’economia argentina in
ginocchio, mentre lo Stato si contraeva e si chiudeva sempre di più in sé
stesso, la Chiesa di Buenos Aires espandeva enormemente le proprie attività.
Bergoglio aumentò da otto a ventisei il numero di preti delle baraccopoli, e
lui stesso passava almeno un pomeriggio alla settimana in una di queste. Era
questo a fare la differenza. Bergoglio era un vescovo che non si limitava a
impartire degli ordini, ma quello che chiedeva veniva da un’esperienza
condivisa. Ecco perché, mentre i potenti non lo vedevano di buon occhio per
questo suo stile che gli permetteva anche critiche puntuali sul sistema
politico corrotto, era estremamente amato sia dai preti giovani che dalle
persone povere del popolo delle baraccopoli.
L’arcivescovo Bergoglio si
permetteva di richiamare lo Stato a ascoltare la gente comune, perché lui lo
stesso lo faceva per primo.
[1]
Austen Ivereigh riporta nella
sua biografia su Bergoglio, la positiva sorpresa che suscitò tra i partecipanti
della messa di domenica19 marzo, la prima come Papa. «Il Cardinal Christoph Schonborn, di Vienna, era in lacrime durante
l’omelia e sussurrò al Cardinal Timothy Dolan, di New York: “Tim, parla come
Gesù”. “Chris, credo sia proprio il suo mestiere” rispose Dolan», in: a.
Ivereigh, Tempo di misericordia. Vita di
Jorge Mario Bergoglio, cit. p. 421.
È bello leggere,rileggere e riflettere su ciò che scrivi e ricordare che abbiamo un Papa(Padre e Fratello)così a immagine del Cristo!
RispondiEliminaNon dovremmo dimenticare la sua straordinarieta' di uomo in mezzo a tutta l'umanità.
Teresa
Papa Francesco non parla "del" Vangelo ma parla "il" Vangelo
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