Paolo
Cugini
Seguendo
l’insegnamento di Papa Francesco che, sin dall’Evangeli Gaudium, invitava la
Chiesa ad uscire, a non rimanere chiusa nelle calde e comode mura parrocchiali,
diviene importante pensare una pastorale in uscita, decentrata. Del resto
Francesco non inventa nulla, ma segue l’esempio di Gesù e dei primi discepoli,
che annunciavano il Regno di Dio camminando per le strade della Palestina.
Anche san Paolo procede con questo stile on
the road, formando comunità, individuando i leaders e poi, continuando il
cammino. La dimensione missionaria dell’evangelizzazione è senza dubbio una
caratteristica inscritta nel DNA della Chiesa, così come l’ha voluta Gesù.
Quando una comunità si siede al centro, aspettando le pecorelle e, soprattutto,
alimentando spiritualmente solamene quelle che si presentano all’appello,
significa che è in atto un processo di sovvertimento della dinamica iniziale. La
comunità non può divenire la tomba del processo di evangelizzazione, il punto
di arrivo, ma lo spazio propulsore nel processo di evangelizzazione di un
territorio.
Che
cosa significa questo pensiero pastorale decentrato e che cosa comporta? In
primo luogo, significa abitare le periferie geografiche ed esistenziali. Siamo
da secoli abituati a svolgere il lavoro di evangelizzazione dentro le mura
domestiche della parrocchia. Abitare le periferie geografiche ed esistenziali
significa progettare la catechesi ed ogni settore pastorale a partire dalla
possibilità di realizzarli in questi luoghi. Sono già molte le esperienze in
questo senso, anche se non sempre assumono un carattere di progettualità. Decentrare
la pastorale significa valorizzare le situazioni esistenziali già in atto, come
i legami parentali, i gruppi di amici di un palazzo, una via, una piazza. Ci
sono già nella parrocchia persone che vivono nella stessa via o nello stesso
palazzo. Potrebbero bastare poche persone per iniziare un’esperienza di
evangelizzazione in un quartiere. Il primo passo e fare la proposta e
responsabilizzare le persone in questo servizio. Pastorale decentrata significa
coinvolgimento dei cristiani. Ogni battezzato è chiamato ad evangelizzare.
Spesso nelle nostre comunità la maggior parte delle persone vive la propria
appartenenza alla comunità partecipando alla liturgia domenicale e poco altro.
Stimolare una pastorale che valorizza il territorio può riuscire nel compito di
coinvolgere un maggior numero di cristiani.
Pensare
il cammino di evangelizzazione a partire dalla periferia richiede una
conversione pastorale non indifferente. Esige la disponibilità effettiva a
svolgere percorsi di evangelizzazione direttamente sul territorio, a casa di
altri. Una cosa è aprire la porta e invitare qualcuno a casa propria;
tutt’altra cosa è fare in modo di essere accolti e, per così dire, giocare in
casa d’altri. Questo cammino obbliga la comunità a pensare itinerari di
evangelizzazione non appena per coloro che escono di casa per andare negli
spazi della comunità, ma soprattutto per coloro che solitamente non frequentano
la Chiesa. Si tratta, dunque, di un’azione evangelizzatrice con un grande accento
missionario, che mette a dura prova le motivazioni e la fede della comunità dei
fedeli. Nei cammini consueti della pastorale accentrata, non si riesce quasi
mai a raggiungere le persone che in un modo o nell’altro si sono allontanate
dalla parrocchia. Non si riesce per il semplice fatto che l’impostazione
classica centralizzata, non prevede alcuna forma di pensiero verso coloro che
abbandonano. Tutto è, infatti, concentrato per coloro che frequentano.
Ma perché non interessa? Perché le persone che
solitamente frequentano la messa domenicale non sono interessate ad annunciare
il Vangelo alle persone che vivono nel loro palazzo o nella loro via? Credo che
la difficoltà nasca dal fatto che l’annuncio del Vangelo esige uno sporcarsi le
mani, un cammino di conversione. Vivere la fede nel Signore come una religione
qualsiasi, significa cercare tranquillità, sicurezza spirituale. Del resto la
religione, come ci ha insegnato il grande teologo protestante Karl Barth, è un
processo che non ha al centro Dio, ma l’io. C’è tutta una pastorale che fa da
supporto all’egoismo spirituale, che sorregge lo stile individualista prodotto
dal modello neo-liberale. Da una mentalità religiosa è molto difficile uscire
con delle idee missionarie. Molto spesso al centro della religione delle nostre
parrocchie, non c’è il Vangelo, ma le devozioni. Mentre il Vangelo richiede un
cammino di conversione, la devozione ti chiede una genuflessione, un atto di
pietà. Rimettere al centro il Vangelo nei nostri progetti pastorali è il primo
passo per fare in modo che sorga il desiderio di annunciare a tutti il motivo
della nostra salvezza: Gesù Cristo.
In
questa prospettiva i quartieri, le strade, le piazze, i palazzi possono
diventare delle piccole comunità autogestite pastoralmente. Non È più il prete
che ha il controllo di tutto il territorio della parrocchia, ma le persone che
abitano concretamente quella via o quel quartiere. Decentrare la pastorale
significa non solo pensare cammini di evangelizzazione a partire dall’esterno,
ma anche consegnare la progettazione pastorale a chi si assume la
responsabilità in quello spazio determinato. In questo modo, è più facile
arrivare alle case, alle famiglie, agli ammalati, alle persone bisognose. Avere
dei referenti in un quartiere che, in nome del Vangelo e in modo gratuito, si
prendono cura delle persone che vivono nel loro territorio, è un dono di Dio. I
consigli pastorali potranno essere momenti di confronto sul cammino intrapreso,
affinché tutto si realizzi sempre in comunione, ma rimanendo sempre attenti a
fare in modo di non voler controllare o censurare la creatività pastorale che
sgorga dalla periferia.
Questa
modalità pastorale in uscita guadagna in povertà e sobrietà. Abitare il
territorio libera dall’assillo delle strutture. Certamente, saranno prevedibili
forme di collaborazione economica per gli spazi che verranno utilizzati. In
ogni modo, abitare le piazze, i parchi, i centri sociali, le case è molto meno
costoso che gestire delle strutture. Sobrietà, poi, fa rima con credibilità. Quante
volte le parrocchie e la Chiesa sono accusate di essere ricche! Ci difendiamo,
ma chi è fuori e contempla le nostre strutture, non ne esce confortato dalle
nostre difese. Sarebbe bello vedere le nostre parrocchie o le nostre unità
pastorali, costituite da tante piccole comunità, che apprendono cammini di
condivisione, sullo stile delle prime comunità. Sognare può essere pericoloso,
ma fa molto bene alla salute dell’anima.
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