Paolo Cugini
Lo slancio propositivo di Aparecida ha prodotto come
immediata conseguenza lo sforzo delle conferenze episcopali di America Latina e
Caraibi di tradurre nel cammino delle chiese locali le indicazioni del
documento finale. Su questa linea si è mossa anche la CNBB che, negli anni
successivi alla V conferenza, si è impegnata a creare lo spazio per un cammino
di attualizzazione dei temi proposti da Aparecida. Per promuovere il paradigma
missionario occorreva, in primo luogo, rivedere la struttura della parrocchia,
capire in secondo luogo come aiutare le CEB e i movimenti ecclesiali sorti
negli ultimi decenni, a lavorare insieme nell’unico progetto di realizzazione
del Regno di Dio, e infine come rendere i laici soggetti sempre più attivi del
processo di evangelizzazione. Tutto ciò viene
proposto nel documento 100 (d’ora in poi D100), pubblicato il 13 maggio 2014,
frutto di un lungo lavoro di ascolto e di elaborazione durato alcuni anni,
basato su un testo di studio elaborato l’anno precedente dalla CNBB, conosciuto
come documento di studio n. 104.
CEB, Movimenti,
associazioni di fedeli, comunità territoriali e transterritoriali
Il D100 della CNBB propone un nuovo stile parrocchiale, in
grado di rispondere a esigenze nuove, senza tralasciare però ciò che lo Spirito
Santo ha creato negli ultimi anni. Nel quadro ecclesiale latinoamericano, e in
particolare in quello brasiliano, non ci sono più solamente le CEB, ma, accanto
a queste, fioriscono numerosi movimenti, soprattutto di carattere carismatico,
e comunità di nuova formazione sia territoriale che extraterritoriale., Prima
di fare un passo fuori dal recinto del territorio parrocchiale, la parrocchia
come comunità di comunità, deve non solo rendersi conto di cosa c’è sul proprio
territorio, ma porre in atto quei cammini che permettano alle varie realtà
ecclesiali di lavorare in comunione.
A proposito delle CEB, il testo non dice nulla di nuovo
rispetto ai pronunciamenti anteriori del CELAM e della CNBB, ma ripropone e
sottolinea alcune affermazioni del documento di Aparecida e dell’Evangelii Gaudium: parla del nuovo
ardore evangelizzatore che le CEB hanno portato nella Chiesa brasiliana e, allo
stesso tempo, chiede che non perdano il contatto con la realtà della parrocchia
e con la comunione con il vescovo locale. La sottolineatura è una chiara
risposta ai teorici delle CEB che ipotizzavano la parrocchia come rete di CEB,
nella quale ogni comunità è autonoma, una piccola Chiesa a sé stante. Sia
Aparecida che il D100 offrono una chiara risposta a questi tentativi di fare
delle CEB strutture ecclesiali parallele alla vita pastorale della parrocchia.
Viene, poi sottolineata l’importanza del servizio pastorale delle CEB a favore
dei poveri. Infine, si riconosce che:
le CEB si caratterizzano in generale per la formazione delle
comunità territorialmente stabilite, con forte accento missionario e legato
all’impegno socio-trasformatore. Ponendo come centralità la Parola di Dio e
l’Eucarestia e nel valore del piccolo gruppo che forma la comunità, la
fraternità e la solidarietà, che impegnano il cristiano in favore del Regno di
Dio, le CEB contribuiscono alla conversione pastorale della parrocchia.(D 100,
230).
I movimenti e le associazioni dei fedeli sono presentati
come segnali della Provvidenza di Dio per la Chiesa di oggi. Questi movimenti
ruotano intorno agli specifici carismi donati dallo Spirito Santo e offrono ai
fedeli un cammino di vita spirituale. Anche a loro, il D100 raccomanda la
comunione con la diocesi di riferimento e con i gruppi che collaborano
all’interno delle parrocchie. Si assiste a volte ad una sorta di tensione
negativa tra i movimenti, che rispondono prima di tutto ai loro coordinatori
specifici, e il piano pastorale della diocesi che, in realtà, dovrebbe essere
costruito con la partecipazione di tutti e, di conseguenza, dovrebbe vedere
tutti gli operatori pastorali uniti nello stesso cammino. Il primo lavoro
fondamentale è dunque quello della comunione: «questo suppone
impegno e apertura dei movimenti e delle associazioni per integrarsi nelle
comunità, così come apertura e accoglienza delle parrocchie per valorizzare
persone e carismi differenti».(D 100, 234). Facendo riferimento all’esortazione
apostolica Christifideles Laici, il
D100 ricorda che i movimenti e le associazioni laicali non possono collocarsi
sullo stesso piano delle comunità parrocchiali, come possibile alternativa. «Al
contrario hanno il dovere del servizio nella parrocchia e nella Chiesa
particolare» (D 100, 235).È la comunione il cammino e, allo stesso tempo, il
lavoro pastorale da realizzare, che vede coinvolte tutte le entità pastorali
presenti sul territorio. Senza questo preziosissimo lavoro è impossibile uscire
verso la missione.
L’ultimo riferimento è alle comunità ambientali e
transterritoriali. Queste comunità sono formate da gruppi di senza dimora, in
Brasile chiamati “abitanti di strada”, universitari, studenti delle scuole
superiori, impresari o artisti, infermi. È necessario pianificare un’azione
evangelizzatrice non solo in questi ambienti vitali, ma anche in tutti quelli
che si trovano sul territorio parrocchiale. Si esige quindi lo sforzo di tutti,
per lavorare allo stesso progetto, senza divisioni e, soprattutto, senza
competizioni.
La
parrocchia come comunità di comunità
Se è necessario recuperare il primato di Dio e fare in modo
che tutto il territorio parrocchiale possa vivere un incontro personale con
Gesù, allora il cammino sarà quello della decentralizzazione della parrocchia.
Non è solo un discorso ecclesiologico, ma prima di tutto umano. Infatti, «la
grande comunità, praticamente impossibilitata a mantenere i vincoli umani e
sociali tra tutti, può essere settorializzata in gruppi minori» (D 100, 244). Il
processo di accentramento dell’azione pastorale della parrocchia può
incentivare la formazione di nuove piccole comunità, oltre a valorizzare la
presenza sul territorio di CEB e gruppi locali dei nuovi movimenti, in
particolare di quelli carismatici. In questo modo la parrocchia crea le
condizioni affinché le persone possano incontrare il Signore in spazi alla
portata dei singoli, con una dimensione più umana e meno dispersiva. È
decentralizzando l’azione pastorale che la parrocchia può annunciare il Vangelo
là dove non è mai arrivata. Oltre a ciò, «la parrocchia che decentralizza il
suo servizio favorisce la presenza di leader e ministri laici, e riesce in modo
migliore a raggiungere coloro che si sono allontanati». Il testo lascia
emergere una chiara presa di coscienza, rispetto alla necessità di non
appesantire il lavoro dei presbiteri. La decentralizzazione della parrocchia ha
due esigenze implicite: l’organizzazione di nuove piccole comunità, e la
valorizzazione e formazione del laicato locale.[1]
Il problema che a questo
punto si pone è il seguente: in che modo creare piccole comunità e quale
relazione costruire con le CEB già esistenti? L’espressione “piccole comunità”
indica piccoli gruppi di persone, che si conoscono tra loro e che condividono
la vita come discepole missionarie di Cristo. Il riferimento del testo è alle
comunità interne alle parrocchie latinoamericane; parrocchie che, a differenze
di quelle europee, non sono formate esclusivamente dalla Chiesa centrale, ma da
altre “cappelle” sparse sul territorio. In definitiva, le parrocchie
latinoamericane hanno già una struttura decentrata sul territorio. Il D100,
però, insiste su questo cammino di decentramento, invitando anche le cappelle
che si trovano sul territorio, a promuovere piccole comunità costituite da
persone già attive nei servizi pastorali della parrocchia. Questa ulteriore
decentralizzazione ha l’obiettivo di attrarre coloro che sono lontani dalla
vita parrocchiale, per accoglierli nella vita della piccola comunità: «Dove sia
possibile settorizzare territorialmente la parrocchia che così sia fatto!» ( D
110, 248).
E come procedere, laddove
questo risulti impossibile? Una cosa, infatti, sono le parrocchie della zona
rurale, costituite da comunità in cui le persone si conoscono. Molto spesso le
piccole comunità della campagna sono composte da persone di poche famiglie
molto grandi. Il problema si pone soprattutto nelle città, teatro di grandi
afflussi dalle campagne, e di frequenti movimenti migratori, che non facilitano
la relazione e la prossimità tra persone. Il tentativo di imporre una vita di
comunità in un simile contesto così è molto arduo, e spesso sterile. Nelle
grandi città la vicinanza geografica non significa necessariamente vicinanza di
vita. Per questo motivo, il testo apre nuovi orizzonti che vanno al di là della
territorialità. «Dove non si riesce a costituire una comunità, si può seguire
il criterio dell’adesione per affetto o interesse. Possono esistere comunità
affettive, organizzate a partire dal carisma, che trascendono i confini del
territorio fisico e si organizzano intorno a spazi di interesse. Le affinità
possono essere tra i giovani, gli universitari, gli anziani, gli sposi, ecc.».
Questa nuova prospettiva,
che in realtà fa riferimento ad una proposta emersa dalla conferenza di
Aparecida, mostra che la nuova
conformazione parrocchiale, non solo trascende l’idea di parrocchia come
insieme o rete di CEB, o insieme di movimenti, ma promuove ed incentiva una
riorganizzazione tale da provocare la formazione di nuove piccole comunità, che
non necessariamente devono tenere in conto il territorio.
Le situazioni concrete
nelle quali si formano le nuove piccole comunità, sia di tipo territoriale, sia
di tipo affettivo, dettano i ritmi del cammino delle stesse. Se, a causa del
ritmo di vita più lento nelle campagne, le persone della comunità potranno
incontrarsi settimanalmente, nelle città questa cadenza settimanale è più
difficile. «L’importante è garantire incontri regolari e una comunicazione tra
i membri della comunità, in modo che si traducano in interesse e impegno di
amicizia e di fraternità» ( D 100, 252). L’importante è creare comunità di
persone che si relazionano, al fine di vivere al meglio la propria fede.
Vengono, poi, indicati i
due fondamenti principali della comunità: la Parola di Dio e l’Eucarestia. I
circoli biblici aiutano la comunità a trovare una propria identità e stimolano
la nascita dei ministeri, di persone che si dispongono a servire la comunità,
in base ai bisogni. Le persone accolte nella comunità superano in questo modo
l’anonimato, caratteristica della vita nelle grandi città, e si riuniscono per
crescere nello stile di vita proposto da Gesù. «L’incontro eucaristico, poi,
può essere realizzato nella Chiesa parrocchiale o nella cappella che riunisce
le molte comunità nell’unica comunità eucaristica, segno di unità e comunione»
(D 100, 256).
Il documento riconosce
inoltre che la conversione pastorale non riguarda una semplice organizzazione
strutturale, ma richiede un continuo sforzo di conversione personale al
Signore. Questo aspetto dev’essere ben visibile sia nelle comunità
parrocchiali, che nelle nuove comunità. Spesso, infatti, le relazioni
interpersonali tra i membri di una comunità cristiana sono corrose da
sentimenti umani negativi, come l’invidia, la gelosia, il parlare male degli
altri. Per poter attrarre, le comunità devono diventare sempre di più luogo del
perdono: «la vita comunitaria non è basata sull’assumere incarichi o attuare
servizi nella parrocchia: si tratta di essere autentico discepolo del Signore»
(D 100, 258). Non sarà possibile
accogliere coloro che si sono allontanati, se non c’è comunione tra i membri.
L’amore fraterno e il rispetto reciproco, tipico dell’esperienza delle prime
comunità cristiane, dev’essere il segno visibile anche del nuovo cammino che la
Chiesa desidera intraprendere. Affinché
le comunità siano rinnovate, devono essere casa di iniziazione cristiana. Il
D100 afferma che la rivitalizzazione delle parrocchie come comunione di
comunità, passa attraverso un lavoro costante di formazione, grazie a una
catechesi incentrata sulla Parola di Dio e sulla lettura orante della Parola
stessa.
Ogni comunità, anche la
più piccola, deve non solo curare la spiritualità e la formazione dei suoi
membri, ma divenire attenta alle persone più bisognose. L’attenzione alle
persone bisognose spinge la comunità verso la difesa della vita. Non si tratta
solo di un’attenzione ai poveri, ma anche ai grandi temi e alle grandi sfide
che la società affronta, quali l’ecologia, l’etica della politica, l’economia
solidale e la cultura della pace.
Per fare in modo che
tutti i membri delle comunità possano esprimere la loro opinione sul cammino
intrapreso, è necessario vigilare sugli spazi della sinodalità. Consigli
parrocchiali, assemblee e consigli economici che svolgono la propria attività
in un clima di trasparenza, sono strumenti necessari per rendere il cammino credibile:
«la società attuale vive nell’interattività. Le persone partecipano, opinano e
si posizionano nei confronti delle realtà del mondo. La conversione pastorale
presuppone un alto grado di considerazione verso i processi partecipativi di
tutti i membri della comunità parrocchiale» (D 100, 290). Quanto maggiore sarà la partecipazione alle
decisioni della comunità, tanto maggiore sarà la garanzia di continuità di un
cammino condiviso da tutti. Il D100 della CNBB è molto attento alle modalità di
interazione interne alla vita comunitaria e, per questo, non si ferma ad
approfondire il piano teorico, ma offre indicazioni concrete, affinché i membri
delle comunità possano vivere al loro interno in modo conforme all’insegnamento
del Vangelo e allo stile delle prime comunità cristiane. In questa prospettiva,
la sinodalità rivela un modo di intendere il cammino ecclesiale nella
prospettiva del popolo di Dio, che persegue il discernimento in merito ai
problemi emergenti, creando lo spazio affinché questo avvenga secondo una
modalità comunitaria. Le parrocchie che intendono essere aperte sul territorio,
creando spazi per le realtà ecclesiali già presenti e stimolando percorsi di
decentramento, trovano nella sinodalità uno strumento fondamentale affinché il
popolo di Dio possa esprimersi e percepire il protagonismo di un cammino
ecclesiale.
La conversione della
parrocchia esige anche un nuovo stile di formazione. Non si tratta
semplicemente di pensare ai contenuti da trasmettere ai membri della comunità.
È necessario trovare metodologie e processi che permettano di stimolare una
conversione e, di conseguenza, un cambiamento nella comunità:
Oggi è
indispensabile un’interazione, che facilita non solo un passaggio di
informazioni, ma un processo di apprendimento che avviene in una formazione
comunitaria. Metodi e pedagogie interattive e partecipative devono essere
incentivati. Queste metodologie devono prendere in considerazione la
particolare pratica delle comunità, e le esperienze della vita delle persone,
formando le coscienze ai valori della vita comunitaria e della fede cristiana
(D 100, 302).
L’attenzione alle
pedagogie interattive, deve caratterizzare, secondo il D100, anche il percorso
formativo dei seminaristi, che in quanto futuri pastori, persone chiamate ad entrare
a contatto con la vita, soprattutto nelle situazioni in cui questa soffre o è
minacciata, non possono accontentarsi di assimilare meri contenuti.
Il D100 si occupa infine
della presenza dei laici e delle laiche nelle comunità e della loro ministerialità:
«i ministeri laicali riflettono la dignità di tutti i battezzati e la
corresponsabilità di tutti i cristiani nella comunità» (D 100, 306). Ciò comporta la costruzione di comunità che
sappiano stimolare la partecipazione dei laici in differenti ministeri e
servizi. Tra questi servizi, il testo indica il ministero della Parola come
fondamentale per il buon andamento della comunità, in quanto sostiene le
comunità più piccole nella condivisione interna ai circoli biblici, e quelle
maggiori nella celebrazione del culto domenicale in assenza di presbitero. Il
documento richiama poi le considerazioni già riportate sui metodi formativi,
valide anche per i laici e le laiche che svolgono servizi ministeriali
all’interno della comunità.[2]
L’ultima parte del testo
contiene una severa critica a quelli che definisce “cattolici non
evangelizzati”, che non hanno fatto l’esperienza di un personale incontro con
Gesù Cristo e, per questo, manifestano una debole identità cristiana e poco
senso di appartenenza alla comunità. Questi cattolici sono, secondo il D100, i
maggiori responsabili dell’allontanamento dalle comunità di tante persone che
cercano nella variegata proposta di denominazioni neopentecostali, ciò che non
hanno trovato nella Chiesa Cattolica: Dio. Per questo motivo il duplice
dinamismo indicato dal testo in direzione della decentralizzazione e della cura
delle relazioni umane, verso una conversione pastorale delle parrocchie,
dovrebbe essere l’elemento portante della spinta missionaria auspicata da
Aparecida e stimolata dal D100 della CNBB: «La grande sfida delle parrocchie –
sostiene il testo nelle battute iniziali – è uscire in missione, smettere di
occuparsi solamente delle cose ordinarie e delle persone già presenti nella
comunità e uscire verso un incontro più ampio» (D 100, 31).
[1] Per dare continuità alle proposte
del D100, la CNBB ha dato alle stampe, nel 2016, un documento interamente
dedicato ai laici: Cristiani laici e
laiche nella Chiesa e nella società. Sale della terra e luce nel mondo (Documento
105 della CNBB). I numeri 225-247 sono dedicati al tema della formazione dei
laici. Interessante sottolineare la dicitura “laiche” accanto al termine “laiche”
che rivela la delicatezza di un cammino di Chiesa, e sottolinea l’importanza
della presenza femminile all’interno di questo cammino.
[2] L’aspetto della formazione dei
laici sarà poi approfondito dal documento 105 della CNBB, interamente dedicato
ai cristiani laici e laiche.
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