Pubblico l'articolo di un nostro carissimo amico sull'espereinza della Giornata Mondiale della Gioventù appena terminata.
Luca Bigi
Durante il
viaggio di ritorno da Cracovia, mentre quasi tutti dormono, esausti per questi
giorni intensissimi e in particolare per la bellissima veglia di ieri sera che
ci ha visti dormire sotto il cielo stellato di Campus Misericordiae insieme ad
altri due milioni e mezzo di giovani, penso che la GMG è già finita. Si, anche
se sembra passato solo qualche giorno da quando siamo partiti da piazzale
Europa con gli altri ragazzi reggiani, anche se sembra sia ieri che siamo stati
accolti nella parrocchia dei Santi Pietro e Paolo ad Opole, anche se da quando
ci ha raggiunto il gruppo del "pacchetto B"- cioè quelli della
seconda settimana - sembra passata solo qualche ora, adesso, che da poco ci
siamo lasciati alle spalle la Polonia, questi giorni appaiono ormai come
inevitabilmente passati. Sono davvero volate via queste giornate, vissute
davvero intensamente dall'alba fino a ben oltre il tramonto, eppure ora
riemergono chiaramente ricordi - a confermare che tutto è passato - fatti di
volti, di luoghi, di parole. In particolare, mi torna alla mente una frase
pronunciata da don Marek, sacerdote della parrocchia che ci ha accolti ad
Opole, durante l'omelia della Messa di addio per la nostra partenza alla volta
di Cracovia.
Tra la commozione generale, vera, dettata da un sentimento
irrazionalmente e inconcepibilmente intenso, che nonostante i pochi giorni ci
ha fatto stringere legami forti e - speriamo duraturi con i giovani polacchi,
don Marek ci mostrava che Nazareth, nido della giovinezza di Gesù, non avrebbe
alcun senso senza la sua negazione, ovvero senza la partenza, l'addio dalla
città materna tanto amata, che ha decretato l'inizio della missione salvifica
di Gesù nel mondo. In quella giornata che come questa era stata caratterizzata
da un sofferto addio, o meglio da un arrivederci, don Marek ci ricordava che partire significa tornare ad essere
cristiani laddove abitiamo, prolungando e non facendo cadere nel vuoto
l'esperienza di questo giorni. Ci invitava a non piangere per qualcosa che era
inevitabilmente finito, ma a rimboccarci le maniche per far sì che ciò
continuasse, per fare in modo che l'esperienza della GMG non fosse una felice
frase chiusa tra parentesi ma piuttosto un due punti che cominciasse una lunga
proposizione. Due giorni dopo, ricongiunti con i ragazzi del "pacchetto
B", siamo andati a visitare il campo di concentramento e sterminio di
Auschwitz-Birkenau. Nonostante la visita "toccata e fuga" abbia
sinceramente lasciato a desiderare, il momento vissuto alla chiesa degli
Italiani insieme agli altri 1600 giovani reggiani, con i ragazzi delle diocesi
delle missioni in Albania e Brasile, presieduto dal vescovo Massimo Camisasca,
è stato molto interessante e ricco di stimoli. Oltre alla preghiera c'è stato
un momento dedicato alla testimonianza di uomini e donne che a loro modo si
sono opposto alle barbarie naziste. Padre Kolbe, Oscar Schindler, e anche il
nostro Gino Bartali tra gli altri, cinque storie affidate ad altrettanti
narratori scelti tra i giovani della Diocesi, cinque vite che parlavano di
coraggio, di eroismo, di libertà, ma anche e soprattutto di normalità. Si,
perché questi eroi altri non erano che persone normalissime, e anzi talvolta
addirittura "cattive" come il pubblicano Zaccheo protagonista del
vangelo della Santa Messa di stamattina. Leopold Socha, per esempio, altri non
era che uno sciacallo che tirava avanti rivendendo la refurtiva che sistemava
in segreto nelle fogne di Leopoli, salvo poi nascondervi anche decine di ebrei,
salvandogli cosi la vita. "L'eroismo non è sovraumano" diceva una
poesia di Calvino. Si potrebbe aggiungere che anche la santità non è per
supereroi. Come ci ha detto in questi giorni Papa Francesco, e come abbiamo
potuto vedere nella vita di Santa Faustina, nel suo gracile corpo malato e nei
sentimenti incredibilmente umani messi a dura prova dalle chiacchere e dalle
gelosie delle consorelle,
Dio non
sceglie come suoi soldati stinchi di santo, né guarda ai nostri vestiti, ai
nostri telefoni, né alle nostre abilità particolari. Dio ci ama nella nostra
normalità, Lui che ci conosce nella nostra più intima essenza, e altro non ci
chiede che un sì. Così santità ed eroismo possono essere profondamente umani,
normali, e tuttavia bisogna fare attenzione, perché anche il male può esserlo.
Quello che spesso la storia scolastica e il cinema hollywoodiano, preso dai
suoi stereotipi e dalle caricature, non ci mostrano, è che anche la visita ad
Auschwitz non chiarisce del tutto è la natura del male nazista, una terribile
barbarie portata a termine con inquietante lucidità che, se è presumibile abbia
avuto origine nelle menti malate dei gerarchi, poi ha trovato compimento nelle
mani di tanti soldati e nella volontà di tanti civili. Non è questa l'occasione
per aprire un dibattito che interessa i più importanti storici ormai da decenni,
né ne ho l'autorità. Ma è manifesto che, indottrinato o meno, il popolo tedesco
e tutti quelli coscienti della situazione in corso non erano composti da milioni
di folli, ma al contrario, da persone banalmente normali, esattamente come noi.
Non siate scandalizzati, se paragono noi, docili reggiani del terzo millennio,
ai "malvagi" nazisti: la nostra Shoah si consuma poco lontano dalle
porte d'Europa, in Siria, e dentro il nostro salotto, nelle spiagge meridionali
d'Italia così come nelle nostre città. É un olocausto che ha il volto di
profughi, emigrati, emarginati, anziani, disabili, disperati, giovani dal cuore
vuoto, bambini abusati o abbandonati a loro stessi. E questo non lo dico io, ma
il Santo Padre, che ha ripetuto con insistenza l'importanza di questi conflitti
dai quali distogliamo costantemente gli occhi per guardare talk show televisivi
sul terrorismo o sul calcio.
Epoche diverse, stessa indifferenza. Non possiamo
sapere se questa nostra ignavia possa essere imputata come colpa, ma certamente
a Gesù l'indifferenza del sacerdote che passa davanti al viandante malmenato e
derubato della parabola del buon samaritano non andava a genio. C'è da dire,
grazie a Dio, che oltre a vivere la normalità dei nazisti possiamo però
potenzialmente vivere anche la stessa normalità di santi ed eroi. Qual è la
differenza tra le due? Qual è la quotidianità che uccide e quale quella che
crea? Semplice, quando accettiamo il mondo così com'è, quando ci facciamo
travolgere inermi dalla quotidianità diventando parte di questo melma informe,
quando facciamo di noi solo un altro anello della catena di causalità, siamo
complici, siamo nazisti. Quando inserendoci tra i suoi anelli spezziamo con un
atto di libertà questa catena di schiavitù viscida e nascosta, cioè quando
facciamo scelte e le portiamo avanti, con il coraggio della normalità, siamo
eroi. Per farlo ci vuole però uno sforzo, e questo piccolo ma enorme scarto ci
distingue dai malvagi, che ripeto, non hanno l'aspetto dei cattivi delle fiabe,
ma la faccia di chi non fa scelte. Questo scarto è l'atto di libertà che ci fa
uscire da questo fiume assassino che troppo spesso ci travolge, questa scelta è
il si, e quando diciamo quel sì che Dio ci chiede, allora siamo santi. È solo
con questo sì che le catene possono essere spezzate, il mondo può essere
cambiato, ripercorrendo à rebours la
corrente di quotidianità anonima e straniante che il mondo ci impone.
"Vedi io faccio nuove tutte le
cose" ci dice Gesù, e per rinnovare il mondo conta sulle scelte
quotidiane del suo popolo, non ci chiede di essere grandi rivoluzionari, ne
profeti. La vera rivoluzione sta nel cambiare il mondo a partire da ciò che sta
fisicamente e spiritualmente intorno, senza distogliere la vista dai grandi
problemi dell'attualità, ma prendendoli come stimolo per risolverli dal basso.
In particolare, alla gioventù che ha già dimostrato di essere speciale aderendo
a questa GMG, il Papa ha chiesto di avere il coraggio di scegliere, di
staccarsi da quel divano a cui troppo spesso è incollata e di prendere
decisioni. É questa la vera rivoluzione a cui i giovani sono chiamati, è questo il vero andare controcorrente.
Tornando a noi, cosa può fare questo manipolo di giovani dell'Unità Pastorale
che ora dormono su questo pullman stanco che ritorna dalla Polonia? "Vedi
io faccio nuove tutte le cose". A noi, ragazzi, è richiesto il compito di
rinnovare la Chiesa. Non bisogna spaventarsi, come ho detto prima a noi sono
richieste piccole cose. E tuttavia non è un lavoro facile, e forse proprio
perché ci vengono domandate piccole cose il compito è più arduo. Quant'è facile
che la fiamma dell'entusiasmo si spenga poco a poco se non è costantemente
ravvivata? Quante volte siamo tornati da campeggi euforici per vedere poi
questa magia scomparire nel giro di qualche settimana?
Essere stati in GMG non è solo un privilegio, ma anche una
responsabilità. Avere ascoltato le parole di Papa Francesco, aver
partecipato alle catechesi dei vescovi italiani, aver incontrato migliaia di
giovani provenienti da tutto il mondo e soprattutto aver condiviso
un'incredibile esperienza di comunità con i giovani di Opole, è un fortuna
ricevuta che non possiamo permetterci di non ricambiare, portandone
testimonianza ai nostri amici rimasti a casa, non con le parole, ma con
l'esempio delle nostre vite. "Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date" è quello che ci ha invitato a fare
Sua Santità nella messa conclusiva a Campus Misericordiae, e quante cose
abbiamo ricevuto in queste due settimane? Tutto ciò dobbiamo portarlo a casa,
ai nostri cari e ai nostri amici, con il fervore e l'entusiasmo che ci ha
accompagnati in questa GMG, con la forza che ci faceva alzare prestissimo la
mattina senza lamentele, nonostante le faticose giornate e le nottatacce, con
la disinvoltura che ci accompagnava nel fare la conoscenza di giovani di altri
paesi, con la gioia che ci faceva cantare senza vergogna con i nostri amici
polacchi durante quelle bellissime messe che dovremo impegnarci a portare nelle
nostre parrocchie. Ma, poiché come ci ricorda la saggezza popolare "Par fer un fós ag volen do rivi",
anche a voi giovani e adulti delle nostre comunità che non avete potuto
partecipare a questo viaggio è richiesto qualcosa: non spegnete l'entusiasmo di
chi ha vissuto questa esperienza, ma anzi aiutateli affinché questa non si
spenga.
Accogliete la gioia di chi ha vissuto la GMG non con la sospettosa
incredulità di Tommaso, ma con la fede degli Apostoli che ricevono la notizia
della Resurrezione di Cristo. Cominciamo
a dimenticare ciò che è stato fin ora, e abbiamo il coraggio di cambiare, come
hanno fatto i nostri giovani di Cracovia che hanno scordato ben presto le
dinamiche parrocchiali e si sono immersi nella nuova dimensione dell'Unità
Pastorale con spensieratezza e gioia. Sarà un compito difficile, per tutti,
sia quelli di ritorno che per quelli rimasti a casa. Ma se i primi sapranno
continuare con lo spirito che li ha guidati in questi ultimi giorni, e i
secondi avranno l'umiltà di farsi contagiare da esso, insieme, con la
bellissima forza che ci può infondere tra fratelli, essenza del Cristianesimo,
potremo camminare verso un futuro reso migliore dai nostri piccoli sì
quotidiani. Come Nazareth non ha avuto fine, ma compimento, nella vita di
Cristo dopo la sua partenza da essa, così
la GMG non finisce oggi, ma deve continuare e trovare compimento nei giorni
che verranno, a casa nostra.
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