sabato 17 novembre 2018

AVERCELI DEI VESCOVI COSI'. ALLE ORIGINI DELLO STILE DI PAPA FRANCESCO






Paolo Cugini


La proposta ecclesiale di Francesco non nasce da un lavoro di studio, ma dalla sua pratica pastorale, in una costante relazione circolare tra i due momenti. La novità di quello che Papa Francesco dice e fa, novità nel suo modo di vivere il papato, d’interpretarlo, suscita la curiosità sulle sue fonti. Il suo stile popolare e immediato è in continuità, così come ce lo hanno dimostrato le biografie, le omelie e i discorsi del periodo in cui è stato arcivescovo a Buenos Aires e le testimonianze fatte su di lui, con il gesuita prima, e poi il vescovo e il Cardinale Jorge Mario Bergoglio. 
Dopo alcuni anni del suo pontificato, ci si rende conto che la proposta ecclesiale di Papa Francesco non è improvvisata, ma viene da molto lontano, si radica nel suo particolare percorso spirituale e culturale, s’intreccia con le scelte fatte nel tempo, che hanno plasmato un particolare modo di essere pastore, attento ai poveri, aperto al dialogo, capace di parlare al cuore della gente. Francesco sta riproponendo con i gesti e le parole la grande intuizione del Concilio Vaticano II della Chiesa come popolo di Dio. Il capitolo II della Lumen Gentium, Chiesa popolo di Dio, che precede il capitolo sulla struttura gerarchica della Chiesa, lo ha spiegato al mondo non con un trattato di ecclesiologia, ma dichiarandosi, appena eletto papa, come vescovo di Roma e chiedendo la benedizione del popolo fedele accorso in piazza san Pietro per l’evento, prima di impartirla lui stesso. Lo stesso si può dire per la proposta di una Chiesa dei poveri, vagheggiata durante il Concilio Vaticano II espressa, in parte, nel numero 8 della Lumen Gentium ma, soprattutto, nel patto delle Catacombe. 

L’attenzione del Papa per i poveri, visibile non solo nell’incontro personale con loro, ma anche nelle sue scelte personali di mantenere un profilo sobrio e semplice, rinunciando ai privilegi che la sua posizione richiederebbe, la troviamo come stile costante sia come gesuita che come arcivescovo di Buenos Aires. Austen Ivereigh racconta, nella sua biografia sulla vita di Jorge Mario Bergoglio, il costume che aveva nei fine settimana di visitare i quartieri poveri di Buenos Aires, al punto che era molto più conosciuto dalle persone povere di questi quartieri che dalle persone dell’alta borghesia che viveva nei quartieri ricchi. Gesti che dicono di scelte maturate nelle lunghe ore di preghiera mattutina, di frequenza costante del Vangelo, assimilando lo stile di Gesù, il suo pensiero il suo modo id essere[1]
Con Francesco, i gesti sono la chiave ermeneutica dei testi: si trasmette ciò che si vive, e si vive ciò che si è assimilato nel silenzio della preghiera, nel rapporto personale con il Signore. Questa stessa modalità ermeneutica la troviamo in tantissime pagine della vita di Bergoglio. Nel periodo in cui era rettore della Facoltà di teologia e filosofia di san Miguel (1976), inizia un lavoro di riforma integrale del programma di formazione degli studenti gesuiti, strumento fondamentale della strategia di rifondazione della provincia di cui era superiore (1973-1979). Oltre alla revisione del programma di studi, Bergoglio propose un impegno pastorale specifico tra la popolazione locale. Essere a servizio dei poveri durante i fine settimana avrebbe permesso agli studenti gesuiti di conoscere la realtà, di entrare in contatto con il popolo di Dio.
«Nella nostra testa noi siamo re e grandi signori – diceva Bergoglio in un discorso di quel periodo – e chiunque si dedichi esclusivamente a coltivare la propria fantasia non riuscirà mai a sentire l’urgenza del “qui e ora”. Il lavoro pastorale nelle nostre parrocchie, invece, è l’opposto». Bergoglio trasmise agli studenti gesuiti quell’importanza di frequentare i poveri che lui stesso viveva ogni giorno. Sfogliando le pagine delle biografie, dei discorsi e delle omelie di Bergoglio, si rimane profondamente colpiti dalla radicalità delle scelte di un uomo immerso nel Vangelo, desideroso di seguire le orme del Signore per assimilare il suo stesso modo di vedere il mondo. Non a caso, uno dei ritornelli che papa Francesco ripete soprattutto quando s’incontra con dei sacerdoti e che ripeteva ai gesuiti e ai sacerdoti di Buenos Aires è lo sforzo di fuggire dalla mondanità Spirituale. 
Bergoglio rimase profondamente colpito dalla lettura della Meditazione sulla Chiesa del teologo francese Henri de Lubac, il quale riteneva che la mondanità spirituale è qualcosa d’infinitamente più disastroso di qualsiasi mondanità di ordine puramente morale, «Una forma di antropocentrismo religioso che utilizza la Chiesa a fini temporali – per guadagni politici o personali – trasformandola così in uno strumento per le macchinazioni umane e oscurando il volto di Cristo, la cui rivelazione è la stessa raison d’etre della Chiesa». La vicinanza ai poveri significa per Bergoglio attenzione alla realtà, che permette di smantellare dal di dentro le costruzioni ideologiche di tipo politico, sociale e religioso. 

È stata la frequenza costante dei quartieri poveri di Buenos Aires che ha permesso a Bergoglio di comprendere i malefici di un sistema economico che non solo allarga sempre di più la forbice tra i pochi ricchi e una moltitudine immensa di poveri, ma incentiva il sistema di corruzione a tutti i livelli. È toccando la carne reale dei poveri che Bergoglio comprende la falsità del discorso politico-economico sul mercato finanziario che si autoregola e, aumentando la ricchezza, la distribuisce a chi non ne ha. Quello che lui incontrava e vedeva nei quartieri poveri assieme ai giovani seminaristi gesuiti a metà degli anni ’70 prima e con un gruppo di sacerdoti negli anni ’90 come vescovo ausiliare prima e poi come arcivescovo di Buenos Aires, era ben altro. Soprattutto dopo la spaventosa crisi economica del 2001 che mise l’economia argentina in ginocchio, mentre lo Stato si contraeva e si chiudeva sempre di più in sé stesso, la Chiesa di Buenos Aires espandeva enormemente le proprie attività. Bergoglio aumentò da otto a ventisei il numero di preti delle baraccopoli, e lui stesso passava almeno un pomeriggio alla settimana in una di queste. Era questo a fare la differenza. Bergoglio era un vescovo che non si limitava a impartire degli ordini, ma quello che chiedeva veniva da un’esperienza condivisa. Ecco perché, mentre i potenti non lo vedevano di buon occhio per questo suo stile che gli permetteva anche critiche puntuali sul sistema politico corrotto, era estremamente amato sia dai preti giovani che dalle persone povere del popolo delle baraccopoli.
 L’arcivescovo Bergoglio si permetteva di richiamare lo Stato a ascoltare la gente comune, perché lui lo stesso lo faceva per primo.


[1] Austen Ivereigh riporta nella sua biografia su Bergoglio, la positiva sorpresa che suscitò tra i partecipanti della messa di domenica19 marzo, la prima come Papa. «Il Cardinal Christoph Schonborn, di Vienna, era in lacrime durante l’omelia e sussurrò al Cardinal Timothy Dolan, di New York: “Tim, parla come Gesù”. “Chris, credo sia proprio il suo mestiere” rispose Dolan», in: a. Ivereigh, Tempo di misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio, cit. p. 421.

2 commenti:

  1. È bello leggere,rileggere e riflettere su ciò che scrivi e ricordare che abbiamo un Papa(Padre e Fratello)così a immagine del Cristo!
    Non dovremmo dimenticare la sua straordinarieta' di uomo in mezzo a tutta l'umanità.
    Teresa

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  2. Papa Francesco non parla "del" Vangelo ma parla "il" Vangelo

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