venerdì 12 giugno 2015

LE COSE STRANE DELL'EVANGELIZZAZIONE IN PARROCCHIA





TRATTENERE INTRATTENENDO

Paolo Cugini

L’essenza della fede
E’ interessante ogni tanto fermarsi e pensare a che cosa facciamo nelle parrocchie per annunciare il Vangelo. Ci sono delle attività che ormai vengono date per scontate, che vanno avanti per inerzia e, di conseguenza, non le si mette in discussione perché, si dice, si è sempre fatto così, oppure, altra risposta degna di attenzione, è che si fa così perché è bello! E allora, se dinanzi all’estetica non è possibile avanzare, proviamo, almeno a farlo con la riflessione, interrogandoci su ciò che è davvero essenziale per l’evangelizzazione, su ciò che non può assolutamente essere messo da parte per annunziare Gesù al mondo e, di conseguenza, su ciò che è possibile e, in alcuni casi, doveroso lasciare, abbandonare. Una simile riflessione veniva fatta nei dibattiti sulla missione, quando s’inventò l’immagine del nocciolo e del rivestimento, per capire appunto ciò che era essenziale per l’annuncio del Vangelo in missione e ciò che era secondario, anche e soprattutto in funzione dell’inculturazione. Il grande dilemma era capire – dilemma ancora presente all’interno del dibattito della Teologia della Liberazione – se l’impalcatura filosofica utilizzata per elaborare i dogmi cristologici e trinitari presenti nel Credo Niceno Costantinopolitano, fanno parte dell’essenza della fede oppure è possibile descrivere il contenuto profondo su Dio in modo diverso, utilizzando immagini e concetti mutuati da altre culture? Mentre lasciamo ai posteri l’ardua sentenza, mi sembra importante capire dove stiamo andando in questo nuovo contesto culturale, che sta modificando giorno dopo giorno non solo i contenuti dell’esistenza quotidiana, ma anche il modo di rapportarsi a Dio.  Senza dubbio, chi ha alle spalle un passato missionario riesce a ragionare in termini più sereni e distesi, per il semplice fatto che ha un ventaglio di esperienze pastorali ed ecclesiali maggiore e soprattutto, di diverse modalità, che gli permette di cogliere con più facilità l’essenziale del discorso sull’evangelizzazione e, così,  capire meglio e in modo più rapido, che cosa sia possibile lasciare perdere quando ci apprestiamo ad abbozzare un progetto pastorale e che cosa sia invece fondamentale per procedere sul terreno dell’evangelizzazione.

Intratteniamo per trattenere
 E’ questo che si vede abbondare nelle nostre parrocchie. Abbiamo moltiplicato le proposte d’ intrattenimento per riuscire a trattenere quella gente che, quando gli viene presentato ciò che la Chiesa ha di specifico, vale a dire: Messa, Liturgia, Parola di Dio, Carità, ecc., scappa via. Come se l’obiettivo di Gesù fosse, appunto, quello di agglomerare persone, di riunire moltitudini, di correre dietro ai numeri. Nei vangeli, infatti – anche in quelli apocrifi – non si riporta mai un dibattito sulla quantità dei partecipanti alle predicazioni di Gesù. E’ il narratore che interviene a specificare che c’era una gran folla; niente, però, di questo tipo di preoccupazioni si trova tra le indicazioni che Gesù ha dato ai sui discepoli e discepole. Eppure, se ci pensiamo bene, è esattamente questa una delle grandi preoccupazioni dell’evangelizzazione oggi: i numeri. Contano davvero tanto. Ci fa male constatare la chiesa vuota o le sedie vuote agli incontri formativi che organizziamo. Anche perché in tanti decenni, bisogna proprio dire che di sale ne abbiamo costruite e anche belle grandi, spaziose, con tante vetrate. Vederle, allora, vuote fa proprio una gran pena. Anche perché quando ci apprestiamo a costruire delle strutture orientiamo tutta la pastorale per riempirli quei benedetti spazi. Constatare, allora, che in questo mondo sempre più secolarizzato, liquido sempre più laico e anticlericale, delle nostre strutture parrocchiali alla gente non interessa molto frequentarle, fa terribilmente male. Vuole dire, infatti – se si ha il coraggio di tentare una lettura serena dei dati – che occorre cambiare strategia, provare ad andare ad evangelizzare là dove la gente si trova, negli ambienti nei quali la gente vive o dove la gente si trova. Pensare la parrocchia in un modo nuovo (o antico?) e cioè non con l’ansia di riempire degli spazi, ma con la serenità i un annuncio che nasce da un cammino di conversione, dalla testimonianza del Risorto, che è entrato e cambiato delle vite, che pongono da quel momento relazioni nuove dentro la storia degli uomini e delle donne, comporta la serenità di trovarsi a pregare con le persone che amano il Signore e che per questo hanno fatto delle scelte.

Il coraggio di scegliere
 Liberarsi dall’affanno degli spazi e delle strutture significa recuperare la serenità della vita, la pace che è dono dello Spirito Santo, la gioia del condividere un cammino, nella consapevolezza che è un percorso esigente come è esigente la proposta del Signore. Mi sembra questo un passaggio importante del messaggio cristiano che spesso e volentieri nelle parrocchie dimentichiamo, vale a dire che la sequela, essendo la proposta del Signore Risorto, che ha sconfitto la morte con una vita di amore fatta di totale donazione disinteressata e gratuita, esige delle scelte. Quante volte nelle parrocchie svendiamo i sacramenti elaborando percorsi di catechesi capaci d’incastrarsi con i mille impegni che i bambini hanno! Facciamo fatica ad elaborare una proposta formativa per i genitori, proposta che tenga presente del nostro specifico che deriva dal Vangelo, che ha dei contenuti che contrastano con la logica del mondo. Vangelo che c’insegna il servizio e la solidarietà, al contrario dell’egoismo e della cura dei propri interessi. Vangelo che insegna ad aver cura del creato e che al centro dei discorsi e dei progetti ci sono le persone e non le cose. Vangelo che insegna la semplicità della vita, l’attenzione ai più piccoli, la vita di comunità e la cura della vita interiore. Quando ci fermiamo per pensare a tutto ciò che il Signore ci ha donato con la sua venuta, all’abbondanza di vita piena della quale ci fa partecipi, rimaniamo perplessi delle tante difficoltà che incontriamo nella vita pastorale quotidiana a valorizzare tutto ciò con proposte chiare, senza scendere a facili compromessi per correre dietro ai numeri. Se dei genitori ascoltando le nostre proposte ponessero delle difficoltà perché il percorso formativo dei sacramenti non s’incastra bene con gli allenamenti e le altre mille attività dei figli, che problemi avremmo a chiedere loro di fare delle scelte, di scegliere il meglio per i propri figli? Se è vero che la cultura postmoderna nella quale viviamo sta relativizzando i valori, perché dobbiamo adeguarci a questa liquefazione? Forse uno dei compiti attuali della chiesa consiste proprio nell’aiutare le persone a cogliere il valore delle cose, a mettere ordine sulle priorità della vita e, quindi, ad aiutarle a scegliere. Probabilmente, per poter avere questa forza propositiva nella società, dovremmo smettere d’inventarci i servizi d’intrattenimento e concentrarci a recuperare quello che ci è stato donato.


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