Paolo Cugini
Leggendo la storia del popolo di Israele, storia
tutt’altro che lineare e di facile comprensione, ma colma di sorprese e novità,
si coglie un dato a mio avviso molto significativo. Nei momenti più delicati di
questa storia, c’è sempre stato qualcuno, nella maggior parte dei casi un
profeta, capace di vedere quello che gli altri non riuscivano a vedere. Nelle
più grandi catastrofi, come ad esempio l’esilio in Babilonia del 587 a.C., i
profeti riuscivano a vedere una sorta di itinerario nascosto dentro la storia,
che avrebbe mutato il destino del popolo, trasformandolo da negativo in
positivo. I profeti, in definitiva, iniettavano speranza nel popolo, erano
coloro che riuscivano a tenere alto il morale, a non permettere che il popolo
si abbattesse sotto i colpi della dura realtà.
Oggi,
a mio avviso, c’è più che mai bisogno di profeti, di visionari, di persone
capaci di vedere dove nessuno riesce a cogliere nulla. C’è un mondo che sta
andando in frantumi, e coloro che sono chiamati ad esercitare una guida spirituale
non lo vogliono ammettere. La società e la cultura Occidentale giorno dopo
giorno, a passi sempre più veloci si sta secolarizzando. Ciò che si percepiva
già negli anni ’50-’60 del secolo scorso, vale a dire un processo inarrestabile
di secolarizzazione, oggi è palpabile in tutti i settori della società, persino
nella religione. Sembra un paradosso, ma non più di tanto.
L’incapacità
cronica dell’istituzione ecclesiale di capire il cambiamento, sta creando lo
spazio per tutti quei movimenti tradizionalisti che si aggrappano al nulla pur
di mantenere in piedi ciò che ormai è crollato al suolo (grazie a Dio). E così,
mentre ci sarebbe bisogno di porre le basi per un nuovo cammino ecclesiale e
spirituale, nell’oggi di questa fase così delicata, sono i movimenti di tipo
fondamentalista a trovare spazio e ad alzare la voce nella Chiesa. Si avverte
nell’Occidente secolarizzato, una Chiesa ostaggio del passato, nella ricerca
ostentata e, per questo ridicola, di mantenere in piedi quello che è
rumorosamente fracassato al suolo.
Si
parla sempre di più di società postcristiana per il fatto che si ha la netta
sensazione che siamo entrati in un’epoca nuova, in cui la cristianità così come
si era venuta a strutturare dal medioevo in poi, non esiste più. Certamente, chi
si guarda intorno può affermare che in realtà non sembra notare un grande
cambiamento. Tale cambiamento è più interno che esterno, più culturale e
spirituale, che materiale. I sociologi ci ricordano anche con le statistiche
alla mano, che nell’Occidente secolarizzato i cristiani sono sempre più una
minoranza. Le percentuali di coloro che frequentano le chiese cala a vista
d’occhio. Allo stesso tempo, si constata il calo vertiginoso dell’accesso alla
vita sacramentale. Battesimi, matrimoni, confessioni: sono sempre meno le
persone che partecipano a ciò che da sempre sono considerati i cardini della
vita ecclesiale. Sono soprattutto le
giovani generazioni a disertare le chiese che, ormai, vedono la presenza di
bambini e anziani. Per quanto riguarda i bambini basterà aspettare ancora
qualche anno per non vederne quasi più. Quando la cristianità avrà perso la sua
presa sulla società Occidentale, non ci sarà più bisogno di catechizzare i
propri figli. Spariti i bambini che riempiono le chiese nel periodo scolastico
con cui vengono fatti coincidere i percorsi di catechesi, spariranno dalle
chiese anche i loro genitori, perlomeno quelli che sono abituati ad
accompagnare il percorso religioso dei loro figli, al di là dei loro specifici
interessi personali.
Considero
un bellissimo dono del Signore la possibilità di poter vivere in quest’epoca di
cambiamento epocale, perché i cristiani avranno la possibilità di vivere il
Vangelo in un modo più autentico e profondo rispetto a prima. Nella società
postcristiana, così come si sta delineando, perdendo l’aspetto culturale di
evento di massa, e di necessità sociale, l’essere cristiano, discepolo e
discepola del Signore, sarà sempre di più una scelta personale, più che una
necessità sociale. Per questo il futuro del cristianesimo, il futuro della
Chiesa sarà nei piccoli gruppi, più che nelle grandi cattedrali. Sono già molti
i luoghi di culto che, a causa del calo vertiginoso delle frequenze, vengono
venduti o dati in affitto per un altro tipo di utilizzo. Mentre le città Occidentali
piene zeppe di monumenti ecclesiali, diventeranno mete turistiche per ammirare
un passato glorioso, noi, i cristiani, avremo modo di sperimentare la bellezza
della vita evangelica rimanendo sotto i riflettori dello sguardo amoroso del
Padre.
In effetti, per seguire Gesù non sono necessarie “mega strutture” e “maxi raduni”...
RispondiEliminaStrano dirlo in questi giorni, in cui decine e decine di migliaia di giovani stanno “convogliandosi” e “convergendo” verso Panama ����...
Tutto molto bello, indubbiamente, e molto “rock”!!
Ma mi sembra di sentire echeggiare le parole del Maestro:
«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». (Mt 18, 20)
Cosa voleva dire Gesù?
...realmente, intendo!!
Don Paolo, condivido totalmente la tua riflessione. Spesso nella"Chiesa" non trovo più pane da condividere, mi sembra che manchi l'anima. Vivo il rito come pura superficialità, si entra e si esce nello stesso modo. Non dovrebbe essere così. Quindi si cerca altrove il pane e spesso si trova. Come dici tu, in piccoli gruppi, col vangelo in mano e si cerca di capire cosa voglia dire oggi a me quel messaggio, che è la VIA. C'è bisogno di Voci che gridano nel deserto, la tua è una.
RispondiEliminaTi saluto con affetto, Maria Teresa