RIFLESSIONI A PARTIRE DALL'ULTIMO LIBRO DI MASSIMO RECALCATI
Paolo Cugini
Con Il segreto del figlio[1],
lo psicoterapeuta Massimo Recalcati porta a compimento una sorta di trilogia dedicata
alle figure del padre[2]e
della madre[3], nello
sforzo di ripensare i ruoli del tessuto familiare alla prova dei nuovi
paradigmi che la società post moderna sta imponendo. Ci sono dei cambiamenti in
atto che non solo sono epocali, ma che stanno producendo dei cambiamenti così rapidi
che esigono la necessità di essere compresi per non correre il rischio, come
spesso accade, di trasferire nel presente modelli educativi ormai obsoleti.
Secondo Massimo Recalcati “mai nessun tempo come il nostro ha dedicato
tanta attenzione premurosa al rapporto fra genitori e figli. Il figlio
assomiglia sempre di più a un principe al quale la famiglia offre i suoi
innumerevoli servizi”. Nell’epoca in cui si è sgretolata la figura del
padre e la presenza della madre è sempre più ambigua, si cerca sempre di più,
sino al parossismo, il dialogo con i figli, l’empatia. Questo sforzo ha
prodotto con il tempo un’alterazione della differenza simbolica che distingue i
figli dai genitori, al punto che i figli rivendicano la stessa dignità
simbolica dei loro genitori, gli stessi diritti, le stesse opportunità. La
perdita di significanza del fine, tipico della società post cristiana, assume i
contorni della formazione di un nuovo paradigma culturale che sta contaminando
tutti i settori della vita, compreso quello famigliare. È vero che oggi non esiste
più lo sguardo severo e punitivo della Legge del padre, che per secoli ha
schiacciato la vita del figlio sotto il peso della colpa. È vero anche che, in
un certo senso, è alle spalle quel tempo in cui la società religiosa rivelava
il volto repressivo esigendo il sacrificio morale del desiderio. È altrettanto
vero, però, che sembriamo vivere il paradossale capovolgimento di questa
situazione. “L’assenza della Legge e del
senso di colpa – sostiene Recalcati –
hanno generato una nuova forma di umanità insensibile alla vita dell’altro e
alla sua differenza, capace d’interpretare la vita in una modalità
esclusivamente predatoria”.
Il rischio di questa nuovo
prospettiva è l’azzeramento di ogni senso di responsabilità. La vita del figlio
sembra dover prodursi nel cammino di una realizzazione di sé che esclude il
tempo necessario della fatica e della sconfitta. “La cultura oggi dominante dell’empatia e del dialogo incessante
vorrebbe smussare gli spigoli duri della vita, consentendo ai nostri figli un
cammino privo d’inciampi e di ostacoli”. Non si percepisce più che la vita
per evolversi e svilupparsi ha bisogno d’incontrare ostacoli e che questi sono
parte essenziale del cammino della crescita. Proteggere i figli dagli ostacoli
significa non permettere loro di crescere, di misurarsi con la realtà, di
attivare la propria capacità di adattamento alle situazioni. L’intelligenza,
infatti, più che identificarsi con un voto scolastico, si manifesta nelle
modalità messe in atto per adattarsi ai diversi ambienti e alle difficoltà
incontrate. La cosa peggiore che può avvenire a dei genitori è pensare che
comprendere i propri figli significhi fare di tutto per rendere loro facile la
vita, sempre in discesa, priva di pericoli e di ostacoli. Sono, invece, proprio
gli ostacoli, le difficoltà che permettono ai figli di crescere, di divenire,
in altre parole, loro stessi. In un certo senso, è proprio affrontando i
pericoli della vita che un figlio scopre la propria differenza, il proprio
essere diverso dai genitori. È quello che Recalcati chiama il segreto del figlio, vale a dire il suo essere altro dai
genitori, che l’illusione dell’empatia, dello sforzo d’immedesimazione messo in
atto dai genitori verso i figli, vuole cancellare. Il figlio, per sua natura,
si ribella all’eredità che gli altri gli hanno preparato.
Questa dinamica è ben visibile nella
parabola del figliol prodigo raccontata nel Vangelo di Luca. “Dammi la parte che mi spetta”. Nella
parabola di Luca il viaggio del figlio nasce con una falsa partenza, quella
della proclamazione di una libertà che respinge il debito simbolico. “È il velleitarismo di molti adolescenti
ribelli che fondano la loro libertà sul consumo di sostanze più che
sull’interpretazione dell’eredità come compito, come riconquista soggettiva”.
Il destino del figlio sembra sprofondare in un godimento dissociato dal
desiderio. Nel suo viaggio non c’è amore, né conoscenza, né realizzazione
professionale o umana. In ogni modo il viaggio del figlio esprime un dato
incontrovertibile, vale a dire il fatto che la famiglia non può mai esaurire
l’orizzonte del figlio. Appartenere ad una famiglia non significa e,
soprattutto, non comporta l’identificazione. Recalcati, commentando il brano di
Luca, sostiene che “appartenenza ed
erranza sono due poli egualmente fondamentali del processo di umanizzazione
della vita […] I figli necessitano di
trovare nei propri genitori degli ostacoli anche quando questi non lo sono
perché il conflitto custodisce la differenza simbolica tra le generazioni ed è
dunque un passaggio indispensabile alla formazione della vita”.
Che cosa dice di significativo la
figura del padre protagonista nella parabola del figliol prodigo? In primo
luogo, che la Legge che lui incarna è a servizio della vita e non il contrario.
Per questo lascia andare il figlio e lo asseconda nelle sue esigenze. È un
padre che sa stare al proprio posto, che accetta la differenza del figlio,
permettendogli, in questo modo, di realizzare il suo desiderio. Non lo condanna
a morte, ma lo lascia andare; non gli chiude la porta di casa, ma lo avvolge
nel silenzio che dice del rispetto di un’alterità che deve rimanere tale.
Il viaggio ha cambiato il figlio, lo
ha reso profondamente diverso da quello che era quando è partito. Possiamo dire
che senza la rottura iniziale, senza il viaggio il figlio non avrebbe mai
scoperto se stesso. Il viaggio ha trasformato il suo essere. “Solo l’erranza, non l’identità chiusa su se
stessa, può generare conoscenza”. È lo scontrarsi con le situazioni della
vita che permette al figlio di divenire altro, di scoprire se stesso, di capire
chi è. Se fosse rimasto nella casa del padre – com’è successo all’altro figlio
-, se fosse rimasto intrappolato dalla paura della Legge, non avrebbe mai avuto
la possibilità di sapere chi era, nel bene e nel male. Il figlio che torna è
molto diverso dal figlio che era partito: è un’altra persona. Recalcati
sottolinea che, quando il figlio decide di ritornare a casa, l’incontro con il
padre si rivela un’autentica sorpresa. Infatti, mentre il figlio si attendeva
la punizione della Legge, riceve dal padre un’accoglienza carica d’affetto e
d’amore. Da parte del padre non c’è nessuna applicazione inesorabile della Legge,
ma un movimento, un correre che dice della logica dell’amore. Il perdono implicito
del padre nell’abbraccio al figlio, rende possibile il pentimento come
trasformazione autentica. Il perdono dona la possibilità di un’altra occasione,
di un’altra possibilità. Il figlio ha potuto ritrovarsi perché si è perduto e
perdendosi ha avuto la possibilità di conoscere la verità del padre. Non solo,
ma perdendosi ha potuto vivere fino in fondo le asperità del reale. Al
contrario, il figlio che rimane all’ombra del padre, non può fare la festa del
ritrovamento. “Il padre di cui parla la
parabola di Gesù – conclude Recalcati
– è il padre che sa amare il segreto del figlio, che lo sa lasciare andare
verso la sua strada e che lo sa anche attendere, amare, perdonare […] Il Padre
che sa perdonare è il padre che sa amare, che sa esporsi senza riserve
all’incognita del figlio, che sa tramontare”.
Il perdono non nasconde le crepe di
una relazione interrotta, ma le valorizza, anche perché il figlio ritornato non
è più lo stesso e il perdono non riporta alla situazione iniziale, ma sancisce
la realtà di una presenza diversa del figlio. Il perdono del padre verso il
viglio dice della sua libertà nei confronti del figlio, dice che in lui non è
avvenuto un processo d’identificazione, ma che l’essere padre comporta che il
figlio compi il suo cammino. Il perdono del padre non significa quindi, la
ricostruzione del punto di partenza, ma l’accettazione delle rotture avvenute,
nella consapevolezza che le lacerazioni e le rotture sono parte costitutiva del
cammino.
Che cosa dice questa parabola ai genitori
che vivono nell’epoca della post cristianità? Secondo Recalcati nel tempo in
cui tramonta la Legge che punisce e castiga “il compito primo dei genitori è quello di aver fede nel segreto
incomprensibile del figlio e nel suo splendore. Non esigere che la sua vita ripercorra
le nostre orme, che condivida i nostri interessi, che ripeta la nostra vita.
Lasciare invece che il figlio nel suo viaggio possa perdersi e smarrirsi, che
possa conoscere la sconfitta e la ferita per trovare il proprio passo”.
È certamente questa di Recalcati
un’affermazione in controtendenza, ma che mi trova d’accordo. Il figlio è un
dono di Dio e, proprio per essere un dono, mantiene in sé non solo un aspetto
di gratuità, ma anche di mistero. Il mistero del figlio racchiuso nel dono è un
invito ai genitori per realizzare un cammino alla ricerca di sé stessi, delle
proprie motivazioni, di ciò che nell’infanzia o nella giovinezza è stato
represso o nascosto a se stessi. Il figlio come dice di una diversità che deve
rimanere tale e che non può essere fagocitata e schiacciata nelle proiezioni
affettive di paternità e maternità non risolte e insoddisfatte. Il mistero del
figlio è un’occasione occasione donata da Dio ai genitori per riprendere il
viaggio della conoscenza di se stessi, per riprendere in mano un cammino a
volte interrotto a causa del vortice dei ritmi impressi dalla società nella
quale ci si trova inseriti.
[1] RECALCATI,
M., Il segreto del figlio. Da Edipo al
figlio ritrovato, Feltrinelli, Milano 2017
[2] ID., Che cosa resta del padre? La paternità
nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina ceditore, Milano 2011
[3] ID, Le
mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, Feltrinelli,
Milano 2015
Gia don Milani nel965 scriveva che il compito di un educatore è quello di scorgere negli occhi dei ragazzi i desideri e i sogni che vorranno realizzare...i loro...Non i nostri..forse il problema sta che non ci diamo tempo x scorgere questi sogni...il discernere è un compito delicato e che richiede un camminare passo dopo passo col ragazzo.finché saremo frenetici e organizzeremo tante cose e basta...pian piano perderemo gli occhi dei ragazzi e con essi i loro sogni...e purtroppo facciamo quasi tutti (io compreso) cosi
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