lunedì 29 aprile 2019

Le scelte pastorali della CNBB: la parrocchia come comunità di comunità


Paolo Cugini

Lo slancio propositivo di Aparecida ha prodotto come immediata conseguenza lo sforzo delle conferenze episcopali di America Latina e Caraibi di tradurre nel cammino delle chiese locali le indicazioni del documento finale. Su questa linea si è mossa anche la CNBB che, negli anni successivi alla V conferenza, si è impegnata a creare lo spazio per un cammino di attualizzazione dei temi proposti da Aparecida. Per promuovere il paradigma missionario occorreva, in primo luogo, rivedere la struttura della parrocchia, capire in secondo luogo come aiutare le CEB e i movimenti ecclesiali sorti negli ultimi decenni, a lavorare insieme nell’unico progetto di realizzazione del Regno di Dio, e infine come rendere i laici soggetti sempre più attivi del processo di evangelizzazione. Tutto ciò viene proposto nel documento 100 (d’ora in poi D100), pubblicato il 13 maggio 2014, frutto di un lungo lavoro di ascolto e di elaborazione durato alcuni anni, basato su un testo di studio elaborato l’anno precedente dalla CNBB, conosciuto come documento di studio n. 104.

CEB, Movimenti, associazioni di fedeli, comunità territoriali e transterritoriali


Il D100 della CNBB propone un nuovo stile parrocchiale, in grado di rispondere a esigenze nuove, senza tralasciare però ciò che lo Spirito Santo ha creato negli ultimi anni. Nel quadro ecclesiale latinoamericano, e in particolare in quello brasiliano, non ci sono più solamente le CEB, ma, accanto a queste, fioriscono numerosi movimenti, soprattutto di carattere carismatico, e comunità di nuova formazione sia territoriale che extraterritoriale., Prima di fare un passo fuori dal recinto del territorio parrocchiale, la parrocchia come comunità di comunità, deve non solo rendersi conto di cosa c’è sul proprio territorio, ma porre in atto quei cammini che permettano alle varie realtà ecclesiali di lavorare in comunione.
A proposito delle CEB, il testo non dice nulla di nuovo rispetto ai pronunciamenti anteriori del CELAM e della CNBB, ma ripropone e sottolinea alcune affermazioni del documento di Aparecida e dell’Evangelii Gaudium: parla del nuovo ardore evangelizzatore che le CEB hanno portato nella Chiesa brasiliana e, allo stesso tempo, chiede che non perdano il contatto con la realtà della parrocchia e con la comunione con il vescovo locale. La sottolineatura è una chiara risposta ai teorici delle CEB che ipotizzavano la parrocchia come rete di CEB, nella quale ogni comunità è autonoma, una piccola Chiesa a sé stante. Sia Aparecida che il D100 offrono una chiara risposta a questi tentativi di fare delle CEB strutture ecclesiali parallele alla vita pastorale della parrocchia. Viene, poi sottolineata l’importanza del servizio pastorale delle CEB a favore dei poveri. Infine, si riconosce che:
le CEB si caratterizzano in generale per la formazione delle comunità territorialmente stabilite, con forte accento missionario e legato all’impegno socio-trasformatore. Ponendo come centralità la Parola di Dio e l’Eucarestia e nel valore del piccolo gruppo che forma la comunità, la fraternità e la solidarietà, che impegnano il cristiano in favore del Regno di Dio, le CEB contribuiscono alla conversione pastorale della parrocchia.(D 100, 230).
I movimenti e le associazioni dei fedeli sono presentati come segnali della Provvidenza di Dio per la Chiesa di oggi. Questi movimenti ruotano intorno agli specifici carismi donati dallo Spirito Santo e offrono ai fedeli un cammino di vita spirituale. Anche a loro, il D100 raccomanda la comunione con la diocesi di riferimento e con i gruppi che collaborano all’interno delle parrocchie. Si assiste a volte ad una sorta di tensione negativa tra i movimenti, che rispondono prima di tutto ai loro coordinatori specifici, e il piano pastorale della diocesi che, in realtà, dovrebbe essere costruito con la partecipazione di tutti e, di conseguenza, dovrebbe vedere tutti gli operatori pastorali uniti nello stesso cammino. Il primo lavoro fondamentale è dunque quello della comunione: «questo suppone impegno e apertura dei movimenti e delle associazioni per integrarsi nelle comunità, così come apertura e accoglienza delle parrocchie per valorizzare persone e carismi differenti».(D 100, 234). Facendo riferimento all’esortazione apostolica Christifideles Laici, il D100 ricorda che i movimenti e le associazioni laicali non possono collocarsi sullo stesso piano delle comunità parrocchiali, come possibile alternativa. «Al contrario hanno il dovere del servizio nella parrocchia e nella Chiesa particolare» (D 100, 235).È la comunione il cammino e, allo stesso tempo, il lavoro pastorale da realizzare, che vede coinvolte tutte le entità pastorali presenti sul territorio. Senza questo preziosissimo lavoro è impossibile uscire verso la missione.
L’ultimo riferimento è alle comunità ambientali e transterritoriali. Queste comunità sono formate da gruppi di senza dimora, in Brasile chiamati “abitanti di strada”, universitari, studenti delle scuole superiori, impresari o artisti, infermi. È necessario pianificare un’azione evangelizzatrice non solo in questi ambienti vitali, ma anche in tutti quelli che si trovano sul territorio parrocchiale. Si esige quindi lo sforzo di tutti, per lavorare allo stesso progetto, senza divisioni e, soprattutto, senza competizioni.


La parrocchia come comunità di comunità


Se è necessario recuperare il primato di Dio e fare in modo che tutto il territorio parrocchiale possa vivere un incontro personale con Gesù, allora il cammino sarà quello della decentralizzazione della parrocchia. Non è solo un discorso ecclesiologico, ma prima di tutto umano. Infatti, «la grande comunità, praticamente impossibilitata a mantenere i vincoli umani e sociali tra tutti, può essere settorializzata in gruppi minori» (D 100, 244). Il processo di accentramento dell’azione pastorale della parrocchia può incentivare la formazione di nuove piccole comunità, oltre a valorizzare la presenza sul territorio di CEB e gruppi locali dei nuovi movimenti, in particolare di quelli carismatici. In questo modo la parrocchia crea le condizioni affinché le persone possano incontrare il Signore in spazi alla portata dei singoli, con una dimensione più umana e meno dispersiva. È decentralizzando l’azione pastorale che la parrocchia può annunciare il Vangelo là dove non è mai arrivata. Oltre a ciò, «la parrocchia che decentralizza il suo servizio favorisce la presenza di leader e ministri laici, e riesce in modo migliore a raggiungere coloro che si sono allontanati». Il testo lascia emergere una chiara presa di coscienza, rispetto alla necessità di non appesantire il lavoro dei presbiteri. La decentralizzazione della parrocchia ha due esigenze implicite: l’organizzazione di nuove piccole comunità, e la valorizzazione e formazione del laicato locale.[1]

Il problema che a questo punto si pone è il seguente: in che modo creare piccole comunità e quale relazione costruire con le CEB già esistenti? L’espressione “piccole comunità” indica piccoli gruppi di persone, che si conoscono tra loro e che condividono la vita come discepole missionarie di Cristo. Il riferimento del testo è alle comunità interne alle parrocchie latinoamericane; parrocchie che, a differenze di quelle europee, non sono formate esclusivamente dalla Chiesa centrale, ma da altre “cappelle” sparse sul territorio. In definitiva, le parrocchie latinoamericane hanno già una struttura decentrata sul territorio. Il D100, però, insiste su questo cammino di decentramento, invitando anche le cappelle che si trovano sul territorio, a promuovere piccole comunità costituite da persone già attive nei servizi pastorali della parrocchia. Questa ulteriore decentralizzazione ha l’obiettivo di attrarre coloro che sono lontani dalla vita parrocchiale, per accoglierli nella vita della piccola comunità: «Dove sia possibile settorizzare territorialmente la parrocchia che così sia fatto!» ( D 110, 248).  
E come procedere, laddove questo risulti impossibile? Una cosa, infatti, sono le parrocchie della zona rurale, costituite da comunità in cui le persone si conoscono. Molto spesso le piccole comunità della campagna sono composte da persone di poche famiglie molto grandi. Il problema si pone soprattutto nelle città, teatro di grandi afflussi dalle campagne, e di frequenti movimenti migratori, che non facilitano la relazione e la prossimità tra persone. Il tentativo di imporre una vita di comunità in un simile contesto così è molto arduo, e spesso sterile. Nelle grandi città la vicinanza geografica non significa necessariamente vicinanza di vita. Per questo motivo, il testo apre nuovi orizzonti che vanno al di là della territorialità. «Dove non si riesce a costituire una comunità, si può seguire il criterio dell’adesione per affetto o interesse. Possono esistere comunità affettive, organizzate a partire dal carisma, che trascendono i confini del territorio fisico e si organizzano intorno a spazi di interesse. Le affinità possono essere tra i giovani, gli universitari, gli anziani, gli sposi, ecc.».
Questa nuova prospettiva, che in realtà fa riferimento ad una proposta emersa dalla conferenza di Aparecida,  mostra che la nuova conformazione parrocchiale, non solo trascende l’idea di parrocchia come insieme o rete di CEB, o insieme di movimenti, ma promuove ed incentiva una riorganizzazione tale da provocare la formazione di nuove piccole comunità, che non necessariamente devono tenere in conto il territorio.
Le situazioni concrete nelle quali si formano le nuove piccole comunità, sia di tipo territoriale, sia di tipo affettivo, dettano i ritmi del cammino delle stesse. Se, a causa del ritmo di vita più lento nelle campagne, le persone della comunità potranno incontrarsi settimanalmente, nelle città questa cadenza settimanale è più difficile. «L’importante è garantire incontri regolari e una comunicazione tra i membri della comunità, in modo che si traducano in interesse e impegno di amicizia e di fraternità» ( D 100, 252). L’importante è creare comunità di persone che si relazionano, al fine di vivere al meglio la propria fede.




Vengono, poi, indicati i due fondamenti principali della comunità: la Parola di Dio e l’Eucarestia. I circoli biblici aiutano la comunità a trovare una propria identità e stimolano la nascita dei ministeri, di persone che si dispongono a servire la comunità, in base ai bisogni. Le persone accolte nella comunità superano in questo modo l’anonimato, caratteristica della vita nelle grandi città, e si riuniscono per crescere nello stile di vita proposto da Gesù. «L’incontro eucaristico, poi, può essere realizzato nella Chiesa parrocchiale o nella cappella che riunisce le molte comunità nell’unica comunità eucaristica, segno di unità e comunione» (D 100, 256).
Il documento riconosce inoltre che la conversione pastorale non riguarda una semplice organizzazione strutturale, ma richiede un continuo sforzo di conversione personale al Signore. Questo aspetto dev’essere ben visibile sia nelle comunità parrocchiali, che nelle nuove comunità. Spesso, infatti, le relazioni interpersonali tra i membri di una comunità cristiana sono corrose da sentimenti umani negativi, come l’invidia, la gelosia, il parlare male degli altri. Per poter attrarre, le comunità devono diventare sempre di più luogo del perdono: «la vita comunitaria non è basata sull’assumere incarichi o attuare servizi nella parrocchia: si tratta di essere autentico discepolo del Signore» (D 100, 258).  Non sarà possibile accogliere coloro che si sono allontanati, se non c’è comunione tra i membri. L’amore fraterno e il rispetto reciproco, tipico dell’esperienza delle prime comunità cristiane, dev’essere il segno visibile anche del nuovo cammino che la Chiesa desidera intraprendere.  Affinché le comunità siano rinnovate, devono essere casa di iniziazione cristiana. Il D100 afferma che la rivitalizzazione delle parrocchie come comunione di comunità, passa attraverso un lavoro costante di formazione, grazie a una catechesi incentrata sulla Parola di Dio e sulla lettura orante della Parola stessa.

Ogni comunità, anche la più piccola, deve non solo curare la spiritualità e la formazione dei suoi membri, ma divenire attenta alle persone più bisognose. L’attenzione alle persone bisognose spinge la comunità verso la difesa della vita. Non si tratta solo di un’attenzione ai poveri, ma anche ai grandi temi e alle grandi sfide che la società affronta, quali l’ecologia, l’etica della politica, l’economia solidale e la cultura della pace.
Per fare in modo che tutti i membri delle comunità possano esprimere la loro opinione sul cammino intrapreso, è necessario vigilare sugli spazi della sinodalità. Consigli parrocchiali, assemblee e consigli economici che svolgono la propria attività in un clima di trasparenza, sono strumenti necessari per rendere il cammino credibile: «la società attuale vive nell’interattività. Le persone partecipano, opinano e si posizionano nei confronti delle realtà del mondo. La conversione pastorale presuppone un alto grado di considerazione verso i processi partecipativi di tutti i membri della comunità parrocchiale» (D 100, 290).  Quanto maggiore sarà la partecipazione alle decisioni della comunità, tanto maggiore sarà la garanzia di continuità di un cammino condiviso da tutti. Il D100 della CNBB è molto attento alle modalità di interazione interne alla vita comunitaria e, per questo, non si ferma ad approfondire il piano teorico, ma offre indicazioni concrete, affinché i membri delle comunità possano vivere al loro interno in modo conforme all’insegnamento del Vangelo e allo stile delle prime comunità cristiane. In questa prospettiva, la sinodalità rivela un modo di intendere il cammino ecclesiale nella prospettiva del popolo di Dio, che persegue il discernimento in merito ai problemi emergenti, creando lo spazio affinché questo avvenga secondo una modalità comunitaria. Le parrocchie che intendono essere aperte sul territorio, creando spazi per le realtà ecclesiali già presenti e stimolando percorsi di decentramento, trovano nella sinodalità uno strumento fondamentale affinché il popolo di Dio possa esprimersi e percepire il protagonismo di un cammino ecclesiale.
La conversione della parrocchia esige anche un nuovo stile di formazione. Non si tratta semplicemente di pensare ai contenuti da trasmettere ai membri della comunità. È necessario trovare metodologie e processi che permettano di stimolare una conversione e, di conseguenza, un cambiamento nella comunità:
Oggi è indispensabile un’interazione, che facilita non solo un passaggio di informazioni, ma un processo di apprendimento che avviene in una formazione comunitaria. Metodi e pedagogie interattive e partecipative devono essere incentivati. Queste metodologie devono prendere in considerazione la particolare pratica delle comunità, e le esperienze della vita delle persone, formando le coscienze ai valori della vita comunitaria e della fede cristiana (D 100, 302).
L’attenzione alle pedagogie interattive, deve caratterizzare, secondo il D100, anche il percorso formativo dei seminaristi, che in quanto futuri pastori, persone chiamate ad entrare a contatto con la vita, soprattutto nelle situazioni in cui questa soffre o è minacciata, non possono accontentarsi di assimilare meri contenuti.

Il D100 si occupa infine della presenza dei laici e delle laiche nelle comunità e della loro ministerialità: «i ministeri laicali riflettono la dignità di tutti i battezzati e la corresponsabilità di tutti i cristiani nella comunità» (D 100, 306).  Ciò comporta la costruzione di comunità che sappiano stimolare la partecipazione dei laici in differenti ministeri e servizi. Tra questi servizi, il testo indica il ministero della Parola come fondamentale per il buon andamento della comunità, in quanto sostiene le comunità più piccole nella condivisione interna ai circoli biblici, e quelle maggiori nella celebrazione del culto domenicale in assenza di presbitero. Il documento richiama poi le considerazioni già riportate sui metodi formativi, valide anche per i laici e le laiche che svolgono servizi ministeriali all’interno della comunità.[2]
L’ultima parte del testo contiene una severa critica a quelli che definisce “cattolici non evangelizzati”, che non hanno fatto l’esperienza di un personale incontro con Gesù Cristo e, per questo, manifestano una debole identità cristiana e poco senso di appartenenza alla comunità. Questi cattolici sono, secondo il D100, i maggiori responsabili dell’allontanamento dalle comunità di tante persone che cercano nella variegata proposta di denominazioni neopentecostali, ciò che non hanno trovato nella Chiesa Cattolica: Dio. Per questo motivo il duplice dinamismo indicato dal testo in direzione della decentralizzazione e della cura delle relazioni umane, verso una conversione pastorale delle parrocchie, dovrebbe essere l’elemento portante della spinta missionaria auspicata da Aparecida e stimolata dal D100 della CNBB: «La grande sfida delle parrocchie – sostiene il testo nelle battute iniziali – è uscire in missione, smettere di occuparsi solamente delle cose ordinarie e delle persone già presenti nella comunità e uscire verso un incontro più ampio» (D 100, 31).





[1] Per dare continuità alle proposte del D100, la CNBB ha dato alle stampe, nel 2016, un documento interamente dedicato ai laici: Cristiani laici e laiche nella Chiesa e nella società. Sale della terra e luce nel mondo (Documento 105 della CNBB). I numeri 225-247 sono dedicati al tema della formazione dei laici. Interessante sottolineare la dicitura “laiche” accanto al termine “laiche” che rivela la delicatezza di un cammino di Chiesa, e sottolinea l’importanza della presenza femminile all’interno di questo cammino.
[2] L’aspetto della formazione dei laici sarà poi approfondito dal documento 105 della CNBB, interamente dedicato ai cristiani laici e laiche.

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