TRATTENERE INTRATTENENDO
Paolo Cugini
L’essenza della fede
E’ interessante ogni tanto fermarsi e
pensare a che cosa facciamo nelle parrocchie per annunciare il Vangelo. Ci sono
delle attività che ormai vengono date per scontate, che vanno avanti per
inerzia e, di conseguenza, non le si mette in discussione perché, si dice, si è
sempre fatto così, oppure, altra risposta degna di attenzione, è che si fa così
perché è bello! E allora, se dinanzi all’estetica non è possibile avanzare,
proviamo, almeno a farlo con la riflessione, interrogandoci su ciò che è
davvero essenziale per l’evangelizzazione, su ciò che non può assolutamente
essere messo da parte per annunziare Gesù al mondo e, di conseguenza, su ciò che
è possibile e, in alcuni casi, doveroso lasciare, abbandonare. Una simile
riflessione veniva fatta nei dibattiti sulla missione, quando s’inventò
l’immagine del nocciolo e del rivestimento, per capire appunto ciò che era
essenziale per l’annuncio del Vangelo in missione e ciò che era secondario,
anche e soprattutto in funzione dell’inculturazione. Il grande dilemma era
capire – dilemma ancora presente all’interno del dibattito della Teologia della
Liberazione – se l’impalcatura filosofica utilizzata per elaborare i dogmi
cristologici e trinitari presenti nel Credo Niceno Costantinopolitano, fanno
parte dell’essenza della fede oppure è possibile descrivere il contenuto
profondo su Dio in modo diverso, utilizzando immagini e concetti mutuati da
altre culture? Mentre lasciamo ai posteri l’ardua sentenza, mi sembra
importante capire dove stiamo andando in questo nuovo contesto culturale, che
sta modificando giorno dopo giorno non solo i contenuti dell’esistenza
quotidiana, ma anche il modo di rapportarsi a Dio. Senza dubbio, chi ha alle spalle un passato
missionario riesce a ragionare in termini più sereni e distesi, per il semplice
fatto che ha un ventaglio di esperienze pastorali ed ecclesiali maggiore e
soprattutto, di diverse modalità, che gli permette di cogliere con più facilità
l’essenziale del discorso sull’evangelizzazione e, così, capire meglio e in modo più rapido, che cosa
sia possibile lasciare perdere quando ci apprestiamo ad abbozzare un progetto
pastorale e che cosa sia invece fondamentale per procedere sul terreno
dell’evangelizzazione.
Intratteniamo per trattenere
E’ questo che si vede abbondare nelle nostre
parrocchie. Abbiamo moltiplicato le proposte d’ intrattenimento per riuscire a
trattenere quella gente che, quando gli viene presentato ciò che la Chiesa ha
di specifico, vale a dire: Messa, Liturgia, Parola di Dio, Carità, ecc., scappa
via. Come se l’obiettivo di Gesù fosse, appunto, quello di agglomerare persone,
di riunire moltitudini, di correre dietro ai numeri. Nei vangeli, infatti – anche
in quelli apocrifi – non si riporta mai un dibattito sulla quantità dei
partecipanti alle predicazioni di Gesù. E’ il narratore che interviene a
specificare che c’era una gran folla; niente, però, di questo tipo di preoccupazioni
si trova tra le indicazioni che Gesù ha dato ai sui discepoli e discepole.
Eppure, se ci pensiamo bene, è esattamente questa una delle grandi
preoccupazioni dell’evangelizzazione oggi: i numeri. Contano davvero tanto. Ci
fa male constatare la chiesa vuota o le sedie vuote agli incontri formativi che
organizziamo. Anche perché in tanti decenni, bisogna proprio dire che di sale
ne abbiamo costruite e anche belle grandi, spaziose, con tante vetrate.
Vederle, allora, vuote fa proprio una gran pena. Anche perché quando ci
apprestiamo a costruire delle strutture orientiamo tutta la pastorale per
riempirli quei benedetti spazi. Constatare, allora, che in questo mondo sempre
più secolarizzato, liquido sempre più laico e anticlericale, delle nostre
strutture parrocchiali alla gente non interessa molto frequentarle, fa
terribilmente male. Vuole dire, infatti – se si ha il coraggio di tentare una
lettura serena dei dati – che occorre cambiare strategia, provare ad andare ad
evangelizzare là dove la gente si trova, negli ambienti nei quali la gente vive
o dove la gente si trova. Pensare la parrocchia in un modo nuovo (o antico?) e
cioè non con l’ansia di riempire degli spazi, ma con la serenità i un annuncio
che nasce da un cammino di conversione, dalla testimonianza del Risorto, che è
entrato e cambiato delle vite, che pongono da quel momento relazioni nuove
dentro la storia degli uomini e delle donne, comporta la serenità di trovarsi a
pregare con le persone che amano il Signore e che per questo hanno fatto delle
scelte.
Il coraggio di scegliere
Liberarsi dall’affanno degli spazi e delle
strutture significa recuperare la serenità della vita, la pace che è dono dello
Spirito Santo, la gioia del condividere un cammino, nella consapevolezza che è
un percorso esigente come è esigente la proposta del Signore. Mi sembra questo
un passaggio importante del messaggio cristiano che spesso e volentieri nelle
parrocchie dimentichiamo, vale a dire che la sequela, essendo la proposta del
Signore Risorto, che ha sconfitto la morte con una vita di amore fatta di
totale donazione disinteressata e gratuita, esige delle scelte. Quante volte
nelle parrocchie svendiamo i sacramenti elaborando percorsi di catechesi capaci
d’incastrarsi con i mille impegni che i bambini hanno! Facciamo fatica ad
elaborare una proposta formativa per i genitori, proposta che tenga presente
del nostro specifico che deriva dal Vangelo, che ha dei contenuti che
contrastano con la logica del mondo. Vangelo che c’insegna il servizio e la
solidarietà, al contrario dell’egoismo e della cura dei propri interessi.
Vangelo che insegna ad aver cura del creato e che al centro dei discorsi e dei
progetti ci sono le persone e non le cose. Vangelo che insegna la semplicità
della vita, l’attenzione ai più piccoli, la vita di comunità e la cura della
vita interiore. Quando ci fermiamo per pensare a tutto ciò che il Signore ci ha
donato con la sua venuta, all’abbondanza di vita piena della quale ci fa
partecipi, rimaniamo perplessi delle tante difficoltà che incontriamo nella
vita pastorale quotidiana a valorizzare tutto ciò con proposte chiare, senza
scendere a facili compromessi per correre dietro ai numeri. Se dei genitori
ascoltando le nostre proposte ponessero delle difficoltà perché il percorso
formativo dei sacramenti non s’incastra bene con gli allenamenti e le altre
mille attività dei figli, che problemi avremmo a chiedere loro di fare delle
scelte, di scegliere il meglio per i propri figli? Se è vero che la cultura
postmoderna nella quale viviamo sta relativizzando i valori, perché dobbiamo
adeguarci a questa liquefazione? Forse uno dei compiti attuali della chiesa
consiste proprio nell’aiutare le persone a cogliere il valore delle cose, a
mettere ordine sulle priorità della vita e, quindi, ad aiutarle a scegliere. Probabilmente,
per poter avere questa forza propositiva nella società, dovremmo smettere
d’inventarci i servizi d’intrattenimento e concentrarci a recuperare quello che
ci è stato donato.
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