sabato 20 gennaio 2018

DECENTRALIZZARE L’AZIONE EVANGELIZZATRICE




Paolo Cugini

Seguendo l’insegnamento di Papa Francesco che, sin dall’Evangeli Gaudium, invitava la Chiesa ad uscire, a non rimanere chiusa nelle calde e comode mura parrocchiali, diviene importante pensare una pastorale in uscita, decentrata. Del resto Francesco non inventa nulla, ma segue l’esempio di Gesù e dei primi discepoli, che annunciavano il Regno di Dio camminando per le strade della Palestina. Anche san Paolo procede con questo stile on the road, formando comunità, individuando i leaders e poi, continuando il cammino. La dimensione missionaria dell’evangelizzazione è senza dubbio una caratteristica inscritta nel DNA della Chiesa, così come l’ha voluta Gesù. Quando una comunità si siede al centro, aspettando le pecorelle e, soprattutto, alimentando spiritualmente solamene quelle che si presentano all’appello, significa che è in atto un processo di sovvertimento della dinamica iniziale. La comunità non può divenire la tomba del processo di evangelizzazione, il punto di arrivo, ma lo spazio propulsore nel processo di evangelizzazione di un territorio.

Che cosa significa questo pensiero pastorale decentrato e che cosa comporta? In primo luogo, significa abitare le periferie geografiche ed esistenziali. Siamo da secoli abituati a svolgere il lavoro di evangelizzazione dentro le mura domestiche della parrocchia. Abitare le periferie geografiche ed esistenziali significa progettare la catechesi ed ogni settore pastorale a partire dalla possibilità di realizzarli in questi luoghi. Sono già molte le esperienze in questo senso, anche se non sempre assumono un carattere di progettualità. Decentrare la pastorale significa valorizzare le situazioni esistenziali già in atto, come i legami parentali, i gruppi di amici di un palazzo, una via, una piazza. Ci sono già nella parrocchia persone che vivono nella stessa via o nello stesso palazzo. Potrebbero bastare poche persone per iniziare un’esperienza di evangelizzazione in un quartiere. Il primo passo e fare la proposta e responsabilizzare le persone in questo servizio. Pastorale decentrata significa coinvolgimento dei cristiani. Ogni battezzato è chiamato ad evangelizzare. Spesso nelle nostre comunità la maggior parte delle persone vive la propria appartenenza alla comunità partecipando alla liturgia domenicale e poco altro. Stimolare una pastorale che valorizza il territorio può riuscire nel compito di coinvolgere un maggior numero di cristiani.

Pensare il cammino di evangelizzazione a partire dalla periferia richiede una conversione pastorale non indifferente. Esige la disponibilità effettiva a svolgere percorsi di evangelizzazione direttamente sul territorio, a casa di altri. Una cosa è aprire la porta e invitare qualcuno a casa propria; tutt’altra cosa è fare in modo di essere accolti e, per così dire, giocare in casa d’altri. Questo cammino obbliga la comunità a pensare itinerari di evangelizzazione non appena per coloro che escono di casa per andare negli spazi della comunità, ma soprattutto per coloro che solitamente non frequentano la Chiesa. Si tratta, dunque, di un’azione evangelizzatrice con un grande accento missionario, che mette a dura prova le motivazioni e la fede della comunità dei fedeli. Nei cammini consueti della pastorale accentrata, non si riesce quasi mai a raggiungere le persone che in un modo o nell’altro si sono allontanate dalla parrocchia. Non si riesce per il semplice fatto che l’impostazione classica centralizzata, non prevede alcuna forma di pensiero verso coloro che abbandonano. Tutto è, infatti, concentrato per coloro che frequentano.

 Ma perché non interessa? Perché le persone che solitamente frequentano la messa domenicale non sono interessate ad annunciare il Vangelo alle persone che vivono nel loro palazzo o nella loro via? Credo che la difficoltà nasca dal fatto che l’annuncio del Vangelo esige uno sporcarsi le mani, un cammino di conversione. Vivere la fede nel Signore come una religione qualsiasi, significa cercare tranquillità, sicurezza spirituale. Del resto la religione, come ci ha insegnato il grande teologo protestante Karl Barth, è un processo che non ha al centro Dio, ma l’io. C’è tutta una pastorale che fa da supporto all’egoismo spirituale, che sorregge lo stile individualista prodotto dal modello neo-liberale. Da una mentalità religiosa è molto difficile uscire con delle idee missionarie. Molto spesso al centro della religione delle nostre parrocchie, non c’è il Vangelo, ma le devozioni. Mentre il Vangelo richiede un cammino di conversione, la devozione ti chiede una genuflessione, un atto di pietà. Rimettere al centro il Vangelo nei nostri progetti pastorali è il primo passo per fare in modo che sorga il desiderio di annunciare a tutti il motivo della nostra salvezza: Gesù Cristo.

In questa prospettiva i quartieri, le strade, le piazze, i palazzi possono diventare delle piccole comunità autogestite pastoralmente. Non È più il prete che ha il controllo di tutto il territorio della parrocchia, ma le persone che abitano concretamente quella via o quel quartiere. Decentrare la pastorale significa non solo pensare cammini di evangelizzazione a partire dall’esterno, ma anche consegnare la progettazione pastorale a chi si assume la responsabilità in quello spazio determinato. In questo modo, è più facile arrivare alle case, alle famiglie, agli ammalati, alle persone bisognose. Avere dei referenti in un quartiere che, in nome del Vangelo e in modo gratuito, si prendono cura delle persone che vivono nel loro territorio, è un dono di Dio. I consigli pastorali potranno essere momenti di confronto sul cammino intrapreso, affinché tutto si realizzi sempre in comunione, ma rimanendo sempre attenti a fare in modo di non voler controllare o censurare la creatività pastorale che sgorga dalla periferia.

Questa modalità pastorale in uscita guadagna in povertà e sobrietà. Abitare il territorio libera dall’assillo delle strutture. Certamente, saranno prevedibili forme di collaborazione economica per gli spazi che verranno utilizzati. In ogni modo, abitare le piazze, i parchi, i centri sociali, le case è molto meno costoso che gestire delle strutture. Sobrietà, poi, fa rima con credibilità. Quante volte le parrocchie e la Chiesa sono accusate di essere ricche! Ci difendiamo, ma chi è fuori e contempla le nostre strutture, non ne esce confortato dalle nostre difese. Sarebbe bello vedere le nostre parrocchie o le nostre unità pastorali, costituite da tante piccole comunità, che apprendono cammini di condivisione, sullo stile delle prime comunità. Sognare può essere pericoloso, ma fa molto bene alla salute dell’anima.


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