giovedì 31 luglio 2025

Progetto di valorizzazione per i missionari rientrati nella Diocesi di origine

 



Idee, percorsi e proposte per una nuova fecondità pastorale

 

Paolo Cugini

Premessa

Il ritorno dei missionari e delle missionarie nella loro diocesi di origine rappresenta un dono prezioso e una risorsa spesso inesplorata per le comunità locali. Dopo anni di servizio missionario in contesti diversi, queste persone portano con sé un bagaglio umano, spirituale e culturale ricchissimo, che può contribuire a rinnovare la vita pastorale, la sensibilità ecclesiale e l’apertura al mondo. Tuttavia, la fase del rientro necessita di attenzione, ascolto e percorsi che permettano al missionario o alla missionaria di sentirsi nuovamente accolto/a e valorizzato/a. È a partire da questa sensibilità che provo ad elaborare e presentare una proposta, che possa aiutare da un lato, i missionari a rientrare nella diocesi di origine sentendosi accolti, voluti bene e, dall’altro, le diocesi a valorizzare la ricchezza di competenze acquisite negli anni di missione.

Il primissimo consiglio per una proficua valorizzazione del vissuto umano e spirituale dei missionari che rientrano dopo anni di servizio pastorale e sociale in mondi “altri”, potrebbe essere quella di accoglierli in comunità specifiche progettate e strutturate dal CMD locale e dal suo direttore, che prevede moment idi spiritualità, formazione e animazione missionaria. Mi sembra una grande mancanza di rispetto e di sensibilità gettare immediatamente nella pastorale locale persone che provengono da esperienze pastorali ed ecclesiali molto diverse, con la semplice preoccupazione di “coprire dei buchi scoperti”.

Obiettivi del Progetto

·         Accompagnare il reinserimento umano, spirituale e pastorale dei missionari rientrati.

·         Valorizzare e diffondere le competenze, le storie e i carismi maturati durante l’esperienza missionaria.

·         Sensibilizzare la comunità diocesana all’universalità della Chiesa e alla dimensione missionaria della fede.

·         Favorire nuove forme di impegno, testimonianza e animazione missionaria nelle parrocchie e nei diversi ambiti diocesani.

Percorsi di accompagnamento e accoglienza

·         Colloqui di ascolto e accompagnamento: Incontri personali con il vescovo, referenti diocesani e figure di supporto per raccogliere le esperienze vissute, accogliere eventuali fatiche e individuare percorsi di reinserimento personalizzati.

·         Laboratori di condivisione: Organizzazione di gruppi di confronto tra missionari rientrati e altri operatori pastorali per riflettere sulle sfide del ritorno e sulle potenzialità di servizio nella nuova fase della vita.

·         Momenti di preghiera e celebrazione: Liturgie di ringraziamento, testimonianze in assemblea, eventi pubblici per accogliere i missionari e far sentire il calore della comunità.

Valorizzazione delle competenze e delle esperienze

Nelle diocesi in cui è attivo un Centro Missionario Diocesano, potrebbe essere affidato a questo organismo l’organizzazione di alcuni momenti specifici come:

·         testimonianze nelle parrocchie e nelle scuole: organizzazione di incontri in cui i missionari possano raccontare la loro esperienza, sensibilizzando bambini, giovani e adulti all’apertura verso l’altro e alla missione.

·         Formazione missionaria: coinvolgimento dei missionari nei percorsi di preparazione di nuovi volontari, catechisti, operatori pastorali, con moduli dedicati alla mondialità, al dialogo interreligioso e alla giustizia sociale.

·         Partecipazione agli organismi diocesani: Inserimento dei missionari rientrati in équipe di formazione, commissioni pastorali, centri di ascolto e gruppi di lavoro per arricchire la progettualità della diocesi.

Iniziative di sensibilizzazione e coinvolgimento della comunità

·         Giornate missionarie: Promozione di eventi periodici dedicati alla missionarietà, con mostre fotografiche, mercatini solidali, testimonianze e laboratori interculturali. Il CMD potrebbe organizzare un calendario permanente di questi eventi che, allo stesso tempo, esigono una costante raccolta di materiale dalle missioni.

·         Animazione liturgica e catechesi: Inserimento di temi missionari nelle omelie, nella formazione liturgica, nelle catechesi e nei percorsi di formazione diocesana, valorizzando il contributo diretto dei missionari rientrati.

·         Collaborazione con associazioni e ONG: Attivazione di sinergie tra diocesi, organizzazioni missionarie e realtà del territorio per progetti di solidarietà, scambio culturale e volontariato internazionale. Questa è una caratteristica specifica dei missionari che, vivendo e attuando per anni i realtà sociali caratterizzate dalla povertà e dalla marginalizzazione, vengono a contatto con organismi, non solo ecclesiali,  presenti sul territorio con i quali collaborano in rete per risolvere assieme i problemi incontrati.

Proposte di coinvolgimento pastorale

Anni di servizio pastorale attivo dovrebbero aver condotto i missionari ad assumere competenze specifiche di tipo ecclesiale e sociale.

·         Valorizzare le competenze ecclesiali. Nel nuovo contesto pastorale costituito dalle Unità Pastorali, i missionari, soprattutto presbiteri, che per anni hanno accompagnato parrocchie formate da decine di comunità, possono aiutare i presbiteri locali a vivere in modo più sereno il loro compito, nel coinvolgimento dei laici e delle laiche.

·         Nuove responsabilità pastorali: affidare ai missionari compiti di coordinamento, formazione, animazione missionaria o accompagnamento dei giovani in discernimento.

·         Progetti di cooperazione internazionale: Sfruttare le reti e le relazioni costruite all’estero per avviare gemellaggi, scambi e progetti di sviluppo tra la diocesi e altre Chiese sorelle.

·         Accompagnamento spirituale: Offrire ai missionari spazi e tempi di accompagnamento spirituale, rilettura dell’esperienza e discernimento vocazionale per individuare nuovi cammini di servizio.

Conclusione

Valorizzare i missionari e le missionarie rientrati rappresenta una grande opportunità per l’intera diocesi: significa aprirsi all’universalità della Chiesa, arricchire le comunità con testimonianze vive e favorire percorsi di rinnovamento pastorale e spirituale. Il loro ritorno può diventare un seme di speranza e di rinnovamento per tutti e tutte, se accolto con attenzione, creatività e spirito di comunione. Crediamoci.

 

 

mercoledì 16 luglio 2025

UNITA’ PASTORALI: PERCHÉ NON FUNZIONANO?

 





 

Paolo Cugini

 

Se le guardiamo da vicino le Unità Pastorali son un modo positivo di attualizzazione dell’ecclesiologia del Vaticano II. Il problema è che non funzionano: perché?

Non basta cambiare il modello ecclesiologico, ma occorre mettere mano anche al modello del ministero ordinato. Infatti, il tipo di presbitero che abbiamo oggi in Occidente è calibrato sul modello pastorale di parrocchia, la quale funziona con la presenza di un parroco. La nuova proposta pastorale avanzata con le Unità Pastorali esige un tipo di presbitero totalmente diverso. La domanda a questo punto potrebbe essere: che specificità dovrebbe avere il ministro ordinato nell’impostazione dell’Unità Pastorale?

Le Unità Pastorali sono un insieme di parrocchie e, di conseguenza, dovrebbero avere una guida pastorale capace di accompagnare le singole comunità. Questo è un primo importante aspetto del problema. Non si può pesare e pretendere, come invece purtroppo sta avvenendo, di accompagnare la vita pastorale delle Unità Pastorali come se fossero delle parrocchie: sarebbe la morte delle singole comunità. Il calo progressivo e inarrestabile di preti, che ha portato alla formazione delle Unità Pastorali, esige un ripensamento radicale del ministero presbiterale. Il rischio che stiamo già vedendo ogni giorno è pretendere dal prete che faccia tutto quello che avrebbe fatto, come se fosse il parroco di una parrocchia, mentre nell’Unità Pastorale a volte le parrocchie sono più di cinque. La conseguenza che è sotto gli occhi di tutti è il malessere dei nostri presbiteri, che devono correre come dei pazzi per chiudere tutti i buchi e, allo stesso tempo, il malessere dei parrocchiani che si sentono abbandonati perché, come dicono: “il prete non c’è mai”. Cambiare il modello pastorale senza cambiare il modello di presbitero sta producendo un’insoddisfazione generalizzata, che sta conducendo anche molti adulti ad abbandonare le parrocchie, anche perché, in quei baracconi senza identità che sono le attuali Unità Pastorali, non ci si riesce proprio ad identificare.

Ci vorrebbe un tipo di parroco totalmente diverso da quello attuale.  In primo luogo, bisognerebbe capire che è necessario accompagnare le singole comunità: questo è il punto di partenza. Se c’è una nuova identità pastorale identificata nell’Unità Pastorale, questa non può eliminare il cammino di parrocchie che, nella nostra realtà, hanno alle spalle secoli di storia. Occorre, allora un parroco capace di condurre più comunità nella comunione e nell’unità rispettando, però, le diversità dei cammini. Ciò sarà possibile solamente individuando collaboratori all’interno di ogni comunità, con la responsabilità riconosciuta di essere guide della comunità in collaborazione con il parroco.

Porre dei laici e laiche come guida di comunità è fondamentale per il buon esito del cammino dell’Unità Pastorale, ma non basta. Occorre, infatti, un duplice lavoro di formazione, In primo luogo occorre che il parroco dell’UP si metta in cammino con i responsabili di comunità indicati. Non basta indicare qualcuno e investirlo, investirla in un ruolo di guida: occorre aiutare ad assumere questo ruolo nel cammino quotidiano delle comunità. Il rischio è sempre il fantomatico clericalismo, che può infettare anche laici e laiche che, dopo essere stati investiti si un ruolo, si sentono i padroni delle comunità. Il secondo lavoro formativo è con i laici e le laiche delle comunità. Abituati da secoli ad avere come punto di riferimento un prete, occorrerà aiutarli ad entrare in questa nuova modalità pastorale.

Il problema, a questo punto è capire come formare i presbiteri al nuovo contesto pastorale? In primo luogo, dovrebbero capirlo i vescovi. Che cosa sta, infatti avvenendo, in questo nuovo contesto religioso? Siccome stanno scarseggiando i preti e non si riescono più a celebrare le messe domenicali come un tempo, si importano preti là dove le vocazioni sono in aumento, come l’Africa e l’India. Si fa questo perché si ha paura a cambiare modello, anzi, non ci si pensa proprio.

Ci sono diocesi, come quella di Reggio Emilia e Guastalla, che hanno investito pesantemente nelle missioni, inviando non solo laici, laiche, suore e religiosi, ma anche molti presbiteri. Solo in Brasile sono stati inviati più di trenta preti. Perché sottolineo questo aspetto missionario? Perché i presbiteri che hanno vissuto anni in Brasile sono stati abituati ad amministrare parrocchie con un grande numero di comunità. Non si apprende ad accompagnare tante comunità leggendo dei libri di ecclesiologia o di pastorale teologica, ma facendo pratica sul posto. I missionari fidei donum che sono stati in Brasile hanno appreso sul campo a valorizzare i laici e le laiche, a lavorare sulla loro formazione, a creare comunione tra le decine do comunità di una parrocchia valorizzando ogni singola comunità. Il vescovo della Diocesi di Ruy Barbosa, che ho servito per 15 anni, realizzava il sacramento della cresima in ogni singola comunità: non ha mai fatto l’ammucchiata, perché voleva dare valore al cammino di ogni singola comunità.

Siamo in una fase delicata del nostro cammino ecclesiale e nessuno ha la formula esatta in tasca. Il rischio è fare delle scelte con l’unico obiettivo si conservare ciò che si ha, senza avere il coraggio di cambiare rotta. Credo che l’attuale situazione ecclesiale offra chiare indicazioni della necessità di cambiare impostazione, di ascoltare i segni dei tempi e riconoscerli, uscire dalla mentalità che identifica la comunità con il presbitero per valorizzare i laici e le laiche in un nuovo cammino di comunione con i presbiteri. In questo nuovo cammino proviamo a metterci n ascolto dei missionari che hanno già sperimento questa nuova modalità pastorale. Ascoltare non significa riprodurre alla pari un’esperienza che appartiene ad un altro continente, ma semplicemente farsi consigliare, confrontarsi e capire, così, che nella ricerca di nuovi percorsi non siamo soli, perché lo Spirito Santo ha già preparato il terreno. Non chiudiamoci alla voce dello Spirito.

martedì 8 luglio 2025

C’E’ ANCORA TEMPO

 



 

Paolo Cugini

 

Forse uno dei più grandi errori commessi nella cristianità è stato quello di far credere che Dio era presente in modo esclusivo nella Chiesa Cattolica. Del resto, la famosa frase attribuita a San Cipriano che nel III sec. D. C: affermava: “extra ecclesiam nulla salus”, dice tutto. Le parrocchie si sono strutturate attorno a questa affermazione, divenendo, nel tempo, baluardi della difesa della giusta dottrina su Dio. Fuori c’era il mondo, il demonio. Solo dentro la Chiesa ci trovava la salvezza. E Dio dov’era?

Poi ci sono state le crociate, la Santa Inquisizione e la caccia alle streghe: tutte cose nell’ordine del controllo della presunta verità da parte dell’istituzione ecclesiale che, quanto più si allontanava dal Vangelo, tanto più irrigidiva la sua dottrina a scapito dell’autentica verità evangelica e, soprattutto, delle tante persone torturate e uccise. Poi c’era il Papa con il suo esercito e nessuno si chiedeva se aveva senso che un Papa, rappresentante di Cristo nella terra avesse un esercito. Quante pagine di storia fasulla sono state scritte per giustificare tutte queste porcherie.

Esercitare il controllo sulla verità è stato il grande errore dell’Occidente. È un peccato di presunzione, che ha condotto allo stermino di popoli, culture e religioni altrui. Ogni volta che l’Occidente cristiano ha incontrato popoli culturalmente e religiosamente diversi, non ha applicato l’insegnamento di Gesù dell’amore vicendevole, ma il principio dello sterminio, messo in atto da Giosuè, quando entrò nella fatidica terra promessa. Chi semina violenza raccoglie odio. Chi vuole a tutti i costi imporre la propria verità, diventa un menzognero, perché la verità non si trova nell’odio e nella guerra, ma nella pace e nell’amore.

Eppure, bastava poco. Bastava mettersi in ascolto, invece di starnazzare la propria presunta verità. Presunta, perché quello che l’Occidente cristiano ha cercato di difendere con i denti, anche attraverso lo sterminio di popoli e culture, non era il Vangelo che diceva di voler difendere, ma un’altra cosa, un sistema di potere, che nulla aveva a che fare con gli insegnamenti di Gesù, un sistema inquisitorio e oppressivo, che nulla aveva a che fare con lo stile dialogico del Maestro di Nazaret.

Se solo si fossero messi in ascolto! Avrebbero scoperto che lo Spirito soffia dove vuole e che nessuno al mondo può arrogarsi il diritto di controllarlo. Avrebbero colto la presenza del Mistero nella storia degli uomini e delle donne dei popoli, delle culture e delle religioni, che sono sparse nel mondo. Avrebbero compreso che lo Spirito è amore e che suscita amore in tutti coloro che lo accolgono. Avrebbero percepito che lo Spirito Santo soffia dentro e fuori di noi per costruire ponti di comunione e non per sollevare muri di separazione. Se gli uomini presuntuosi della Chiesa si fossero messi in ascolto di coloro che incontravano, avrebbero scoperto che lo Spirito Santo era già lì presente e si era inserito nel cammino di quella cultura, di quel popolo, di quella religione.

Se ci fosse stato sin dall’inizio l’atteggiamento di ascolto dell’altra, dell’altro, messo in atto da Gesù e fosse stata messo in pratica il suo stile dialogico e accogliente, forse il mondo non sarebbe messo così. Non tutto è perduto. C’è ancora tempo per metterci in cammino ed ascoltare la presenza del Mistero in tutto ciò che vive, deponendo la pretesa d’incasellarlo in una unica fonte di categorie razionali. Perché il Mistero è molto più che uno schema razionale.  Adesso che abbiamo capito la lezione, possiamo vivere in modo diverso il messaggio di Gesù. C’è ancora tempo per permettere allo Spirito di agire dentro alle nostre vite, per fargli spazio. C’è ancora tempo.

giovedì 3 luglio 2025

PRESENTAZIONE DEL LIBRO A BRESCIA MERCOLEDI 16 LUGLIO 2025

 








IL NOME DI DIO NON È PIÙ DIO

Dire il Mistero in un mondo post-cristiano

Mercoledì 16 luglio, alle ore 18:00, Missione Oggi, in collaborazione con Missionari Saveriani, Libreria Paoline e Fondazione ASM Onlus, presenta il libro di:

 

 Paolo Cugini, Il nome di Dio non è più Dio. Dire il Mistero in un mondo post-cristiano (Effatà 2025).

 

L’incontro, in presenza, sarà trasmesso anche sul canale YouTube e sulla pagina Web di “Missione Oggi”: https://www.saveriani.it/missioneoggi

 

Caro autore ti chiedo…

 

Mercoledì 16 luglio 2025 / ore 18:00-19:30

Complesso San Cristo / Sala Romanino / Via Piamarta 9 / Brescia
In presenza e sul canale YouTube di “Missione Oggi”

https://www.saveriani.it/missioneoggi

 

 

dialogano con l’autore

Eliana Zanoletti

esperta di catechesi, Canossa Campus / Brescia

Mauro Cinquetti

docente di Filosofia presso lo Studio Teologico “Paolo VI” del Seminario di Brescia

introduce

Mario Menin

direttore “Missione Oggi”


Il libro

“Ho cercato in questi ultimi anni di comprendere la possibilità di vivere il Vangelo come una proposta che Gesù ha fatto per tutte e tutti, uno spazio dunque inclusivo. Liberarsi dalla religione degli uomini ha come primissimo risultato quello di comprendere il Vangelo in un modo nuovo, come un cammino in cui al centro non ci sono dei precetti cui obbedire, ma la cura della qualità delle nostre relazioni umane. In questa prospettiva, percepisco la grande vocazione della comunità cristiana nel mondo di oggi: essere uno spazio aperto per tutte e tutti, soprattutto per quelle minoranze maltrattate dal sistema meritocratico e patriarcale” (Paolo Cugini).


L’autore

Paolo Cugini è presbitero della diocesi di Reggio Emilia, missionario “Fidei donum” in Amazzonia e parroco di San Vincenzo de Paoli nella città di Manaus, nonché docente di Filosofia e Teologia nella Facoltà Cattolica dell'Amazzonia (FCA) della medesima città. Ha conseguito il dottorato in Teologia presso la FTER (Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna) di Bologna. Collabora con diverse riviste di Filosofia e Teologia italiane e brasiliane. Con Effatà ha pubblicato: L’eucaristia domani. Inculturazione e inclusività della liturgia (2023).


 

Info: segreteria@missioneoggi.it

030 3772780-1

 

Come arrivare a San Cristo (Missionari Saveriani, via Piamarta 9, Brescia)

 

Per arrivare: dall’autostrada: uscita Brescia Centro; seguire indicazioni per “Santa Giulia”. Giunti in piazzale Arnaldo, girare dietro al monumento e prendere la seconda a destra (via A. Mario), uscire in piazza T. Brusato, girare a destra fino ad imboccare il varco ZTL (anche se rosso), immettersi in via dei Musei e continuare fino alla prima a destra (via G. Piamarta), quindi salire verso la chiesa di San Cristo ed entrare nel parcheggio dei Missionari Saveriani.

 

Per uscire: (per piazzale Arnaldo) da via G. Piamarta: proseguire fino a via dei Musei, attraversare e imboccare via V. Gambara, continuare fino a vicolo delle Galline, girare a sinistra e proseguire fino a piazza T. Brusato, girare a destra fino a via Trieste verso piazzale Arnaldo; (per galleria T. Speri) da via G. Piamarta: proseguire fino a via dei Musei, attraversare e imboccare via V. Gambara, continuare fino a via C. Cattaneo, girare a destra e proseguire fino a via G. Mazzini, quindi ancora a destra verso la galleria.


martedì 1 luglio 2025

CRISI DELLE VOCAZIONI SACERDOTALI E CRISI DELLA PARROCCHIA

 



 

Paolo Cugini

 

È il gioco del gatto che si morde la coda o il grande quesito de è nato prima l’uovo o la gallina. Che il tema della crisi delle vocazioni sacerdotali sia strettamente legato a quello della crisi della parrocchia è visibile. A un giovane che intende entrare in seminario viene chiesto di rinunciare ad innamorarsi di una donna, di mettere su famiglia, avere figli, cioè le cose più normali della vita e per cui siamo strutturati, per fare cosa? È la risposta a questa domanda che può offrire delle indicazioni importanti sull’attuale problema del cammino ecclesiale, soprattutto in Occidete.

C’è un dato di fatto che è, allo stesso tempo, imbarazzante e inquietante che riguarda il modello ecclesiale della parrocchia, che è questo: su ciò che è specifico della fede cristiana, la parrocchia non riesce più ad incidere, se non in modo molto parziale. Gli over ’60 ancora presenti nella parrocchia lo sono, quasi esclusivamente, per le messe e i riti specificamente religiosi. Hanno imparato che la salvezza dipende dalla partecipazione alla messa domenicale. Questo lo fanno con zelo ed è proprio questo che esigono dai preti. Se un prete provasse a spiegare loro che, in realtà, quando Gesù disse nel contesto dell’ultima cena: “fate questo in memoria di me”, non voleva dire esclusivamente di celebrare un rito, ma di imitare il suo stile di vita, verrebbe preso a legnate. Abituati per una vita a partecipare a dei riti, non si può esigere un cambiamento di prospettiva: andrebbero in crisi.

Sotto gli over ’60 in occidente assistiamo ad un vuoto inquietante. I genitori che si presentano nelle parrocchie non lo fanno per un cammino personale di fede, ma quasi esclusivamente per qualcosa che pretendono per il loro figli: i sacramenti e il servizio di assistenza nei fine settimana e nei periodi estivi. I sacramenti per i figli sono richiesti non per motivi religiosi, ma sociali. C’è, dietro la richiesta, un senso di giustizia e di uguaglianza. In Italia, in quasi tutte le zone, i bambini vengono battezzati e poi ricevano i saramenti; non farlo sarebbe porre il proprio figlio in una situazione di minoranze, che potrebbe divenire problematica. Quei pochi giovani preti rimasti, vengono soprattutto coinvolti nell’organizzare momenti di intrattenimento. È bravo quel prete che sa organizzare tanti momenti di divertimento per i bambini della parrocchia. È bravo quel prete che, durante l’estate, trascorre tre mesi a scorrazzare da tutte le parti per portare bambini, ragazzi e giovani a fare tante esperienze, soprattutto ludiche. In mezzo ci si mette anche qualche preghiera, ma senza esagerare troppo. È un bravissimo prete quello che passa le giornate in oratorio a giocare con i bambini, a organizzare i doposcuola, i compleanni dei bambini e dei loro amichetti. Il prete che osasse organizzare momenti di spiritualità, come ritiri spirituali, lectio divine e non si adegua al sistema, sarebbe considerato un pessimo prete. Gli stessi ragazzi che s’incontrano nelle parrocchie, per la maggior parte rifiutano in modo categorico una proposta specificamente religiosa, spirituale. Se ad un prete venisse in mente, in un giorno della settimana durante il periodo scolastico, di organizzare alcuni incontri in cui si parli del Vangelo, di Gesù e della sua proposta, verrebbe insultato o ridicolizzato.  

A questo punto mi chiedo: ci fate rinunciare all’amore di una donna, alla possibilità di avere figli, in altre parole, alla possibilità di una vita normale, sana, per questo? Per intrattenere i vostri figli? Non potreste cercarvi delle strutture associative adatte a queste finalità educative? È vero he le parrocchie fanno di tutto per abbassare i costi e ad andare incontro alle famiglie, anche le più bisognose, ma vi chiedo: c’è bisogno di preti per questo? Non è evidente che i seminari in Occidente si stanno drasticamente svuotando esattamente per questo, e cioè, perchè non c’è più una richiesta di tipo religioso, spirituale? Vi state rendendo conto che alla domenica le chiese sono vuote?

Forse occorrerebbe cambiare strada. E' proprio questo cambiamento che tento di proporre nel mio nuovo libro: Il nome di Dio non è più Dio.