martedì 14 ottobre 2025

AMORE E PROFEZIA

 



l’insolubile legame Che Trasforma il Mondo

 

Paolo Cugini

In un’epoca in cui spesso ci si ferma alle apparenze e le relazioni rischiano di diventare superficiali, accostare le parole amore e profezia può sembrare quasi un ossimoro. Eppure, queste due dimensioni sono unite da un vincolo profondo e inscindibile: solo chi ama davvero riesce a vedere oltre ciò che è immediatamente visibile agli occhi. L’amore, infatti, non si limita a sentimenti passeggeri o a emozioni effimere, ma diventa una forza capace di penetrare le tenebre e di percepire la luce, anche quando tutto sembra buio.

Amore e profezia. Sembra strano, ma è un binomio strettissimo. Solo chi ama riesce a vedere oltre l’apparenza. Amare non significa accettare passivamente ciò che ci circonda, ma saper scorgere i segni nascosti di speranza e cambiamento anche nei momenti più difficili. L’amore autentico ci rende capaci di ascoltare il cuore della realtà e di riconoscere la promessa dell’aurora anche nell’oscurità più profonda. Solo chi ama profondamente desidera una giustizia che vada oltre il proprio interesse personale. Solo chi ama desidera la giustizia, perché non sopporta le disuguaglianze e grida contro ogni forma di sopruso. L’indifferenza è il vero nemico della profezia: chi ama non può voltarsi dall’altra parte di fronte all’ingiustizia, ma diventa voce che denuncia e braccia che costruiscono. Amare significa anche non tacere di fronte al male, ma prendere posizione, rischiare, impegnarsi in prima persona.

Questi sono i tratti del profeta, che viene da una profonda esperienza d’amore, dalla ricerca quotidiana del volto del mistero che intravede nella storia. Il profeta non è un visionario isolato o un semplice predicatore, ma una persona che, attraverso l’amore, si mette in ascolto del Mistero che abita la realtà. È la passione per il bene e la ricerca costante di senso che lo spinge a leggere la storia con occhi nuovi e a intravedere possibilità laddove gli altri vedono solo limiti. È il profeta, che è l’uomo o la donna dell’amore profondo del Mistero, ad essere portatore di pace, costruttore di ponti, lavoratore instancabile per costruire alleanze.  In un tempo segnato da divisioni, diffidenze e conflitti, il profeta è colui che sa abbattere i muri e gettare ponti tra le persone. La sua è un’opera silenziosa ma straordinaria: cerca la pace, semina speranza, costruisce alleanze durature perché radicate nell’autenticità dell’amore.

In un mondo che ha bisogno di profeti, ognuno di noi può scegliere di amare con profondità, guardando oltre le apparenze e impegnandosi per una giustizia vera e una pace possibile. La profezia, allora, non sarà solo parola, ma vita vissuta, testimonianza concreta che un altro mondo è possibile quando l’amore diventa la nostra luce guida.

domenica 12 ottobre 2025

UNIFORMITA’ E DIFFERENZA

 


 

Paolo Cugini

 

 

In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, il tema della differenza acquista un ruolo centrale nella riflessione educativa, sociale e culturale. Accompagnare la differenza significa accettare e valorizzare l’unicità di ogni individuo senza cadere nella facile tentazione di uniformare, di appiattire le diversità in nome di un’apparente armonia comune. Questa sfida, tutt’altro che semplice, rappresenta uno degli snodi fondamentali per la costruzione di una società più inclusiva e giusta. Quando si parla di accompagnare la differenza, si fa riferimento all’atteggiamento di apertura, ascolto e rispetto nei confronti dell’altro, sia esso portatore di una cultura, una visione del mondo, una religione o uno stile di vita differente dal proprio. In ambito educativo, questa responsabilità si traduce nella capacità di insegnanti, genitori e formatori di offrire strumenti per la crescita personale, senza forzare modelli precostituiti o ricette universali. Non esiste una sola strada per diventare buoni cittadini; ognuno porta con sé un patrimonio irripetibile di esperienze, emozioni e talenti.

La tentazione dell’uniformità nasce spesso dal desiderio di semplicità, di ordine e prevedibilità. È più facile gestire un gruppo omogeneo, dove le regole valgono per tutti nello stesso modo e le differenze vengono ridotte al minimo. L’uniformità, se portata all’estremo, rischia di soffocare la creatività, l’innovazione e, soprattutto, il diritto di ciascuno a essere se stesso. Accogliere la differenza non significa limitarsi a tollerarla, ma saperla valorizzare come fonte di arricchimento collettivo. In Italia, così come in molte altre realtà europee, si sta lentamente affermando una cultura del pluralismo che punta sull’inclusione e sulla partecipazione attiva di tutti i cittadini, senza distinzioni di origine, genere, orientamento o abilità.

Ascolto attivo: Mettersi in ascolto profondo dell’altro significa riconoscere le sue esigenze, le sue paure e le sue aspirazioni, senza giudicare né etichettare. Educazione alla complessità: Aiutare le nuove generazioni a orientarsi in un mondo complesso e mutevole permette di costruire ponti, non muri. Flessibilità e personalizzazione: Adattare le proposte formative e lavorative alle caratteristiche di ciascuno, senza costringerli dentro schemi rigidi, favorisce lo sviluppo autentico delle potenzialità individuali. Promozione del dialogo interculturale: Il confronto tra culture, lingue e tradizioni diverse contribuisce a superare stereotipi e pregiudizi, creando un clima di reciproca fiducia.

Accompagnare la differenza senza cedere all’uniformità è un esercizio quotidiano che richiede consapevolezza, competenza e una buona dose di umiltà. Solo così potremo costruire una società in cui la diversità non sia motivo di esclusione, ma motore di crescita comune. Il futuro appartiene a chi sa cogliere la bellezza della differenza e farne un valore condiviso.

sabato 4 ottobre 2025

LA TEOLOGIA DAL BASSO CAMMINO PER UNA TEOLOGIA CONTAMINATA

 



 

Paolo Cugini

 

Nel panorama contemporaneo della riflessione teologica, si fa sempre più strada il bisogno di una teologia che sappia mettersi in ascolto della realtà, una teologia dal basso capace di cogliere l’azione dello Spirito Santo dentro la storia concreta. Questa prospettiva si pone come alternativa vivace alla teologia occidentale di tipo deduttivo, che spesso formula dogmi partendo da concetti astratti, rischiando di perdere il contatto con il vissuto delle persone e con ciò che lo Spirito Santo prepara nel quotidiano. La teologia dal basso nasce dall’esperienza, dall’incontro con l’altro, dall’ascolto delle domande che emergono dalle pieghe della storia e dalle ferite dell’umanità. In questo approccio, la riflessione non parte da principi universali astratti, ma dalla concretezza della vita, dalle storie di uomini e donne che cercano senso e salvezza. “La realtà supera l’idea”, direbbe Papa Francesco, richiamando l’esigenza di non chiudersi in schemi statici ma di lasciarsi interpellare dalla storia.

Questa apertura alla realtà non è solo metodo, ma anche contenuto: è qui che lo Spirito Santo agisce, trasforma, prepara cammini nuovi. La teologia dal basso diventa così, una teologia contaminata, cioè capace di lasciarsi interpellare e modificare dal contatto con la vita reale, dalle culture, dai cambiamenti sociali, dalle sofferenze e dalle speranze dei popoli. La teologia occidentale, soprattutto nella sua forma più deduttiva, ha spesso privilegiato la formulazione di dogmi a partire da concetti astratti, talvolta estraniandosi dal contesto storico e dalla realtà vissuta. Questo metodo, che affonda le radici nella filosofia greca e nella scolastica medievale, ha certamente garantito la coerenza e la profondità del pensiero cristiano, ma rischia di diventare autoreferenziale. Il pericolo è quello di una teologia in vitro, che analizza la fede come oggetto da laboratorio, senza lasciarsi contaminare dalla vita, ma anzi, difendendosi da essa.  In questo modo, la riflessione teologica può perdere la sua forza profetica e il suo dinamismo, non riuscendo a cogliere ciò che lo Spirito Santo sta preparando nella storia attraverso le novità, le crisi, le sfide e le trasformazioni. Questo è forse, uno dei problemi più evidenti nel dibattito teologico contemporaneo, in cui è palese l’incapacità della teologia ufficiale e del Magistero ecclesiale di dialogare con i temi che il vissuto quotidiano evidenzia come urgenti. Una teologia che si difende dalla vita, per proteggere i propri principi assoluti, ritenuti innegoziabili, è destinata a rimanere fuori dai giochi della vita reale e, alla distanza, ad essere ignorata nel dibattitto che cerca soluzioni ai problemi esistenziali.

Al contrario, una teologia contaminata è una teologia che accetta il rischio dell’incontro, dell’incarnazione, della mescolanza. Non teme di sporcarsi le mani nella storia, di confrontarsi con ciò che è nuovo, diverso, imprevisto. È una teologia che riconosce che lo Spirito Santo non agisce solo nei luoghi istituzionali o nei dogmi consolidati, ma anche e, soprattutto, nelle periferie, nelle domande scomode, nei cambiamenti sociali, nelle lotte per la giustizia. Questa prospettiva richiama il modello biblico, dove Dio si rivela nella storia concreta di un popolo, attraverso vicende spesso segnate dal dolore e dalla speranza. La teologia dal basso, contaminata dalla realtà, diventa allora un luogo di discernimento, di ascolto, di creatività, capace di generare nuove sintesi e nuove vie per la fede. È nei cammini della storia che il teologo dovrebbe trovarsi, per porsi in ascolto, ed elaborare una teologia che sa di terra e acqua, di vita vissuta e non di puzza di libri e scaffali. In un mondo in rapido cambiamento, la teologia non può accontentarsi di ripetere formule astratte, ma deve mettersi in ascolto della realtà, lasciandosi contaminare dalla storia e dalle domande che emergono dal vissuto quotidiano. Solo così potrà cogliere davvero l’azione dello Spirito Santo, che continua a preparare cammini nuovi per la Chiesa e per l’umanità. La teologia dal basso invita a lasciare le rive sicure dell’astrazione per navigare nel mare aperto della vita, dove lo Spirito soffia e rinnova ogni cosa.

 

 

giovedì 2 ottobre 2025

Pirati, traffico e garimpo: un fiume sulla rotta del crimine al confine dell’Amazzonia

 

Santo Antonio do Iça in un giorno di festa



Articolo di: Bruno Abbud

Traduzione: Paolo Cugini

 

Articolo apparso il 28 aprile 2025 sulla rivista online: SUMAÚMA

[https://sumauma.com/piratas-trafico-e-garimpo-um-rio-na-rota-do-crime-na-fronteira-da-amazonia/].

 

Questa è una storia di pirati, di chi li combatte, di crociate, uomini potenti e ortaggi ingannevoli. Ma è tutt’altro che finzione. È lo specchio di una realtà complessa che mostra come i confini immaginari di un fiume che attraversa quattro paesi permettano alla criminalità organizzata di avanzare senza freni e trarre profitto dalla distruzione dell’Amazzonia.

Nota: (Il "garimpo" è un'attività di estrazione mineraria su piccola scala, spesso illegale, concentrata in America Latina, in particolare in Brasile e Guyana. Consiste nell'estrarre oro, pietre preziose o altri minerali da fiumi e depositi, utilizzando metodi e attrezzature rudimentali. La pratica del garimpo, soprattutto nelle sue forme clandestine, è nota per i gravi danni ambientali e per la non osservanza delle norme di sicurezza, sebbene esistano anche pratiche regolamentate che mirano a garantire sostenibilità economica e ambientale).

Capitolo 1. Le cipolle

Il 6 gennaio, un lunedì, una cuoca prese una cipolla per preparare il pranzo a Santo Antônio do Içá, un comune nello stato dell’Amazonas, al confine con la Colombia. Sollevandola, sentì che era più pesante del solito e chiamò il suo datore di lavoro. L’uomo prese un coltello e cercò di incidere la buccia, ma all’interno trovò una sostanza dura e giallastra: era pasta base di cocaina.

La cipolla ripiena di stupefacente era stata acquistata il sabato precedente dalla suocera, raccontò l’uomo portando l’ortaggio alla Base Garateia della Polizia Federale, una casa in ristrutturazione che ospita due agenti, a volte tre, e che è responsabile del controllo di una delle rotte del narcotraffico più trafficate al mondo. Era stata comprata al supermercato Içaense, il più grande di Santo Antônio do Içá, di cui uno dei soci è il sindaco della città, Walder Ribeiro da Costa, noto come Cecéu, del MDB. In casa dell’uomo furono trovate altre due cipolle ripiene della stessa droga. I poliziotti andarono quindi al supermercato, controllarono cipolla per cipolla, ma non trovarono più cocaina.

Una settimana dopo, però, accadde di nuovo. Un altro abitante portò a casa nuove cipolle ripiene di droga, acquistate sempre al supermercato del sindaco. Quel sabato, quando fu comprata la prima “cipolla battezzata”, la Polizia Militare aveva sequestrato, su segnalazione anonima, un sacco di cipolle ripiene con 16 chili di pasta base di cocaina vicino al porto della città. Raffinata, la sostanza si trasforma in cloridrato di cocaina, la polvere bianca il cui chilo può valere centinaia di migliaia di dollari all’estero. “Quando hanno sequestrato quel sacco, la droga era già nel supermercato del sindaco”, ha detto un poliziotto che ha parlato con SUMAÚMA sotto anonimato.

Le cipolle ripiene di droga erano state comprate al mercato Içaense, che appartiene al sindaco. Il direttore del mercato ha raccontato che le cipolle facevano parte di un ordine di dieci sacchi da un fornitore di Tabatinga, la città più grande della regione, anch’essa al confine con la Colombia, a nove ore di motoscafo – e il fornitore era un brasiliano di origine peruviana.

Per indagare sul caso sono state aperte due inchieste, una dalla Polizia Civile dell’Amazonas, l’altra dalla Polizia Federale. Entrambe sono in corso. Inizialmente, secondo quanto appurato da SUMAÚMA, il sindaco non risulta indagato. A fine marzo, il commissario di Santo Antônio do Içá, Ubiratan Farias, intendeva mettere a confronto il direttore del mercato e il fornitore delle cipolle, sospettando che uno dei due avesse mentito durante la deposizione.

Il caso delle cipolle misteriose illustra la complessità della vita alle frontiere amazzoniche, dove la criminalità organizzata si mescola tra paesi diversi e circola liberamente per l’assenza dello Stato. Il confine, lì, non è una barriera con doganieri che controllano ogni documento; è solo un fiume, attraversato da barche senza alcun controllo o impedimento. A volte c’è solo una base dell’Esercito responsabile di aree vastissime. Alle frontiere tra i paesi, le barche navigano liberamente senza alcuna barriera doganale

Fiume Iça


Capitolo 2. Le fazioni

In quelle acque non si sa dove inizi o finisca un paese. E la criminalità organizzata si confonde tra le varie nazionalità, come mostra un’inchiesta giornalistica guidata dalla Rete Transfrontaliera di OjoPúblico, del Perù, in collaborazione con SUMAÚMA e i quotidiani La Silla Vacía (Colombia) e Código Vidrio (Ecuador). L’inchiesta rivela che il traffico di droga è presente in sette località su dieci al confine amazzonico di quattro paesi: Brasile, Perù, Colombia ed Ecuador. In molte, agiscono diverse fazioni, a volte di paesi diversi, che collaborano tra loro. Santo Antônio do Içá è una di queste località. Al mattino il traffico di moto è già frenetico; i passeggeri portano spesso pesci appesi per la bocca, senza casco sotto il sole cocente. Le strade sono piene di buche e la polvere avvolge i quartieri davanti all’immensità del fiume. Il comune, quasi 28mila abitanti, è il punto dove sfocia il Rio Içá, che nasce sulle Ande colombiane col nome di Putumayo e serpeggia per quasi 2.000 km tra i confini di Colombia, Ecuador e Perù fino all’Amazzonia brasiliana, dove si unisce al Rio Solimões (nome dato al Rio delle Amazzoni in quella zona). Per questo motivo, l’Içá è diventato essenziale per la logistica del trasporto della droga prodotta nelle valli dei paesi vicini. È l’unico fiume amazzonico che attraversa i quattro paesi. Le sue acque torbide scorrono in zone di foresta fitta e poco sorvegliata, portando in Brasile cocaina e marijuana prodotte nei paesi confinanti. “Ogni giorno. Di notte inizia il flusso delle barche”, racconta un Indigeno che vive vicino al fiume. “Sì, è di notte che si muovono [i trafficanti]”, conferma un abitante.

Le cipolle ripiene di droga sono parte di un ecosistema dominato da fazioni criminali, garimpeiros, imprenditori e politici ricchi che traggono profitto anche dalla distruzione ambientale. E c’è un’aggravante: le fazioni criminali del Sud-Est del Brasile, più organizzate, da una decina d’anni hanno intensificato la loro presenza nel nord e professionalizzato la gestione delle frontiere. Prima gestite da criminali locali, le rotte illegali – anche di armi – sono ora in mano a gruppi come il Primeiro Comando da Capital (PCC) di San Paolo e il Comando Vermelho (CV) di Rio de Janeiro, racconta il ricercatore César Mello, colonnello in pensione della Polizia Militare del Pará e membro del Forum Brasiliano di Sicurezza Pubblica.

Secondo Mello, il Comando Vermelho è arrivato con forza nell’Amazzonia brasiliana nel 2017, dopo l’uccisione di Jorge Rafaat Toumani, ex re delle frontiere in Paraguay, per mano del PCC. La frontiera paraguaiana era una delle principali rotte della droga nel paese e, una volta conquistata dal PCC, rivale del CV, la fazione di Rio de Janeiro ha deciso di concentrare gli sforzi a nord, ai confini con Colombia e Perù. “La FDN, Família do Norte, che era la terza fazione del Brasile, controllava quelle rotte, ma in modo amatoriale. Dopo la morte di Rafaat e il dominio del PCC sulla rotta paraguaiana, il Comando Vermelho si è spostato a nord per non lasciare tutto al PCC, altrimenti non avrebbe più avuto accesso alla droga. Sono arrivati con forza e oggi hanno consolidato la rotta”, afferma Mello.

Nel 2024, 15 tonnellate di cocaina sono state sequestrate dalle forze di sicurezza statali in Amazonas – il doppio rispetto all’anno precedente. Nel primo trimestre del 2025 sono state sequestrate 11 tonnellate di stupefacenti (di ogni tipo), di cui una tonnellata nella regione della Triplice Frontiera, dove si trova Santo Antônio do Içá. In tutto il Brasile, nel 2024, la Polizia Federale ha confiscato 74,5 tonnellate di cocaina, un dato in calo rispetto alla media degli ultimi cinque anni, secondo l’organizzazione Fiquem Sabendo. La Segreteria di Sicurezza Pubblica di Amazonas afferma di aver intensificato le azioni di controllo.

Secondo le Nazioni Unite, oltre i confini amazzonici brasiliani – in Perù, Colombia e Bolivia – ci sono 355mila ettari di coltivazioni di foglie di coca, il doppio della superficie della città di San Paolo. Il rapporto stima che nel 2022 queste coltivazioni abbiano prodotto 2.757 tonnellate di cocaina pura, contro le 869 tonnellate stimate nel 2014: un aumento del 217% in otto anni. Sempre secondo l’ONU, nel 2022 c’erano 23,5 milioni di consumatori di cocaina nel mondo.

A Santo Antônio do Içá, oltre al carico di cipolle ripiene di droga, a febbraio scorso è stata sequestrata una tonnellata di marijuana skunk sul Rio Içá dall’Esercito. In agosto, a Benjamin Constant, vicino, sono state scoperte 4 tonnellate di cocaina: il più grande sequestro di droga nella storia dell’Amazonas.

Secondo la polizia e gli abitanti ascoltati da SUMAÚMA, buona parte dei carichi clandestini intercettati nella regione passa sul Rio Solimões nelle ore notturne, davanti a Santo Antônio do Içá. Tuttavia, la maggior parte transita indisturbata, sia sul Solimões sia sull’Içá. Oltre al narcotraffico, le fazioni ora controllano anche i crimini ambientali: gestiscono il garimpo e la pesca illegale, la deforestazione e la biopirateria, secondo il consulente del Forum di Sicurezza Pubblica.

A Santo Antônio do Içá, il traffico rimane sotto il controllo del Comando Vermelho, secondo dati del Forum. Tuttavia, altre fazioni coesistono nell’Alto Solimões. Spesso la lotta per il territorio sfocia in conflitti, aumentando il tasso di omicidi. La vicina Tabatinga, ad esempio, è tra le 50 città più violente dell’Amazzonia Legale tra il 2021 e il 2023, con una media di 77,4 vittime ogni 100mila abitanti. Nello stesso periodo, la media nazionale è stata di 23,4, quella dell’Amazzonia Legale di 33,4 (+42,4% rispetto al dato nazionale). In alcuni casi, però, le fazioni si accordano per controllare attività diverse, riducendo i conflitti.

Santo Antônio do Içá ne è un esempio. In un pomeriggio di marzo, sui muri logorati dal sole e dalla pioggia al centro della città si leggono le sigle delle fazioni: “CV-AM” su uno, “PCC” su un altro. “Il PCC ora è più legato ai garimpos nel Nord, il CV alle droghe”, dice Mello. Qui, la media degli omicidi intenzionali è bassa: meno di nove vittime ogni 100mila abitanti tra il 2021 e il 2023.

Le fazioni rivali spesso coesistono nello stesso comune, ma si accordano per controllare attività criminali diverse

Secondo la terza edizione dello studio “Cartografie della Violenza nell’Amazzonia”, pubblicato dal Forum nel dicembre 2024, la presenza di fazioni è stata identificata in 21 dei 62 comuni dell’Amazonas. In 13 ce n’era solo una; in otto, due o più. Il Comando Vermelho, egemone in dieci città, è presente in tutti e 21 i comuni, anche dove ci sono altre fazioni. Altri tre comuni sono controllati dai Piratas do Solimões, fazione locale, e altri tre dal PCC.

Lo studio rivela anche che nel Rio Içá ci sono “indizi della presenza” di fazioni colombiane “alleate del CV per il rifornimento di marijuana e cocaina, trasportate per fiume”. Nella regione del Putumayo predomina il gruppo Comandos da Fronteira (in spagnolo, Comandos de la Frontera), noto anche come “La mafia di Sinaloa”, dal soprannome di uno dei vecchi leader, Pedro Oberman Goyes detto “Sinaloa”, assassinato da un complice nel 2019. Formata da circa mille ex guerriglieri dissidenti delle Farc, la fazione è nata nel 2017 dopo gli accordi di pace in Colombia. Nel Rio Içá si occupano della droga e del trasporto; i criminali brasiliani pensano a distribuirla nelle capitali, seguendo la rotta del Rio delle Amazzoni fino a Manaus.



Il Forum di Sicurezza Pubblica indica che il Solimões, che riceve le acque dell’Içá, è la principale rotta dei trafficanti: collega Brasile, Perù e Colombia nella regione della Triplice Frontiera Nord. Poi vengono altri fiumi: Javari, Içá, Japurá, Juruá, Purus, Negro e Mamoré, tutti nella regione dell’Amazzonia Occidentale (stati di Amazonas, Acre, Roraima e Rondônia). Ancora secondo lo studio, la cocaina arriva a Manaus attraverso il Rio delle Amazzoni e, lungo il percorso, viene caricata su navi cargo per l’Africa e l’Europa. L’Amazzonia ha oggi dieci comuni con infrastrutture portuali che “collegano la regione al mondo”. I trafficanti usano anche “sottomarini artigianali”, capaci di trasportare droga “dalla Colombia fino ad altri continenti, attraversando l’Amazzonia per i fiumi Solimões e Amazzoni”.

Al mattino, a Santo Antônio do Içá – dove sei abitanti su dieci ricevono il Bolsa Família e il monitoraggio della frequenza scolastica da parte delle autorità pubbliche è al di sotto della media nazionale – il porto è affollato. L’odore di pesce e di salatini appena sfornati invade il capannone. A pochi metri dai muri imbrattati, i residenti della città sono venuti a ricevere i pescatori e a contrattare i pesci catturati durante la notte. Tambaquis. Surubins. Bodós. Pirapitingas. Un caimano senza testa. L’abbondanza del fiume contrasta con la povertà della città, composta per la maggior parte da case di legno prive di servizi igienici. Cani maltrattati e malati si aggirano agli angoli delle strade. C’è una donna accovacciata con una pentola sopra la legna che brucia. Strade dissestate, salite ripide. La miseria. Una realtà che Vilma (nome di fantasia), 35 anni, vive fin da bambina. Tossicodipendente, cammina per il porto, mentre apre la borsa e tira fuori una busta di plastica piena di riso cotto. Prende il cibo con le mani e comincia a mangiare. “Manca la farina”, dice, e getta il cibo ai pesci. “Detesto mangiare senza farina.” Si raddrizza, si fa seria e fissa un uomo ubriaco in lontananza, che si avvicina barcollando. “Zio, siediti qui”, dice Vilma, cercando di aiutare l’uomo. “Quello è mio zio”, afferma. “Mi ha stuprata quando avevo 7 anni.”

Le case di Benjamin Constant e i ribeirinhos di Santo Antônio do Içá fanno parte del paesaggio del ‘territorio narco’. I mototassisti circolano ovunque. La coda rosa di un boto salta fuori dall’acqua. Le casse acustiche diffondono reggaeton colombiano, segno dell’influenza del paese vicino. “Nella musica, nel cibo, in tutto…”, dice una residente. Quando si alloggia in un hotel, la colazione è anche a base di patacón. “I trafficanti, a volte, nascondono un carico nel fiume, nel bosco. Il pescatore che si avvicina muore”, racconta un abitante del porto. “Ne sono già morti due così”, prosegue. “Affondano la droga [nel fiume], resta sommersa per giorni, poi trovano il modo di farla riemergere.” Di notte, il Rio Içá è molto buio, dice.

Capitolo 3. Le miniere d’oro e la setta

“Ora pagano i colombiani, se hanno bisogno di scappare dall’altra parte [della frontiera, per sfuggire alla polizia]”, dice una leader, che ha preferito restare anonima. Si riferisce ai cercatori d’oro che operano nel territorio di Santo Antônio do Içá. Si spingono sempre più lontano, risalendo il Rio Içá, negli igarapé e sul Rio Puretê, soprattutto dopo che l’anno scorso la Polizia Federale ha fatto esplodere le chiatte con le draghe. Attualmente, la maggior parte delle draghe si concentra sul Puretê, più vicino al confine con la Colombia, afferma.

Il Puretê, che alimenta l’Içá, nasce anch’esso nel paese vicino ed è sempre più colmo di sabbia e ghiaia. Le draghe aspirano il letto del fiume e lo sputano sulle rive, insieme al mercurio. Nel tratto che attraversa il confine, il Puretê è deserto. Non dispone di una base del Pelotone Speciale di Frontiera dell’Esercito brasiliano, come accade sulle rive del Rio Içá, a Ipiranga, un villaggio militare con una pista d’atterraggio e una comunità di circa mille persone, che segna la separazione con la Colombia.

Il viaggio tra il confine e Santo Antônio do Içá richiede almeno dodici ore di motoscafo – o settimane, seguendo un vecchio sentiero nella foresta che parte da Tarapacá, in Colombia, racconta una residente. Lungo il percorso sul fiume, si incontra Vila Alterosa do Juí, una comunità fondata da José Francisco da Cruz, detto Fratello José, leader di una setta religiosa chiamata Ordine Incrociato Evangelico Cattolico Apostolico, o Fratellanza della Santa Croce – una religione che mescola cattolicesimo ed evangelismo –, che nel 1972 iniziò a piantare croci rosse sulle sponde dell’Alto Solimões e dell’Içá, tanto che oggi ci sono più comunità della “Cruzada”, come è noto il culto nella regione, che cattoliche o evangeliche.

Cercatori d'oro 


“Lì [i cercatori d’oro] hanno una base di rifornimento, le draghe vengono costruite lì. C’è un’officina, c’è tutto”, dice una leader in anonimato. Attraversando il fiume, “ci sono droni che ti sorvegliano”, raccontano altri tre residenti della zona. “Quando passi sul Puretê, già c’è un drone che ti riprende. Dei cercatori d’oro”, afferma un abitante che lavora nella salute indigena e visita spesso le comunità. “Qui tutti sanno tutto, ma nessuno dice niente”, aggiunge un altro.

Nella Vila Alterosa do Juí, un villaggio di circa 5 mila persone situato nel mezzo del Rio Içá – raggiungibile solo via acqua o aria, circondato da chilometri di foresta preservata –, la Cruzada ha una propria guardia. La località è vicino alla foce del Rio Puretê, che, come l’Içá, porta in Colombia. “Oggi sono circa 3 mila a seguire questa setta”, dice il parroco di Santo Antônio do Içá, Gabriel Carlotti. Indica le poche chiese cattoliche su una mappa del Rio Içá. La maggior parte delle comunità appartiene alla Cruzada. Le donne indossano vestiti fino alle ginocchia e portano una croce sul petto. I seguaci sono obbligati a partecipare a due culti al giorno e proibiti di praticare sport – “Perché, se si fanno male, come lavorano?”, dice Bento Kokama, un seguace, nel villaggio São José, dove vivono fedeli della setta. Il sociologo Pedrinho Guareschi ha registrato che il fanatismo religioso serviva da strumento ai colonnelli interessati a sfruttare la manodopera indigena. Morto negli anni ’80, il missionario Fratello José è sepolto nel villaggio. Attualmente, il suo successore, noto come pastore Damásio, alleva bufali e gestisce la raccolta della chiesa. Il pastore non è stato rintracciato dal reportage.

Una delle chiese della Cruzada sul riuo Iça


Le chiese della Cruzada sono diffuse nelle comunità dove è presente anche l’attività mineraria. Il garimpo insidia anche le comunità indigene della regione. Sinésio Trovão, leader Tikuna della Terra Indigena Betânia, a 20 chilometri da Santo Antônio do Içá, racconta che una volta un cercatore d’oro di Vila Alterosa do Juí gli ha offerto 500 mila reais per negoziare la permanenza delle draghe nella Terra Indigena per una settimana. “In una notte hanno estratto due chili d’oro [illegalmente] da lì [vicino]”, dice. Sinésio ha rifiutato la proposta.

Costruita su un enorme dirupo che ospitava villaggi e un carcere eretto dai portoghesi durante la colonizzazione, Santo Antônio do Içá fu fondata nel 1956. Vi vivono ancora indigeni Tikuna, i Magüta, e anche Kambeba, Kokama e Kaixana, molti dei quali ricordano i maltrattamenti e la violenza perpetrati dai bianchi. “Un tempo, dagli anni ’40 in poi, gli indigeni prendevano molte botte dai fazendeiros [usurpatori di terre] che sfruttavano bestiame e gomma in questa regione”, racconta Sinésio. Secondo lui, missionari statunitensi arrivarono e portarono via gli indigeni dall’area che oggi è la città, conducendoli sulle rive del Rio Içá, dove si trova Vila Betânia. Lì vivono circa 5 mila indigeni. All’epoca, gli stranieri insegnarono ai Tikuna a pregare e li vestirono con abiti da bianchi. Alle undici del mattino, nella maloca del villaggio, tuttavia, preservano la loro lingua. Un adolescente ascolta su YouTube, con il cellulare collegato a un’antenna Starlink, musica in lingua Tikuna. Sinésio organizza escursioni di francesi e tedeschi che partono da Bogotá per trascorrere qualche giorno nel villaggio.

Un tempo, i corpi galleggiavano giù per l’Içá, raccontano gli anziani, come il vice-capovillaggio Bernardino Tikuna. Oggi, il problema sono i furti di lance e motori fuoribordo durante la notte. “Qui hanno già rubato sei canoe e barche, vengono di notte”, dice Bernardino. “Rubano le canoe agli indigeni per andare a prendere la droga. Ne hanno già rubate molte”, aggiunge Sinésio. Gli indigeni, come i Tikuna, resistono con i loro rituali e la loro cultura, nonostante le pressioni della criminalità organizzata.

Padre Gabriele Carlotti mentre celebra in una delle comunità del fiume Iça


A Santo Antônio do Içá da cinque anni, padre Carlotti, un italiano magro dagli occhi chiari che ha vissuto per 17 anni in Bahia, di tanto in tanto naviga sul Rio Içá per visitare le comunità cattoliche. Con una lancia comprata dal Vaticano, dotata di sonar, riesce a visualizzare il letto del fiume. “Si vedono solo buchi”, dice, riferendosi ai segni lasciati dalle draghe. Durante le messe in città, il sacerdote pronunciava discorsi a favore dell’ambiente, criticando i cercatori d’oro. Non ci è voluto molto perché gli arrivasse una minaccia di morte. Era un avvertimento. “L’importante è che il fiume sia preservato da qualsiasi inquinamento che avveleni le acque, i pesci e le persone”, afferma Carlotti. La Chiesa Cattolica ha distribuito serbatoi d’acqua lungo l’Içá affinché i ribeirinhos potessero raccogliere acqua piovana, evitando il mercurio nel fiume.

Il commissario di polizia civile di Santo Antônio do Içá, Ubiratan Farias, da poco più di un anno in carica, non va spesso sul Rio Içá. “È un punto di rifornimento loro [dei cercatori d’oro], con il sostegno di parte della popolazione”, afferma. Racconta di aver dovuto annullare una missione sull’Içá per paura di un’imboscata. “Ci vado solo con una .50 [mitragliatrice] e dieci uomini”, dice, con una pistola alla cintura e un fucile appeso alla parete, nel suo ufficio in commissariato. Può contare solo su due investigatori, due cancellieri e uno stagista, oltre a una coppia di agenti federali che risiedono in città. Il commissario gestisce anche due celle con 23 detenuti, più due donne che, per mancanza di spazio, hanno dovuto alloggiare in cucina. Dei 1.182 rapporti di reato registrati dal febbraio 2024 nel comune, crocevia del narcotraffico, 270 sono per furto. Ladri che rubano per comprare droga, dice il commissario. Mentre parlava, ha dovuto liberare uno di loro, trovato con un cellulare rubato, per mancanza di spazio in carcere. La questura non ha una lancia propria e il carcere più vicino dista nove ore, a Tabatinga. Secondo il commissario, solo cinque casi di traffico sono stati registrati nell’ultimo anno. Le difficoltà strutturali aiutano a spiegare il numero basso.

Alla Base Garateia della Polizia Federale ci sono una lancia e due agenti. “La direttiva della direzione è ‘non rischiare la vita, lascia passare’ [la lancia con la droga]. Più avanti c’è la Base Arpão”, dice uno di loro, riferendosi al posto di sorveglianza della PF lungo il Rio, a Coari. Così, i poliziotti si concentrano sulle attività di Intelligence, afferma. La base della Polizia Federale si dedica ad ‘attività di Intelligence’ e il commissario della Polizia Civile va sul Rio Içá solo ‘con una .50 [mitragliatrice] e dieci uomini’.

Pirati attaccano un'imbarcazione sul fiume Iça


Capitolo 4. Pirati e politici

Una mattina di marzo, verso le 10, il supermercato Içaense, che si trova in una strada trafficata di Santo Antônio do Içá, era pieno di gente. Fuori, bancarelle di agricoltori vendevano banane, farina e sacchi di Uxi. Con oltre dieci file di prodotti in un enorme capannone, il supermercato è solo uno dei tanti affari del sindaco. Cecéu era già imprenditore, proprietario anche di un negozio di materiali da costruzione e della lotteria della città, prima di diventare sindaco. Rieletto per il secondo mandato lo scorso ottobre, è entrato in politica nel 2020, durante la pandemia, con un patrimonio importante: 2 milioni di reais, inclusi quattro camion, due pick-up, una pala caricatrice e un trattore cingolato. Quattro anni dopo, lo scorso ottobre, il suo patrimonio è aumentato del 21%, arrivando a 2,4 milioni di reais.

Cecéu è stato introdotto alla politica da un padrino: l’ex sindaco Abraão Magalhães Lasmar, uno dei maggiori imprenditori della città, che ha amministrato il comune per due mandati, dal 2013 al 2020. Lasmar controlla il commercio dei carburanti a Santo Antônio do Içá. L’edificio più grande del centro, il ristorante Diamante, è suo. Ma i due si sono separati. L’anno scorso, Lasmar ha perso le elezioni comunali contro l’ex alleato.

Anche l’ex sindaco ha avuto successo nell’aumentare il patrimonio. Nel 2016, quando fu eletto per il secondo mandato, Lasmar dichiarò un patrimonio di 444 mila reais. L’anno scorso, il valore è salito a 1,7 milioni di reais – un aumento del 283%. Sia Cecéu sia Lasmar sono indagati in un’inchiesta della Polizia Federale, aperta nel 2021, per sospetto di finanziamento di organizzazione criminale, riciclaggio di denaro, occultamento di patrimonio, appropriazione indebita di denaro pubblico ed evasione fiscale. Nel 2007, un familiare di Abraão Lasmar, José Magalhães Lasmar, noto come “Martelo”, è stato accusato dal Ministero Pubblico Federale di aver trafficato 34 chili di cocaina. I procuratori hanno descritto Martelo come “commerciante e proprietario di chiatte a Santo Antônio do Içá, trasportatore e uno dei maggiori fornitori di cocaina nello stato dell’Amazzonia”.

Interpellati, né l’ex sindaco Abraão Lasmar né l'attuale sindaco di Santo Antônio do Içá, proprietario del supermercato, hanno voluto rilasciare dichiarazioni. José Magalhães Lasmar non è stato rintracciato.

Il 27 febbraio, Santo Antônio do Içá ha mostrato la complessità dell’azione delle organizzazioni criminali. Una chiatta è stata assaltata dai pirati sul Rio Solimões, all’altezza di Tonantins, a 32 chilometri da Santo Antônio do Içá. Durante l’assalto, un terzo battello è apparso sparando colpi che hanno ucciso due membri dell’equipaggio. Erano trafficanti, ha raccontato un agente federale a SUMAÚMA, “che sono arrivati sparando” ai pirati. Il coinvolgimento dei trafficanti in questo caso non è ancora del tutto chiaro. Meno di una settimana dopo, due presunti pirati coinvolti nel crimine sono stati uccisi dalla Polizia Militare a Benjamin Constant e tre sono stati arrestati. Tra gli oggetti sequestrati, c’era un drone. I poliziotti sospettano che la chiatta trasportasse carburante per una miniera d’oro a Jutaí, lì vicino. La PF sta analizzando una registrazione dell’accaduto, ancora sotto indagine. “Ci sono molti furos [piccoli fiumi]. I pirati offrono la scorta [ai trafficanti]. Ma se non si paga la scorta, possono diventare pericolosi e prendere il carico degli altri”, afferma il commissario Ubiratan Farias.

“I pirati mettono droni sul fiume, per vedere le barche che passano. Preferiscono rubare droga e oro. Sono professionisti, molto armati. In questo tratto tra Tabatinga e Tefé ce ne sono molti”, dice il capo macchinista della lancia, 70 anni, quattro dei quali passati a navigare sul Rio Solimões. Quando approda a Santo Antônio do Içá, rimane in silenzio, prima di confessare: “Lavoro con paura”.

Presenza dell'esercito sul fiume Iça


Cosa dice l’Esercito

Il Ministero della Difesa ha dichiarato, in una nota, che nella regione dell’Amazzonia Occidentale, che comprende Amazonas, Acre, Rondônia e Roraima, l’Esercito Brasiliano, tramite il Comando Militare dell’Amazzonia, “mantiene un’attività permanente di preparazione e impiego delle sue truppe, assicurando così uno stato di prontezza per l’impiego di mezzi militari a favore della garanzia della sovranità nazionale”. Ha sottolineato inoltre che il Rio Puretê rientra nella “zona di responsabilità della 16a Brigata di Fanteria della Selva”, con un battaglione e tre pelotoni speciali di frontiera.

L’Esercito brasiliano, responsabile del monitoraggio delle frontiere, ha affermato in una nota che opera nella Regione Nord del paese “giorno e notte tramite il Comando Militare dell’Amazzonia e il Comando Militare del Nord, proteggendo la sovranità nazionale e combattendo i reati in coordinamento con altri organi e agenzie”. Ha spiegato che le operazioni sono rese difficili dalle “grandi dimensioni e dalla porosità della frontiera terrestre brasiliana, particolarmente nell’Amazzonia, unite alla grande complessità di accesso e logistica di permanenza”.

Ha evidenziato l’uso di azioni di Intelligence e di sorpresa per massimizzare i risultati, perché “è noto che l’azione quotidiana in una stessa località sposta il reato verso una zona meno sorvegliata”. La nota afferma inoltre che un peloton, un battaglione e una brigata operano nella regione e conducono un’Operazione Scudo permanente, che “include il pattugliamento del Rio Içá e del Rio Puretê”.

Secondo l’Esercito, le azioni di contrasto alla criminalità organizzata nella Frontiera Nord sono coordinate con altri organi e agenzie federali, statali e comunali. “Nel 2025, l’Operazione Ágata Congiunta Amazzonia, integrata al Programma di Protezione Integrata delle Frontiere (PPIF), ha già avviato la fase di pianificazione e prevede l’inizio delle azioni repressive nel mese di maggio”, ha sottolineato. “Come risultati dell’Operazione Ágata Amazzonia nel 2024, si stima in 523,9 milioni di reais il danno inflitto al crimine, con circa 3.842 azioni realizzate, tra cui il sequestro di 4,20 tonnellate di pasta base e 697 chili di marijuana, contribuendo così alla diminuzione dei reati transnazionali.” La nota ha sottolineato inoltre che la Marina ha sequestrato più di 1 tonnellata di droga durante una pattuglia sul Rio Içá, il 14 febbraio dell’anno scorso. E l’Esercito ha sequestrato, a Santo Antônio do Içá, 1 tonnellata di marijuana tipo skunk, il 27 febbraio 2025.

 

 

 

venerdì 26 settembre 2025

Identità e contaminazione culturale

 




 

Paolo Cugini

 

Il tema dell’identità e della contaminazione culturale è oggi più che mai attuale, in un mondo globalizzato dove le culture si intrecciano e si trasformano reciprocamente. Da sempre filosofi, scrittori e pensatori hanno riflettuto su questo rapporto, offrendo spunti preziosi per comprendere come la nostra identità si definisca e si arricchisca attraverso il contatto con l’alterità. È nel contesto attuale postmoderno che inizia a scricchiolare l’idea forte e monolitica del concetto di identità personale elaborato nella modernità sia in campo religioso che pagano. La proposta moderna identificava il valore di una persona con l’aderenza all’identità proposta dalla cultura che aveva come caratteristica la permanenza nelle scelte fatte. In questa prospettiva moderna, la persona che desista dal proprio cammino, viene considerata negativamente. In un contesto frammentato, debole e liquido, com’è definita la cultura postmoderna, la proposta di identità assume prospettive diverse.

L’identità non è mai qualcosa di statico, ma piuttosto un processo in continuo divenire. Come scrive il filosofo Zygmunt Bauman: “L’identità è una domanda, non una risposta; la somma delle domande che uno si pone circa se stesso, non la somma delle risposte che trova”. Questa visione mette in luce come l’identità sia una ricerca continua, che si confronta costantemente con il nuovo e il diverso. Questa dinamica rompe definitivamente con la durezza identitaria proposta nella modernità, perché considera il dato storico dell’uomo e della donna e la capacità di reinventarsi a partire dalle provocazioni che il presente dona. In questa prospettiva postmoderna entra in gioco il concetto di contaminazione, come possibilità di accogliere nel cammino della vita le novità che gli incontri esistenziali si presentano nella vita. Contaminazione culturale che è possibile solamente abbandonando di una forma definitiva la mentalità rigida tipica della modernità.

La contaminazione culturale, spesso vista con sospetto da chi teme la perdita delle proprie radici, come avveniva nella modernità, può invece essere fonte di grande arricchimento. Lo scrittore Italo Calvino sosteneva: “La contaminazione delle culture è la condizione stessa della creatività”. In altre parole, solo attraverso l’incontro e il confronto nascono nuove idee e nuove forme di espressione. Non c’è più il desiderio di contrappore un’idea con le altre, in un costante atteggiamento apologetico. La postmodernità sta creando le basi per percepire positivamente la possibilità positiva dell’apporto dei contenuti che provengo altrove, fuori dai nostri cammini. L’identità, in questa muova prospettiva, diviene una possibilità di crescita costante, perché in un continuo atteggiamento di ascolto, attenzione, capace di cogliere la bontà di verità altre.

Anche Tzvetan Todorov, saggista e teorico della letteratura, ha sottolineato come la purezza culturale sia un mito: “Non esiste cultura che sia rimasta pura: ogni cultura è il risultato di molteplici incontri, scambi e contaminazioni”. Questa riflessione ci invita a guardare alla contaminazione non come una minaccia, ma come un elemento costitutivo delle identità stesse. Del resto, è lo stesso processo che osserviamo nella Bibbia, che è tutto fuorché un libro statico. Il Testo Sacro è tutto fuorché un libro derivato da un’unica cultura, da un’unica religione, ma è un crocevia di incontri, di intrecci culturali e religiosi. Chi decide di porre il testo biblico come fonte ispiratrice della propria vita, dovrebbe essere disponibile ad incontrare costantemente altri mondi, capace di accogliere chiunque entri nel nostro orizzonte con parole di significato, anche se non proviene dai nostri recinti.

Lo scrittore francese Albert Camus descriveva il viaggio come metafora della trasformazione identitaria: “Viaggiare è dare un senso alla propria vita, viaggiare è dare vita ai propri sensi”. Nel percorso di incontro con l’altro, la nostra identità si arricchisce, si mette in discussione e trova nuove possibilità di espressione. Camus scriveva questo negli anni ’50 del secolo scorso. Oggi, in un mondo fatto di molti popoli che migrano, l’aspetto del viaggio come elemento che struttura identità nuove, è ancora più vivo. Non viaggia colui o colei che pensa che l’identità sia un valore eterno che dev’essere difeso. Si pone in viaggio, al contrario, colui o colei che ha compreso che l’identità personale è un viaggio, nel senso che ci sono tantissime possibilità di crescita fuori dai nostri percorsi e che esigono di essere colte. Non le potrà recepire le novità della vita chi non si pone in viaggio e rimane seduto nelle proprie sicurezze.

La filosofa contemporanea Martha Nussbaum invita a pensare l’identità come un dialogo aperto: “L’identità non è un confine, ma una soglia: un luogo da attraversare, non da difendere”. Solo attraverso il dialogo e la contaminazione possiamo costruire società più aperte, inclusive e creative. Nussbaum pone al centro del dibattito identitario postmoderno un aspetto fondamentale: il dialogo. Persone dialoganti sono coloro che rimangono aperte al nuovo, che apprendono ad accogliere il positivo di cui è composta ogni cultura. Dialoga chi è disposto/a mettersi in gioco, a lasciarsi contaminare da ciò che proviene da altrove. Dialoga chi ha compreso che la contaminazione è il cammino per essere persone nuove, più autentiche perché plasmate dalla vita.  In un’epoca di grandi migrazioni e scambi culturali, il rapporto tra identità e contaminazione culturale rappresenta una sfida e un’opportunità. Forse il primo passo è proprio quello di accogliere la contaminazione come parte integrante della nostra identità, aprendoci al nuovo senza paura di perdere noi stessi, ma con la consapevolezza di poterci sempre ritrovare, più ricchi e più veri. 

martedì 23 settembre 2025

LA CONTAMINAZIONE CULTURALE NELLA VITA QUOTIDIANA

 




Paolo Cugini

 

Viviamo in un mondo sempre più interconnesso, dove le culture e le religioni si incontrano e si mescolano ogni giorno. Questa realtà non si manifesta soltanto in grandi eventi o nelle dinamiche globali, ma trova il suo terreno più fertile proprio nelle situazioni quotidiane, nei gesti semplici e nelle relazioni che si instaurano tra le persone. È qui che avviene la vera contaminazione culturale e religiosa, capace di trasformare le tradizioni e di aprire nuove vie per l’espressione delle culture altre. Sono le relazioni che avvengono nella vita quotidiana che si producono quelle contaminazioni che modificano le durezze che nel tempo strutturano le tradizioni. Spesso, infatti, le tradizioni tendono a irrigidirsi e a creare barriere che impediscono alle culture diverse di manifestarsi e di essere accolte. Tuttavia, la quotidianità, con la sua semplicità e spontaneità, offre uno spazio privilegiato in cui queste barriere possono essere abbattute. Pensiamo, ad esempio, ai momenti di condivisione tra vicini di casa provenienti da paesi diversi, alle conversazioni tra colleghi, agli scambi tra bambini nelle scuole: sono proprio queste interazioni a generare un terreno di incontro, dove le differenze possono diventare ricchezza e non motivo di esclusione. È la frequentazione quotidiana che ci permette di comprendere e, talvolta, adottare le usanze dell’altro.

Da un punto di vista antropologico, le relazioni quotidiane rappresentano uno spazio privilegiato per l’analisi delle dinamiche culturali. Gli antropologi hanno spesso sottolineato come il contatto diretto e quotidiano tra persone di culture diverse sia il motore principale dei cambiamenti sociali e culturali. In questo contesto, la contaminazione non è vista come un processo negativo, bensì come un’occasione di crescita, di arricchimento reciproco e di evoluzione delle tradizioni. Le relazioni quotidiane diventano, dunque, il laboratorio in cui si sperimentano nuove forme di convivenza, si negoziano identità e si costruiscono nuove possibilità culturali per un popolo. La diversità, vissuta ogni giorno, diventa normalità e offre la possibilità di superare pregiudizi e stereotipi radicati.

È fondamentale, dunque, riconoscere l’importanza delle relazioni quotidiane come spazio privilegiato delle nuove possibilità culturali. Solo attraverso il dialogo, l’ascolto e la condivisione nella vita di tutti i giorni si possono superare le rigidità delle tradizioni e favorire l’emergere di nuove forme di espressione culturale e religiosa. La contaminazione che avviene nelle piccole cose di ogni giorno è il seme di una società più aperta, inclusiva e capace di valorizzare la pluralità.

 

 

sabato 20 settembre 2025

Settembre Giallo 2025: campagna di sensibilizzazione sul tema del suicidio

 




Una campagna che salva vite

 

 

Paolo Cugini

Dal 2014, l’Associazione Brasiliana di Psichiatria – ABP, in collaborazione con il Consiglio Federale di Medicina – CFM, promuove e conquista partner in tutto il Brasile grazie a questa bellissima iniziativa. Il 10 settembre è ufficialmente la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, ma l’impegno prosegue durante tutto l’anno. Il suicidio è una triste realtà che colpisce tutto il mondo e genera gravi danni alla società. Secondo l’ultima ricerca condotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2019, si registrano oltre 700 mila suicidi a livello globale, senza contare i casi non denunciati; si stima, infatti, che il numero reale superi il milione di casi. In Brasile, i dati si avvicinano ai 14 mila casi ogni anno, ossia in media 38 persone si suicidano al giorno. Sebbene i numeri stiano diminuendo in molti paesi, nelle Americhe la tendenza è opposta, con un incremento costante dei tassi, secondo l’OMS. È noto che quasi il 100% dei suicidi è collegato a malattie mentali, soprattutto se non diagnosticate o trattate in modo errato. Pertanto, la maggior parte dei casi avrebbe potuto essere evitata se i pazienti avessero ricevuto cure psichiatriche e informazioni di qualità. Informarsi per imparare e aiutare gli altri è la via migliore per combattere questo problema così grave. È fondamentale che le persone vicine siano in grado di riconoscere quando qualcuno sta pensando al suicidio e sappiano come aiutarlo: ascoltare attivamente senza giudicare, mostrare disponibilità ed empatia, ma soprattutto accompagnarlo da uno psichiatra, che saprà come gestire la situazione e salvare il paziente.



La parrocchia di San Vincenzo de Paoli sono già da alcuni anni che si mobilita per organizzare una giornata di sensibilizzazione con il coinvolgimento non solo delle 7 comunità di cui è costituita, ma anche delle così dette pastorali, vale a dire, i servizi specifici che la parrocchia rivolge ai bambini, ai giovani, oltre che alle altre attività parrocchiali. Nell’evento di quest’anno abbiamo coinvolto anche i rappresentanti del potere politico, dell’Università e delle associazioni locali. Da quest’anno la parrocchia, oltre alle due psicologhe che svolgono un servizio settimanale, ci sono anche quattro studenti del Vo anno di psicologia, che svolgono un servizio gratuito di assistenza psicologica. “Tutti noi dobbiamo impegnarci attivamente - ha ribadito Wanilda, una delle psicologhe che lavora in parrocchia - per sensibilizzare sull’importanza della vita e aiutare nella prevenzione del suicidio, un tema che ancora oggi è considerato un tabù”. Vanessa, l’altra psicologa della parrocchia ha ribadito che: “È importante parlarne affinché chi sta attraversando momenti difficili e di crisi possa cercare aiuto e comprendere che la vita è sempre la scelta migliore. Quando una persona decide di porre fine alla propria vita, i suoi pensieri, sentimenti e azioni diventano molto ristretti: pensa costantemente al suicidio e non riesce a vedere altre soluzioni per affrontare o superare il problema”.



La manifestazione si è concentrata in una piazza del quartiere e, dopo alcuni momenti di canti e balli e di una preghiera, ha continuato per la strada centrale sino a giungere all’altra piazza entrale dove Zé Riccardo, un assessore locale, ha preso la parola spiegando, con i numeri alla mano, la gravità del problema. “Il suicidio è un importante problema di salute pubblica, con impatti sull’intera società. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni anno più persone muoiono per suicidio che per HIV, malaria o tumore al seno – o a causa di guerre e omicidi. Tra i giovani dai 15 ai 29 anni, il suicidio è stata la quarta causa di morte dopo gli incidenti stradali, la tubercolosi e la violenza interpersonale. Si tratta di un fenomeno complesso, che può colpire individui di diverse origini, generi, culture, classi sociali ed età. Secondo i dati della Segreteria di Vigilanza Sanitaria divulgati dal Ministero della Salute nel settembre 2022, tra il 2016 e il 2021 si è registrato un aumento del 49,3% della mortalità tra gli adolescenti di 15-19 anni, arrivando a 6,6 ogni 100 mila, e del 45% tra gli adolescenti di 10-14 anni, arrivando a 1,33 ogni 100 mila”.



Il problema è serio e, nel quartiere Compensa dove abitiamo, i numeri sono i più alti di tutta la città di Manaus. Per questo vale la pena coinvolgersi e sensibilizzare la popolazione. 

La Contaminazione dello Spirito Santo

 



Paolo Cugini

Nel panorama teologico contemporaneo, il tema della contaminazione dello Spirito Santo emerge come una prospettiva capace di mettere in discussione visioni tradizionali e di aprire orizzonti nuovi su ciò che significa essere testimoni della sua azione. La contaminazione, intesa non come impurità ma come dinamismo che supera barriere e confini, diventa una chiave interpretativa per comprendere la presenza dello Spirito nella storia e nella vita umana. L’azione dello Spirito Santo non si limita alle mura della Chiesa, ma si espande, contaminando positivamente il mondo e trasformando la realtà oltre le istituzioni religiose. La storia della salvezza, secondo la visione cristiana, è intrisa della presenza dello Spirito Santo, che agisce in modo imprevedibile e spesso sorprendente. Karl Rahner, uno dei maggiori teologi del Novecento, afferma che lo Spirito «soffia dove vuole» (Gv 3,8), indicando una libertà che trascende ogni struttura umana. Per Rahner, lo Spirito Santo è la grazia increata che ci raggiunge nella profondità della nostra esistenza, e questa grazia non conosce limiti geografici o istituzionali.

Yves Congar, altro autore rilevante, sottolinea che lo Spirito è il protagonista della storia, capace di suscitare novità anche al di fuori delle frontiere ecclesiali. In effetti, la Pentecoste rappresenta l’evento paradigmatico della contaminazione: la discesa dello Spirito sugli apostoli li trasforma e li spinge verso il mondo, superando le barriere linguistiche e culturali. Nel linguaggio comune, la parola contaminazione rimanda spesso a un’accezione negativa, legata all’impurità. In teologia, tuttavia, il termine può essere reinterpretato come apertura, come capacità dello Spirito di entrare in relazione con ciò che è diverso, di fecondare la storia con semi di novità. Leonardo Boff, teologo della liberazione, afferma che lo Spirito è il fermento che trasforma la massa, suggerendo che la contaminazione è il processo attraverso cui la vita divina si insinua nella realtà umana, rinnovandola dall’interno.

Questa visione implica che lo Spirito Santo non sia prigioniero delle forme religiose, ma operi ovunque vi sia sete di verità, giustizia e bellezza. La contaminazione teologica, dunque, è il segno di una fede che non teme di confrontarsi con il mondo, ma vi si immerge per portare luce e cambiamento. L’azione dello Spirito Santo si manifesta non solo nella liturgia e nei sacramenti, ma anche nei luoghi più inattesi: nei movimenti sociali, nei processi di liberazione, nelle scoperte scientifiche e nelle espressioni artistiche. Come ricorda Jürgen Moltmann, lo Spirito è il principio della vita nuova che trasforma il mondo intero. Questa trasformazione non avviene in modo magico, ma attraverso la contaminazione dei cuori e delle coscienze, che diventano capaci di riconoscere il soffio divino anche fuori dagli spazi canonici. Il superamento dei confini ecclesiali non significa abbandono della comunità, ma apertura a una visione più ampia, in cui la Chiesa stessa è chiamata a essere segno e strumento di una presenza che la precede e la supera. Riconoscere la contaminazione dello Spirito Santo implica un cambiamento di prospettiva. Si tratta di passare da una visione centrata sull’istituzione a una spiritualità aperta, capace di scorgere i segni dello Spirito anche dove la tradizione non li aveva previsti. Papa Francesco, in Evangelii Gaudium, invita la Chiesa a uscire da sé stessa per incontrare il mondo, sottolineando che: lo Spirito ci precede nella missione e ci guida verso terre inesplorate. Questa libertà dalle istituzioni non significa anarchia, ma fiducia nella creatività dello Spirito, che continuamente genera novità.

Come diceva Romano Guardini: quando lo Spirito si fa presente, tutto cambia. La contaminazione, allora, è il segno di una fede viva, che non si irrigidisce nelle forme ma si lascia sorprendere dall’azione del Mistero, capace di rinnovare ogni cosa. La contaminazione dello Spirito Santo è una provocazione e una promessa: ci invita a riconoscere la presenza divina che trasforma la storia, a superare le paure e le chiusure, a vivere una fede aperta e libera. Riconoscere l’azione dello Spirito oltre le mura della Chiesa significa accogliere la possibilità di una trasformazione radicale, che investe il mondo intero. In un tempo segnato da cambiamenti e incertezze, lasciarsi contaminare dallo Spirito è forse il modo più autentico di essere cristiani: Dove c’è lo Spirito, c’è libertà (2 Cor 3,17).