lunedì 20 gennaio 2025

VERSO IL SINODO DEI GIOVANI DELL’ARCHIDIOCESI DI MANAUS

 

I giovani della parrocchia san Vincenzo de Paoli, dove attuo, partecipando
ad un incontro dell'Archidiocesi di Manaus



Paolo Cugini

È dallo scorso anno che l’archidiocesi di Manaus, capitale dell’Amazzonia, ha lanciato la proposta di sinodo della gioventù, che avrà come momento finale un evento che sarà realizzato nel luglio 2025. Il Sinodo arcidiocesano dei giovani ha come obiettivo principale quello di aiutare i giovani a comprendere il valore del Vangelo nella loro vita, cercando di promuovere l’idea di camminare insieme nella comunione e nella corresponsabilità. Il Sinodo si basa sulla visione della Lumen Gentium, documento del Concilio Vaticano II, che sottolinea la Chiesa come sacramento di unione con Dio e tra gli uomini.

Il Sinodo è visto come un’opportunità per valorizzare le diverse espressioni dei giovani e rinnovare l’impegno nella missione evangelizzatrice della Chiesa. Annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia in modo rapido è una sfida cruciale per la Chiesa, soprattutto quando cerchiamo di entrare in contatto autentico con i giovani. È essenziale riconoscere la diversità delle culture giovanili e avviare un dialogo profondo con le loro realtà. Ciò richiede una riflessione costante sull’evoluzione delle realtà giovanili e una presenza pastorale inclusiva, empatica e dialogante. 

Per fare in modo che il Sinodo raggiungesse le più svariate realtà giovanili presenti sul territorio è stata costituita una commissione mista (di cui ho fatto parte) con giovani, suore, preti, religiosi/e, laici e laiche, con l’obiettivo di elaborare sussidi che potessero arrivare nelle basi in cui attuano, non solo i giovani legati alle parrocchie o ai movimenti, ma anche coloro che non avrebbero rifiutato un coinvolgimento nel nostro camino. E così sono stati preparati sussidi per le comunità delle periferie, per comunità sul fiume e quelle delle aree rurali. Sono stati preparati sussidi anche per i giovani che solitamente non frequentano la chiesa e anche per coloro che frequentano le chiese neopentecostali, che a Manaus sono tantissime. Un materiale specifico è stato preparato per i giovani che provengono dai popoli indigeni e che esigono un approccio particolare: la pastorale indigena dell’archidiocesi ha dato un contributo significativo a questo riguardo. L’idea di base, dunque, che ha portato alla proposta del sinodo dei giovani è stata, da un lato, la presa di coscienza della difficoltà attuale d’incontrare i giovani, in un contesto pastorale che invece ha sempre lavorato molto bene con i giovani; dall’altro la presa di coscienza della necessità di un ascolto autentico della realtà giovanile per capire le nuove strade di evangelizzazione da percorrere.  

Riuscire a raggiungere i giovani di una metropoli come Manaus è un compito veramente arduo. Sono molte, infatti, le stratificazioni sociali in cui vivono i giovani in questa metropoli. Un dato importante da ricordare è che Manaus è venuta formandosi ed è ancora in questo processo formativo, attraverso invasioni di terreni che, nel tempo, hanno ingrossato a dismisura le periferie (abito in una di queste) rendendole insicure e poco accessibili a coloro che non sono del posto. Sono queste le zone che vengono prese di mire dal traffico (di droga) per controllare il territorio ed esercitare un potere che contrasta (anche se spesso e volentieri collabora) con la polizia. I giovani che arrivano dalle campagne, dalle comunità del fiume, come quelle della parrocchia di Santo Antonio do Iça dove attuano i nostri preti reggiani, per giungere in città e tentare una vita con qualche possibilità in più, vengono accolti in queste reti fatte di disagio, terrore, traffico di droga, violenza. L’azione della pastorale giovanile in queste zone di periferia dominate dal traffico è molto delicata. Lavoriamo sulla prevenzione, attivando officine di arte, musica, sport, corsi vari: tutto serve come proposta per togliere gli adolescenti dai cammini dei trafficanti. Ci sono zone che non possiamo entrare. Nella mia parrocchia, in quindici mesi di presenza, sono riuscito ad entrare in una favela solamente due volte: mi proibiscono di entrare. Ho celebrato la messa di Pasqua (della favela erano presenti tre persone) e poi non sono più riuscito a mettere piede. Scrivo queste cose non per creare il panico, ma per aiutare a comprendere la complessità della realtà giovanile e del lavoro pastorale che siamo invitati a realizzare. 

Messa di invio dei nuovi coordinatori dei 7 gruppi giovani che si trovano nella parrocchia


Nonostante tutti gli sforzi, che sono davvero tanti, la Chiesa non riesce ad essere presente in modo capillare in tutti questi quartieri. Da un recente incontro fatto con i preti che attuano nel mio territorio, il vescovo Mons Hudson, responsabile episcopale di questa zona pastorale, oltre ad essere il direttore della Facoltà Cattolica dove insegno, ha mostrato numeri a dir poco avvilenti. La creazione di nuovi quartieri è così rapido che non riusciamo a pensare come scorporare le parrocchie per raggiungere il maggior numero di persone. In ogni modo, non devo andare molto lontano per descrivere le difficoltà attuali della missione a Manaus. Da un calcolo fatto con alcuni collaboratori dell’équipe parrocchiale, ci siamo resi conto che, nonostante tutti i nostri sforzi, la nostra azione pastorale sul nostro territorio di 7 comunità e circa quaranta mila persone, raggiunge circa l’1% della popolazione. 

Ci sono altri due aspetti importanti da tenere presenti, per comprendere meglio il lavoro di evangelizzazione in mezzo ai giovani del nostro contesto periferico della metropoli di Manaus. Il primo è il grande movimento interno, da un quartiere all’altro, che avviene nelle zone povere. I nuclei famigliari che vivono nei quartieri poveri sono caratterizzati da una grande mobilità, nella costante ricerca di un posto di lavoro e di residenze alla loro portata. Muovendosi i nuclei familiari, si muovono anche i giovani. Questo continuo movimento interno rende difficile il lavoro della pastorale giovanile, perché anche i gruppi giovanili, in questo modo, fanno fatica ad incontrare una stabilità. Altro dato importante da tenere presente è che, quando parliamo di pastorale giovanile, in realtà si tratta di adolescenti nella fascia di età che va dai 13 ai 17/18 anni. Le scuole superiori durano solo tre anni e, terminato il periodo di studio obbligatorio, i giovani entrano nelle università e cercano lavoro. È molto difficile trovare un giovane nei quartieri poveri che studi e basta. Durante il giorno lavoro e alla sera frequenta i corsi serali che le università mettono a disposizione per coloro che lavorano. Queste difficoltà devono essere tenute in considerazione per gli operatori della pastorale giovanile, che non riescono ad organizzare momenti formativi o aggregativi durante la settimana, ma solo nel fine settimana. Da quanto scritto risulta chiaro che i giovani dai vent’anni in su non riusciamo a raggiungerli: non li vediamo. 

Momento di uno dei vari eventi oranizati dai giovani


Il Sinodo dei giovani si sta svolgente nel seguente modo. Dopo un primo momento chiamato incontro, in cui si sono organizzati eventi nei vari settori in cui è divisa l’Archidiocesi, per permettere ai giovani delle parrocchie e delle aree missionarie di incontrarsi, conoscersi, scambiarsi le idee, si è passati al secondo momento, il più impegnativo: l’ascolto. I sussidi preparati per le varie tipologie di giovani individuate nella fase di ascolto, stanno raccogliendo un materiale che dovrebbe confluire in una sintesi, che sarà restituita ai gruppi di base. L’obiettivo di questo lungo lavoro di ascolto e di sintesi consiste nel giungere all’assemblea sinodale dei giovani, del mese di luglio di quest’anno, con in mano un instrumentum laboris, frutto di un lungo lavoro di base, capace di leggere la condizione giovanile dell’intera archidiocesi. Sarà, poi, nella settimana assembleare di luglio, che vedrà la presenza dei giovani rappresentanti dei Settori, che si prenderanno le decisioni che dovrebbero offrire le linee guide per la pastorale giovanile dei prossimi anni. 

Foto ricordo del rosario dei giovani organizzato in una comunità



sabato 18 gennaio 2025

IN CAMMINO VERSO UN RITO AMAZZONICO

 




Paolo Cugini


La presenza della Chiesa di Reggio Emilia e Guastalla in Amazzonia, attraverso l’azione pastorale sul territorio di missionari (per ora solo presbiteri), ci permette di accompagnare esperienze ecclesiali, che vengono da altri mondi e di confrontarci con queste. 

Uno degli aspetti più interessanti, dal punto di vista ecclesiale, del cammino della Chiesa amazzonica di questi ultimi anni è il tentativo di realizzare un rito amazzonico, conforme al desiderio espresso da papa Francesco durante il Sinodo sull’Amazzonia (2019), di una Chiesa dal volto amazzonico. Per molti secoli, numerose comunità ecclesiali incarnate nel territorio, hanno cercato di esprimere e vivere la propria fede, secondo le culture dei loro popoli. Il Sinodo amazzonico ha riconosciuto queste pratiche e accolto questa aspirazione, incaricando la Conferenza ecclesiale dell'Amazzonia (CEAMA) di creare una commissione per elaborare un rito amazzonico. Il nuovo organismo della Chiesa in Amazzonia ha costituito una commissione competente per studiare e discutere, secondo i costumi e le tradizioni dei popoli ancestrali, l’elaborazione di un rito amazzonico, che esprima il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale dei popoli presenti in Amazzonia, con particolare riferimento a quanto la Lumen Gentium afferma per le Chiese orientali (LG 23).

Secondo il Sinodo dell'Amazzonia, il nuovo rito si unirebbe ai riti già in vigore presenti nella Chiesa, arricchendo l’opera di evangelizzazione, la capacità di esprimere la fede in una cultura propria e il senso di valorizzazione della Chiesa locale e della collegialità, che può esprimere la cattolicità della Chiesa. Un nuovo rito non è una rottura, ma un arricchimento della Tradizione della Chiesa. Il Documento finale del Sinodo ricorda che, oltre al Rito romano, «nella Chiesa cattolica si conoscono 23 riti diversi, segno chiaro di una tradizione che fin dai primi secoli ha cercato di inculturare i contenuti della fede e la sua celebrazione» (DF 117). 



L’esigenza di questo rito nasce dalle pratiche di inculturazione del Vangelo e di incarnazione della Chiesa, risultato di un lungo processo di comunità ecclesiali inserite nel loro contesto socioculturale. In Amazzonia, a partire dal XVI secolo, quando arrivarono i primi missionari nella regione, la fede si è inculturata e la Chiesa si è incarnata nel territorio. Il nuovo rito, quindi, affiancato dal Rito Romano o Latino, vuole essere il modo di esprimere e vivere la fede ricevuta e vissuta per secoli in questo vasto territorio fino ad oggi. Il rito che ne nasce è ancorato anche alla Tradizione della Chiesa. Come ricorda Papa Francesco nella Querida Amazzonia, il Concilio Vaticano II ha aperto le porte a un graduale processo di inculturazione della fede cristiana nei diversi contesti socioculturali, anche se in modo timido, perché «non è desiderio della Chiesa imporre (... ) in modo unico e rigido, ma rispettando e cercando di sviluppare le qualità e i doni dello Spirito delle varie razze e popoli” (SC 37). Tuttavia, lamenta il Papa, «dopo più di cinquant’anni, sono stati fatti pochi progressi in questo senso» (QA 82).

 La Sintesi Narrativa del processo di preparazione al Sinodo dell’ Amazzonia, frutto dell'ascolto diretto di 87mila persone, giustifica la necessità che la Chiesa in Amazzonia segua nuove strade per rispondere, fondamentalmente, a tre tipi di esigenze: garantire la presenza eucaristica nelle comunità; promuovere altre forme di ministeri ordinati per celebrare i sacramenti; promuovere un nuovo significato dei sacramenti fondato sul dialogo interculturale con le espressioni delle persone e la loro ricchezza spirituale. Dal 2020 sono stati fatti passi importanti, con il contributo di diversi esperti e comitati di lavoro, che hanno portato al Quadro Generale del Rito Amazzonico – presentato durante il V incontro della Chiesa in Amazzonia, svoltosi a Manus nel mese di agosto del 2024 - e alla raccolta di testimonianze di esperienze di inculturazione, cercando di creare le componenti del Rito Amazzonico. Si tratta di un processo che durerà fino a marzo 2025, con tre anni di sperimentazione per valutare e adeguare il Rito Amazzonico.



L’attenzione ai processi d’inculturazione del Vangelo messi in atto nel territorio amazzonico ha condotto a sottolineare l’importanza di alcuni aspetti, che il rito amazzonico dovrà tener conto. Il primo è il ruolo delle donne. Nelle cosmologie dei popoli indigeni, dei quilombola (comunità formate esclusivamente da afrodiscendenti) e di altre comunità tradizionali, la figura femminile ha un ruolo centrale in quanto è colei che genera e si prende cura della vita. Esempio di questo sono le espressioni Madre Terra, Madre dell'Acqua, Madre dei Pesci e Madre del Cespuglio. Questa centralità del femminile si presenta nelle relazioni di socialità dei popoli indigeni, in cui le donne hanno molteplici ruoli: generano e istruiscono i figli su come trasmettere storie e conoscenze; indicano l’attenzione alla casa e alla famiglia; consigliano i propri compagni su come prendere decisioni basate sui sogni e segni sacri, che sanno interpretare con la propria sensibilità. Ciò dimostra il ruolo fondamentale che le donne svolgono in queste comunità. In questo senso, è opportuno sottolinearlo, per l'organizzazione dei riti e delle celebrazioni che ne derivavano dalle interazioni tra cristianesimo, popolazioni indigene, quilombolas e comunità tradizionali, il protagonismo delle donne è fondamentale. Per un autentico Rito Amazzonico, è importante che le donne possano occupare spazi di partecipazione e leadership in cui non si trovano in una posizione subordinata, ma di simmetria e complementarità. Proprio come nel lavoro collettivo in fattoria – in cui le donne lavorano (a fianco degli uomini) nella piantagione, nella preparazione di cibi e bevande – nelle comunità dove si svolgono le feste dei santi, sono loro che organizzano e dirigono le litanie, le danze tradizionali e la preparazione e distribuzione di cibi e bevande. Un rito amazzonico deve prevedere la ridistribuzione dei posti e dei ruoli all’interno della Chiesa, accogliendo ufficialmente il ruolo delle donne come predicatrici e officianti sacramenti.

Un secondo aspetto che l’elaborazione del Rito dell’Amazzonia dovrà tener conto riguarda la specifica realtà antropologica dei popoli di questo territorio. Le relazioni di reciprocità, condivisione e prossimità sono costitutive della vita sociale in Amazzonia e sono molto vive nelle feste dei santi: sono esempi di riti già inculturati. L'Eucaristia può acquisire ancora più significato per i fedeli traendo ispirazione da queste celebrazioni. Tuttavia, è necessario rispettare e prendersi cura dell'Altro, che può manifestarsi nei vicini umani e non umani. Mantenere una vita sana e armoniosa dipende dall'equilibrio di queste relazioni. È fondamentale “rispettare le diverse visioni del mondo dei popoli, adottando i simboli propri della visione del mondo dei popoli all’interno del discorso e anche i simboli dei sacramenti, rendendoci così parte della loro visione del mondo, delle loro credenze e della loro cultura” (SN, 2019). La mistica amazzonica ci invita a percorrere sentieri d'amore per le persone con rispetto e comprensione. I miti e le feste, carichi di valore sacro, ci permettono di camminare verso una spiritualità centrata sull’unico Signore (QA 77-79). 

Un ultimo elemento che vale la pena sottolineare e che è all’attenzione della commissione che sta elaborando il rito amazzonico è il rapporto con la natura. Nonostante, ad esempio la complessità della figura dello sciamano, che più che un sacerdote svolge la funzione profetica di rivelare alla comunità che cosa la natura sta dicendo loro, questa visione del mondo offre la possibilità di approfondire una spiritualità che riconosce la foresta come un essere vivente. Per la gente dell'Amazzonia, la natura non è qualcosa di cui si può disporre in modo predatorio, perché ci sono degli spiriti che la abitano: gli xapiris. Bisogna tenere presente che questo non significa che la natura possieda un animus autonomo, come sostiene l'animismo, che la renderebbe quasi divina. Al contrario, il sacro abita la giungla, ma non è lei. Occorre conservarla perché porta la nostra impronta, il linguaggio di un mondo a cui non si può accedere dominandolo, ma trasformandosi in esso. La foresta ha una densità sacramentale. La natura è la fonte della vita, spinge le persone a cercare la vita in abbondanza, non nel senso di spreco capitalista, ma di “buon vivere”. In esso il centro è “l’armonia con se stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l'essere supremo, perché c'è un intercomunicazione tra l'intero cosmo, dove non ci sono esclusioni e né esclusi, e dove possiamo forgiare un progetto di vita piena per tutti” (DF 9). Un denominatore comune tra i popoli dell'Amazzonia è la loro interazione con la natura, che intendono come un soggetto. Non esiste alcuna dissociazione tra gli esseri umani e la natura: prevale il rispetto e cura.

Per questo motivo ed altri, rito amazzonico che è in processo di elaborazione, non si limita all’adattamento della liturgia o del messale Romano. Vuole essere espressione della configurazione di una Chiesa dal volto amazzonico nella liturgia, nei sacramenti e nei sacramentali (benedizioni, funerali), nella spiritualità, nella teologia, nell'iniziazione alla vita cristiana, nella liturgia delle ore/ufficio delle comunità, nella mistagogia, nell'Anno liturgico, nei ministeri, in breve, nelle strutture e nell'organizzazione della Chiesa stessa. La Chiesa dal volto amazzonico espressa dal nuovo rito sarà una Chiesa multiculturale, vicina dei molteplici volti, costumi e tradizioni dei suoi popoli, consapevole della legittimità di una Chiesa pienamente locale all'interno di una cattolicità plurale, nell'unità dello Spirito (cfr LG 23). A sua volta, una realtà multietnica, multiculturale e multireligiosa come quella amazzonica è un indicatore che condiziona il rito amazzonico a una dimensione plurale e singolare allo stesso tempo. 



giovedì 9 gennaio 2025

LA STRANA PROPORZIONE: MAGGIORE E’ IL NUMERO DI CHIESE TANTO MAGGIORE E’ LA DISUGUAGLIANZA SOCIALE







Paolo Cugini


Giovedì 9 gennaio 2025. In mattinata visita alla comunità di san Vincenzo. Anche qui come in santo Ignazio, c’è un mare di stradine, di vicoli. Del resto, non potrebbe essere altrimenti. Infatti, il quartiere Compensa di Manaus è nato negli anni ’70 del secolo scorso frutto di continue invasioni di terreno che continuano anche oggi in altre zone di Manaus. Quando s’invadono terreni si costruisce quel tanto che può garantire un minimo di copertura dalle intemperie, senza pensare ad un piano regolatore o a chiedere permessi. Come in altre zone di Manaus, anche nella Compensa è entrato il traffico per comprarsi - si fa per dire - i terreni e le case e rivenderle a chi arrivava dalle campagne, cioè dalla foresta. I quartieri poveri di Manaus, che sono delle immense favelas, sono costruiti in questo modo improvvisato, dominato dai trafficanti di droga, che entrano per controllare il territorio e garantire un minimo di protezione degli abitanti. 

“Qui la polizia non ci entra”, diceva sorridendo Raimundo, un signore di circa ottant’anni, che da sempre ha frequentato la chiesa di san Vincenzo, coprendo, tra l’altro, vari ruoli, com’è costume da queste parti. Tutte le volte che visito la comunità di san Vincenzo mi fermo da lui, anche perché è una grande fonte d’informazioni. Raimundo vive in una casa abbastanza grande con sua moglie e qualche nipote. Non ho ancora capito quanti figli abbia. “Oggi c’è in casa mia figlia che abita dall’altra parte della città, mentre le mie figlie che abitano qui vicino raramente passano per visitarmi”. 


Uno dei tanti vicoli stretti del quartiere san Vincenzo


Domenica ero a pranzo di una famiglia della comunità di santo Antonio e la padrona di casa era madre di 12 figli, mentre sua sorella ne ha avuti 20. Famiglie numerose, come quelle incontrate nella Bahia. Anche le famiglie che incontro in questi quartieri vengono tutte dalle zone interne dell’Amazzonia. Ho già incontrato famiglie che vivono da anni nella Compensa e che provengono da Santo Antonio do Iça, che è la città dove la diocesi di Reggio Emilia è presente dal 2019. 

Ho salutato Raimundo per continuare la vista al quartiere, ma un bambino mi ha riconosciuto, mi è corso incontro e ha voluto che entrassi nella sua casa. Lì ho incontrato il padre, la madre e la sorella. Il padre lavora in una zona delicata dell’Amazzonia, vicino alla città di Coarì, a circa 400 km da Manaus. Zona delicata e polemica perché si tratta di un’area in cui avviene l’estrazione del petrolio. Alcuni mesi fa ho partecipato ad un incontro che si è tenuto a Manaus dove spiegavano le zone critiche dell’Amazzonia, in cui viene sfruttato il sottosuolo per estrarre Gas e petrolio e, entro questi luoghi, era stato citato anche Coarì. 


Le multinazionali entrano nei territori amazzonici illudendo la gente che vi abita, affermando che porteranno occupazione e soldi per tutti, mentre in realtà, dove questo processo è già avvenuto, quello che rimane è solo distruzione, inquinamento e impoverimento della popolazione. Non sono venuto sull’argomento e abbiamo parlato di altro. 

Con il Movimento Fede e Cittadinanza, fondato lo scorso anno per monitorare il processo delle elezioni municipali nel nostro quartiere, abbiamo deciso che continueremo il lavoro di coscientizzazione sociale e politica interessandoci anche di temi ambientali. Abbiamo già messo in agenda una giornata ecologica a fine febbraio. In un contesto, che è quello del quartiere Compensa, in cui non esiste un sistema fognario, dove mentre cammini per strada devi stare attento a non pestare una delle miglia DI merde di cane che incontri, oltre ad uno slalom tra i mucchi di immondizia sparsi qua e là, sarà già molto mantenere all’ordine del giorno dei nostri incontri parrocchiali il tema della protezione della casa comune. 


Mentre scrivo queste cose penso alle centinaia di chiese che incontro mentre cammino per le stradine della favela e mi chiedo: a che cosa serve tutta questa religione? Sembra che maggiore sia il numero di chiese in un territorio, maggiore è il livello di disuguaglianza sociale e d’impoverimento. È una strana e triste considerazione, ma è quello che sto incontrando e vedendo.





mercoledì 8 gennaio 2025

SPEZZARE IL PANE NELLA COMUNITA' DI SANTO IGNAZIO (Compensa-Manaus)

 

Una strada della comunità Santo Ignazio nel quartiere Compensa di Manaus


Paolo Cugini

Nella comunità Santo Ignazio, di cui ho già parlato in un recente post, la situazione sta diventando piuttosto pesante. Proprio davanti alla cappella della comunità si sono piazzati due bar, che in realtà sono due case, che al fine settimana stanno rendendo la vita impossibile agli abitanti del quartiere.

Questa mattina visita alla comunità di Santo Ignazio. Avevo fissato un appuntamento davanti alla cappellina della comunità con Giovanna e Letizia per le 10, ma non si sono fatte trovare.  L’obiettivo era quello di continuare la visita delle famiglie dei giovani che frequentano la comunità: sarà per la prossima volta. Dopo qualche minuto, arriva Michelle, la moglie di Antonio, uno dei ministri della Parola. Antonio si guadagna da vivere vendendo caramelle, biscotti e altro davanti ad una scuola. Con Michelle decidiamo di visitare alcuni anziani già vistati qualche mese fa, ma che hanno richiesto la mia presenza. Entriamo nella casa di Almira e, per arrivarci, passiamo lungo un vicolo cieco molto stretto. 

Un tempo il vicolo era aperto – ci dice Maria, figlia di Almira – ma la polizia l’ha chiuso per non permettere ai trafficanti di fuggire, quando sono inseguiti”. Maria tocco un tasto doloroso: la droga. “La settimana scorsa i trafficanti hanno ucciso un ragazzino, l’hanno squartato per riempirlo di pietre e così, una volta gettato nel fiume affonda e non appare mai più”. 

Uno dei tanti vicoli stretti del quaritere


Maria racconta la disperazione della madre del ragazzo quando è venuta a sapere della fine di suo figlio.

 “Con i trafficanti di droga non si scherza – ribadisce Michelle – se non si fa come dicono loro, ti ammazzano”. 

Dopo aver dialogato con Almira, caduta in una grande depressione dopo la morte del marito, diciamo una preghiera e continuiamo il nostro cammino. Entriamo in un altro vicolo stretto per entrare nella casa di Francisca. Veniamo accolti dalla signora Lucivania, figlia di Francisca: Quando dico a Francisca che sono il prete, lei si commuove. Non si ricorda della visita del mese scorso, anche a causa di una forma di demenza senile, ma ci accoglie molto bene. 

Ha sempre avuto una memoria impressionante – ci racconta la figlia Lucivania – ma da quando è morto il marito, con il quale era in grande sintonia ed erano sempre insieme, è decaduta molto”.

 Anche in questa famiglia, dopo qualche minuto l’argomento torna ad essere lo stesso del precedente.

 “Nel fine settimana non si riesce più a dormire. Davanti alla cappellina ha aperto un bar che mette la musica al massimo e i ragazzi trascorrono la notte a bere e a fare uso di droga”. 

È Lucivania che tocca sull’assunto, e Michelle non si tira indietro.

 “Anche noi della chiesa, che eravamo abituati a pulire la cappellina per le celebrazioni della sera, alla domenica mattina, abbiamo dovuto cambiare di giorno. Con chi è coinvolto con il traffico non si scherza. Mettono dei tavoli addirittura davanti alla porta della cappellina. Nessuno prova a contraddirli perché tutti sanno come funziona. Nemmeno la polizia riesce a tenergli testa. Sabato scorso sono arrivati alle 2 di notte e, per farli smettere hanno dovuto sparare dei colpi di mitragliatrice in aria. Ma non è servito a nulla. Dopo che la macchina della polizia ha voltato l’angolo, hanno ripreso gli schiamazzi e la musica a tutto volume sino alle 10 del mattino. Le famiglie vicine, anche se sono infastidite dal rumore e dal chiasso infernale, non dicono nulla: soffrono in silenzio”.

Fernanda e Geani durante una celebrazione domenicale nella cappella
della comunità


Visitiamo altre tre anziani e passiamo dinanzi alla casa dove abitano due gemelle di 14 anni, Fernanda e Geani, che sono molto presenti nella comunità, soprattutto nelle danze liturgiche per l’entrata della Bibbia nelle celebrazioni. Chiamiamo alcune volte e si presenta alla porta la nonna che ci comunica che le ragazzine, nonostante siamo le 11,30, sono ancora a letto. Continuiamo il nostro cammino per arrivare alla casa di Michelle dove Antonio, suo marito, ha preparato il pranzo. Antonio è una persona molto attiva e presente nella comunità. Qualche anno fa è stato operato ad un tumore alla testa. Mentre mangiamo, Michelle è un fiume in piena: non smette di parlare. Mi parla non solo delle problematiche della comunità, dei trafficanti di droga che stanno rendendo impossibile la vita nel quartiere, ma anche di alcune situazioni di famiglie che frequentano la comunità. Inizia a piovere forte, anche perché siamo nella stagione delle piogge. Saluto tutti e sotto l’ombrello, mi dirigo alla casa parrocchiale. 

Michelle 


Mentre cammino mi chiedo che cosa possiamo fare. Per certi aspetti abbiamo le mani legate, nel senso che non possiamo affrontare la situazione in modo diretto. Il traffico di droga si sta mangiando molti adolescenti. Quello che mi viene in mente è che, come comunità, il massimo che per ora possiamo fare è lavorare con proposte che possano togliere i ragazzi dal traffico. Con i gruppi giovani stiamo approfittando delle ferie estive – dicembre e gennaio – per fare proposta aggregative, spirituali e culturali. Per domani sera ho convocato alcune giovani coppie che in passato hanno lavorato nella Pastorale Giovanile, per condividere qualche idea, anche perché, delle sette comunità della parrocchia, nessuna è esclusa dal giro dei trafficanti e Sant’Ignazio non è la peggiore. Queste visite quotidiane per le strade delle comunità stanno divenendo un momento fondamentale per conoscere da vicino la comunità, per farmi conoscere e riconoscere dalle persone. In fin ei conti, sono io che celebro l’eucarestia alla domenica e spezzo il pane eucaristico e della Parola con queste persone: devono poter capire da che parte sto e di che sapore è la mia vita.