Sintesi:
Paolo Cugini
Nel
libro di Mario Menin: Missione,
Cittadella editrice, Assisi 2016, presentato a Reggio Emilia nel mese di
novembre 2018, in un evento organizzato dal Centro Missionario Diocesano, l’autore,
dopo aver presentato i diversi modelli di missione che si sono succeduti nel
tempo e dopo aver approfondito i documenti magisteriali più significativi sul
tema della missione, si sofferma a riflettere sulle nuove prospettive della
missione a partire dal nuovo quadro socio. - culturale. E’ su questa, a mio
avviso, interessante analisi, che intendo soffermare l’attenzione.
A
cinquant’anni dalla fine del Concilio la missione è molto cambiata. È possibile
individuare tre sfide che il nuovo contesto culturale propone alla Chiesa.
a. Con
quale Chiesa? Il problema consiste nel capire in che
modo la Chiesa è chiamata ad essere presente nel mondo nel nuovo contesto
culturale scristianizzato che alcuni definiscono come epoca post-cristiana. Si
tratta di inserire la Chiesa nell’orizzonte del mondo, perché possa rendere
ragione di sé dall’interno della storia. La sfida missionaria dell’Europa
consiste nel riportare il Vangelo nella vita quotidiana delle persone e nei
suoi nuovi areopaghi culturali. In questa prospettiva non basta esserci come
Chiesa. La semplice presenza non è più di per sé garanzia di evangelizzazione.
Occorre un nuovo rapporto vangelo-culture, un ritorno della Chiesa al Vangelo e
del Vangelo nella società. Ciò richiede un costante processo di inculturazione
della fede e di evangelizzazione delle culture, attraverso un approccio più
mirato e attento alle persone per riconoscere l’intima sete di senso che esse
sperimentano e soffrono, aiutandole a discernere tale sete nella loro vita,
presentando il Vangelo non come un pacchetto di norme canoniche da osservare,
ma come risposta inclusiva della loro ricerca e sofferenza. Ciò richiede una
Chiesa più modesta, più umile, più decentrata sulla Parola e sull’altro come
aveva proposta il Concilio. Non si tratta di rinunciare all’istituzione Chiesa,
quanto piuttosto di ripensarla a partire dalla sua natura missionaria, da
quella “attività” che fino al Vaticano II era considerata periferica e
riservata a pochi.
b. Con
quale Cristo? L’avvento del pluralismo religioso e del
dialogo interreligioso hanno provocato un profondo ripensamento nel modo
d’intendere la missione. Il tentativo attuale consiste nel ricomprendere il
pluralismo dentro l’unico piano salvifico di Dio, dal momento che non si può
escludere l’opera di Dio da nessun contesto e da nessuna esperienza umana. Ciò
non significa imboccare la via della relativizzazione del mistero di Cristo, ma
piuttosto di una rinnovata intelligenza, dall’interno della fede, della sua
unicità sia a livello teologico, sia a livello storico. Con il passaggio dal
cristocentrismo conciliare alle posizioni teocentriche e pluraliste del
post-concilio, il rischio è quello di relativizzare il Gesù della storia
rispetto al Logos eterno di Dio. La missione nell’orizzonte delle religioni
rischia di trasformarsi in una missione senza Cristo. Il problema a questo
punto diventa il seguente: con quale Cristo essere presenti nell’orizzonte
delle religioni? Non certo con il Cristo che le esclude aprioristicamente
tutte, ma con quello che tutte le interpella e da tutte si lascia interpellare attraverso
l’incontro, l’ascolto, il dialogo e il cammino insieme. L’unicità di Cristo,
scrive C. Theobald, non è escludente, ma ospitale, inclusiva, nel senso che dà
compimento all’unicità di ciascuno.
c. Con
quale cultura? Fino al Concilio la Chiesa di Roma
immaginava che la propria maniera di inculturare il Vangelo avesse un valore
paradigmatico assoluto. La nuova autocomprensione della Chiesa nei confronti
del mondo in ordine alla salvezza e soprattutto la scoperta di essere per la
prima volta una “chiesa mondiale e multiculturale hanno incrementato gli
interventi del magistero sulla questione, ora per frenare eccessivi entusiasmi,
ora per lanciare la missione verso nuovi orizzonti. Il magistero si è mosso tra
richiami per garantire l’unità della fede e della chiesa e nuovi progetti di
inculturazione; tra avvenimenti per salvaguardare il ricco patrimonio del
cristianesimo occidentale e appelli per non imporlo sic et simpliciter a tutte le chiese locali. Il processo di
scristianizzazione del continente europeo ha costretto l’Occidente cristiano a
porsi la domanda sulla propria identità cristiana. Non si è cristiani solo
culturalmente, una volta e per sempre, ma grazie ad una costante rigenerazione
nella fede, soprattutto in un continente di antica evangelizzazione, che vede
svilupparsi nuovi areopaghi culturali, in cui è più difficile comunicare e
trasmettere il Vangelo. Se per incarnarsi il vangelo deve entrare
nell’orizzonte del mondo, delle culture e delle religioni, va però detto che
l’utopia del Regno di Dio che esso annuncia non si esaurisce in un progetto
politico, per quanto nobile, e nemmeno in una cultura, per quanto elaborata.
C’è una differenza, eccedenza del Vangelo rispetto a tutte le culture e
religioni.
“Occorre un ritorno della Chiesa al Vangelo” e del Vangelo ‘nella’ Chiesa. In caso contrario, non potrà esserci nuova evangelizzazione. Finché, nell’Occidente “sazio ma disperato”, le gerarchie ecclesiastiche continueranno ad alimentare la propria autorefenzialità, vedendo con sospetto (e talvolta, addirittura, ostacolando) le iniziative pastorali e liturgiche che - in piena sintonia con gli insegnamenti di Gesù e con i documenti del Magistero, beninteso - nascono “dal basso”, non potrà esserci realmente una “Chiesa in uscita”, che riporti al Mondo la speranza annunciata dalla “lieta novella”. Lo slancio missionario di “incarnazione del Vangelo” o è iniziativa del popolo di Dio, o non è affatto! E non si pensi che possa essere “imposto dall’alto”: occorre che nasca dal desiderio di diffondere e condividere quel messaggio di Salvezza che, prima di tutto, deve essere accolto e “assimilato” nelle nostre realtà di Chiesa locale o, addirittura, domestica. Solo in questo modo sarà possibile dare veramente corso a quella necessaria rievangelizzazione del “Vecchio Continente” che consentirà di diffondere, nel nostro tempo storico, il genuino messaggio di Gesù all’interno dei nostri contesti culturali, in vista della realizzazione del progetto di più ampio respiro che tende al riconoscimento e alla promozione della dimensione “mondiale e multiculturale” che deve caratterizzare una Chiesa che si definisce “cattolica”, cioè universale.
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