martedì 2 settembre 2025

Fisica quantica e il concetto di contaminazione

 




Alcune annotazioni su un possibile percorso interdisciplinare tra scienza e filosofia

 

Paolo Cugini

 

La fisica quantistica è una delle discipline più affascinanti e rivoluzionarie del pensiero scientifico contemporaneo. Allo stesso tempo, il concetto di contaminazione, inteso come mescolanza, interazione, o anche come perdita di purezza, si rivela straordinariamente fertile sia in campo scientifico sia filosofico e culturale. Esplorare il rapporto fra questi due ambiti significa addentrarsi in un territorio dove la distinzione tra soggetto e oggetto, osservatore e osservato, ordine e disordine si fa sempre più sfumata.

Fin dalle origini, la meccanica quantistica mette in discussione i principi della fisica classica. Come scrive Niels Bohr: «Chi non rimane scioccato dalla teoria quantistica, non l’ha capita» (N. Bohr). Il principio di indeterminazione di Heisenberg sancisce che è impossibile conoscere contemporaneamente posizione e quantità di moto di una particella con precisione assoluta. Questa "indeterminatezza" è già di per sé una forma di contaminazione rispetto all’idea di una realtà separata e perfettamente conoscibile.

Un altro concetto cardine è l’entanglement quantistico, descritto da Erwin Schrödinger come «la caratteristica più profonda della meccanica quantistica». Quando due particelle sono entangled, il loro stato non può essere descritto separatamente: qualsiasi azione su una delle due "contamina" istantaneamente lo stato dell’altra, anche a grande distanza. Schrödinger osserva: «Ogni sistema composto cui si applica la meccanica quantistica è necessariamente contaminato dal contatto con il resto del mondo».

In ambito filosofico, la contaminazione è spesso vista come superamento del dualismo e della purezza originaria. Il pensiero di Donna Haraway, ad esempio, suggerisce che «noi non siamo mai stati puri, mai isolati, ma sempre co-costruiti insieme ad altre specie, tecnologie e ambienti» (Manifesto Cyborg, 1985). Analogamente, la fisica quantica ci ricorda che nessun sistema può essere considerato veramente isolato: la semplice presenza dell’osservatore contamina inevitabilmente il fenomeno osservato.

Werner Heisenberg afferma: «Ciò che osserviamo non è la natura in sé, ma la natura esposta al nostro metodo di interrogazione». L’atto stesso di osservare in meccanica quantistica comporta una contaminazione irreversibile dello stato del sistema, poiché l’osservatore e l’osservato sono legati indissolubilmente.

Infine, si può affermare che la contaminazione non è solo perdita di purezza, ma anche fonte di creatività e innovazione. Edgar Morin scrive: «Il pensiero complesso è un pensiero che accetta la contaminazione, l'incertezza, la contraddizione e la pluralità dei punti di vista» (La Méthode, 1977). Nella meccanica quantistica, così come nella cultura contemporanea, la contaminazione diventa quindi condizione necessaria per la generazione di nuove forme di conoscenza. La relazione tra fisica quantistica e il concetto di contaminazione attraversa scienza, filosofia e cultura. Nella realtà descritta dalla meccanica quantistica, la contaminazione non è un’anomalia da eliminare, ma una proprietà essenziale che ci invita a ripensare le nostre categorie di purezza, separazione e identità. Come sostiene Karen Barad: «La questione non è come le cose interagiscono, ma come sono già sempre intrecciate e contaminate nell’essere e nel divenire» (Meeting the Universe Halfway, 2007).

 

lunedì 1 settembre 2025

Jacques Derrida e il concetto di contaminazione nella decostruzione

 




Una riflessione critica sulla decostruzione derridiana e l'interazione fra tradizioni

 

Paolo Cugini

 

Jacques Derrida (1930-2004), filosofo franco-algerino, è universalmente riconosciuto come il padre della decostruzione, una metodologia di lettura e di pensiero che ha rivoluzionato i modi di intendere il testo, il senso e la tradizione. Uno dei punti importanti della sua riflessione è il concetto di “contaminazione”, termine che assume una valenza positiva e strategica non solo nella critica letteraria, ma anche nell’interpretazione dei testi religiosi, dei sistemi di pensiero e delle tradizioni culturali.

La decostruzione, secondo Derrida, è il movimento che evidenzia le tensioni, le contraddizioni e le aporie all’interno di un testo, rivelando come nessuna costruzione teorica, nessun sistema, possa essere considerato puro o autosufficiente. L’idea di contaminazione emerge come antidoto alla logica identitaria e alla ricerca di una origine incontaminata. In Della grammatologia (1967), Derrida afferma che “il testo è sempre già contaminato da ciò che non è lui”, sottolineando che nessun senso può essere pensato come isolato e che ogni significato si genera nell’interazione e nella differenza. La contaminazione, in questo contesto, non va intesa come un difetto o un’intrusione negativa, ma come la condizione stessa della possibilità di senso: “La purezza non è mai data, è sempre costruita contro, per esclusione o per differenziazione di un’alterità che necessariamente la contamina.” (Derrida, La disseminazione, 1972).

Quando Derrida si confronta con la lettura dei testi religiosi, la sua critica della purezza acquista una portata etica e politica. Nel saggio Fede e sapere (1996), Derrida mostra come ogni religione, ogni tradizione spirituale, sia irrimediabilmente segnata dalla contaminazione di altre narrazioni, pratiche, rituali e linguaggi. Non esiste una tradizione religiosa che possa essere separata da influenze esterne; anche i testi sacri sono il risultato di sedimentazioni, traduzioni, interpolazioni e riscritture. “Non c’è nessuna religione che possa affermarsi nella purezza della sua origine: ogni fede è attraversata, alterata, modificata dall’incontro, dallo scambio, dalla traduzione.” (Derrida, Fede e sapere). Questo significa che la ricerca di una “origine pura”, sia in una religione, sia in una cultura, è una costruzione ideologica che serve a delimitare confini identitari e a escludere l’alterità. Al contrario, la contaminazione diventa uno spazio di apertura, di dialogo e di ospitalità. L’approccio derridiano non si limita a una critica epistemologica, ma si traduce in una vera e propria etica della contaminazione. In Addio a Emmanuel Lévinas (1997), Derrida riprende il tema dell’ospitalità, mostrando come l’apertura all’altro e la disponibilità “a essere contaminati” siano le condizioni della giustizia e della responsabilità. “L’ospitalità è sempre la possibilità di essere affetti, trasformati, contaminati dall’altro che accolgo.” (Derrida, Addio). Questa visione si riflette anche nella lettura dei testi religiosi, dove l’interpretazione deve accettare la possibilità di essere “contaminata” da altri sensi, altre tradizioni, altri linguaggi, senza volerli neutralizzare o assorbire. Derrida rifiuta ogni idea di confine rigido tra le tradizioni, proponendo la contaminazione come processo creativo e generativo. In Il monolinguismo dell’altro (1996), la contaminazione linguistica diventa metafora del dialogo tra culture e religioni. La lingua, come la tradizione, è sempre già attraversata da tracce di altre lingue, e proprio per questo è vivente: “Non parliamo mai una lingua pura. Ogni parola, ogni testo, ogni tradizione è attraversata dalla differenza, dalla traccia di un’alterità che la costituisce.” (Derrida, Il monolinguismo dell’altro). In questo senso, la decostruzione mostra che la contaminazione è la condizione stessa di ogni identità: non un pericolo, ma una risorsa.



Quando si leggono i testi religiosi con lo sguardo derridiano, si scopre che ogni sacralità, ogni dogma, è il risultato di una stratificazione storica, di una contaminazione con testi precedenti, paralleli o estranei. La Bibbia, il Corano, i Veda, sono testi che portano la memoria di lingue, tradizioni e culture differenti, e ogni tentativo di purificarli è destinato a fallire. La lettura decostruzionista, dunque, invita a riconoscere le tracce di altre tradizioni all’interno di ogni testo sacro, accogliere la contaminazione come apertura verso nuovi sensi e nuove interpretazioni; vivere la diversità non come minaccia, ma come possibilità di ospitalità e di giustizia.

Anche le pratiche e i rituali religiosi, osserva Derrida, sono il risultato di contaminazioni. Le liturgie cristiane, ad esempio, hanno incorporato elementi pagani, e le festività religiose sono spesso intrecciate con tradizioni popolari e folkloristiche. In Fede e sapere, Derrida scrive: “Le pratiche non sono mai pure: sono il frutto di una moltitudine di incontri, negoziazioni, adattamenti.” Questa consapevolezza permette di superare le rigidità dogmatiche e di accogliere la pluralità come ricchezza. Il tentativo di preservare una tradizione nella sua presunta purezza, secondo Derrida, conduce inevitabilmente all’esclusione, alla violenza simbolica e materiale contro l’altro. La contaminazione, invece, è la via verso una società più giusta perché aperta alla differenza e alla trasformazione. In Politiche dell’amicizia (1994): “Il vero amico è colui che accetta la possibilità di essere affetto, modificato, contaminato dall’altro, senza perdere la propria ospitalità.”

Il concetto di “contaminazione” nella filosofia della decostruzione di Jacques Derrida si rivela un potente strumento per la lettura dei testi religiosi, delle tradizioni e delle culture. Nessuna tradizione, nessun testo, nessuna identità può essere pensata come “pura”, perché ogni senso si produce nell’apertura e nell’ospitalità verso l’altro. Vivere la contaminazione significa accogliere la differenza, riconoscere la traccia dell’altro, e lasciarsi trasformare dall’incontro. È in questa prospettiva che la decostruzione diventa non solo una teoria della lettura, ma una vera e propria etica dell’ospitalità.

 

sabato 30 agosto 2025

LA SOLIDARIETA’ SOTTO ATTACCO





 

La strana alleanza tra i cristiani tradizionalisti americani e l’estrema destra

 

Paolo Cugini


Negli ultimi decenni negli Stati Uniti si è osservato il consolidarsi di un’alleanza tra il cristianesimo tradizionalista e le formazioni dell’estrema destra politica. Questo fenomeno può apparire contraddittorio, soprattutto se si considera che molte delle idee cardine del cristianesimo — come la solidarietà, l’accoglienza del prossimo e la carità — sembrano in aperto contrasto con posizioni che, talvolta, respingono o svalutano questi stessi principi. Tuttavia, questa alleanza si fonda su radici culturali, storiche e teologiche profonde. In queste poche righe provo a spiegare perché una parte significativa di cristiani tradizionalisti americani sostiene ideologie e movimenti di estrema destra, che interpretano la solidarietà in chiave negativa.

Per comprendere il fenomeno contemporaneo, occorre risalire alle origini del rapporto tra cristianesimo conservatore e politica americana. Lo storico Kevin M. Kruse, nel suo libro One Nation Under God: How Corporate America Invented Christian America (2015), sostiene che il connubio tra cristianesimo tradizionale e politiche economiche di destra nasce già negli anni Quaranta e Cinquanta quando, imprese e leader religiosi si unirono contro il New Deal e la crescente influenza dello Stato sociale. Secondo Kruse, a partire da quegli anni il cristianesimo venne progressivamente associato ai valori dell’individualismo, della libertà economica e della diffidenza verso l’intervento pubblico, visti come "minacce" alla libertà dell’individuo.

L’antropologa Kristin Kobes Du Mez, in Como o evangelho foi cooptado por movimentos culturais e politicos (2019), mostra come l’evangelicalismo bianco americano abbia promosso una visione del cristianesimo come baluardo di valori conservatori — autorità, ordine, patriottismo — spesso in contrasto con un’idea di solidarietà collettiva o responsabilità sociale e orientato piuttosto alla difesa della "legge e dell’ordine" contro ogni forma di dissenso o rivendicazione dei diritti civili. Per comprendere perché la solidarietà sia vista in chiave negativa da molte formazioni di estrema destra, è utile fare riferimento al pensiero di Patrick J. Deneen, docente di Scienze Politiche a Notre Dame e autore di Cambio di regime. Verso un futuro post-liberale (2025). Deneen spiega come una parte della destra americana ritenga che i progetti sociali collettivi — spesso associati al termine “solidarietà” — abbiano prodotto, in realtà, solo dipendenza e inefficienza, minando la libertà e la responsabilità individuale. Fra le fonti più citate dai tradizionalisti, c’è anche il pensiero di Ayn Rand, benché non cristiana. Rand, in La virtù dell’egoismo. Un concetto nuovo di egoismo (2023) sostiene la superiorità morale dell’individualismo e considera ogni forma di solidarietà obbligata come una minaccia alla dignità umana. Per Rand, la solidarietà imposta dallo Stato corrisponde ad una forma di schiavitù morale, che priva l’individuo della propria autonomia e lo costringe a farsi carico delle necessità degli altri. Molti leader cristiani tradizionalisti americani hanno integrato, in modo paradossale, questa visione nella loro predicazione pubblica, come sottolinea Michael Sandel in Giustizia. Il nostro bene comune (2013).



Un altro elemento decisivo è l’affermarsi, nel secondo dopoguerra, della cosiddetta "teologia della prosperità" (prosperity gospel), secondo cui il benessere personale e materiale è segno della benedizione divina. Secondo Kate Bowler, autrice di Blessed: A History of the American Prosperity Gospel (2013), questa teologia ha portato milioni di cristiani americani a identificare il successo individuale come volontà di Dio, svalutando ogni forma di solidarietà istituzionale e pubblica, vista come intromissione indebita nella relazione privata tra Dio e il credente.

La Guerra Fredda ha avuto un ruolo centrale nel rafforzare la diffidenza del mondo cristiano tradizionalista verso l’idea di solidarietà. Nel contesto americano, infatti, la solidarietà veniva associata al socialismo o, peggio, al comunismo sovietico. Come sottolinea lo storico David W. Swartz in Moral Minority: The Evangelical Left in an Age of Conservatism (2012), ogni progetto di welfare, redistribuzione o protezione sociale veniva attaccato come potenziale "cavallo di Troia" delle ideologie ateiste e totalitarie. Da qui nasce una retorica che identifica la solidarietà con una minaccia diretta alla fede e ai valori fondanti della nazione e, allo stesso tempo, la minaccia di una possibile entrata del comunismo nel Paese.

Negli Stati Uniti contemporanei, secondo Robert P. Jones in The End of White Christian America (2016), molti cristiani tradizionalisti percepiscono una crisi di valori, accentuata dall’aumento della diversità etnica, dalla secolarizzazione e dalla perdita di centralità pubblica della religione. In questo contesto, l’estrema destra offre una narrazione rassicurante, incentrata sulla difesa di un’identità culturale e religiosa minacciata dagli stranieri, nella quale ogni forma di solidarietà universale viene guardata con sospetto, come se celasse una minaccia all’ordine tradizionale. Da qui si comprende la facile entrata nel pensiero comune americano delle idee dell’attuale Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e del suo disegno politico di purificare l’America dagli immigrati.

Un ruolo chiave è giocato dai media conservatori, come Fox News o The Christian Broadcasting Network, che promuovono una visione in cui le politiche di solidarietà sono rappresentate come strumenti di controllo statale e di corruzione morale. Secondo il sociologo Arlie Russell Hochschild nel libro: Per amore o per denaro. La commercializzazione della vita intima (2016), molti cristiani tradizionalisti si riconoscono in una narrazione che vede l’estrema destra come difensore delle libertà religiose e individuali contro l’oppressivo "politicamente corretto" e le "ideologie globaliste" della solidarietà universale. L’appoggio dei cristiani tradizionalisti americani all’estrema destra che svaluta la solidarietà è il risultato di un intreccio di fattori storici, teologici, sociali e mediatici. Se il cristianesimo delle origini poneva al centro l’amore per il prossimo e la condivisione, quello americano contemporaneo — almeno nella sua versione tradizionalista e politicizzata — ha spesso privilegiato la difesa dell’individuo, della proprietà privata e delle libertà negative, percependo la solidarietà pubblica come minaccia. Preoccupante. 

 

 

martedì 26 agosto 2025

Il campo missionario di otto giovani reggiani nel quartiere Compensa di Manaus

 




Tre settimane di immersione nella realtà amazzonica, tra incontri, difficoltà linguistiche, accoglienza e nuove consapevolezze

 

 

Paolo Cugini

Otto giovani di Reggio Emilia, accompagnati e preparati dal Centro Missionario Diocesano, hanno vissuto tre settimane intense nel quartiere Compensa di Manaus, presso la parrocchia di san Vincenzo di Paola guidata da don Paolo Cugini, prete fidei donum della diocesi reggiana. Un’esperienza che si è conclusa, il 28 agosto 2025, con una verifica collettiva fatta di emozioni, interrogativi e proposte per il futuro.

Elena sottolinea come questa esperienza sia stata una ricchissima occasione di conoscenza, resa ancora più preziosa dall’ospitalità nelle famiglie locali. Tuttavia, la barriera linguistica ha rappresentato una difficoltà concreta: Elena suggerisce con convinzione la necessità di un minicorso di portoghese prima della partenza e desidera che in futuro si possano vivere periodi più lunghi nelle comunità riberinhas, dove il confronto con la realtà locale è ancora più diretto. Una riflessione che la accompagna riguarda la fede profonda degli abitanti, che però spesso si confronta con una povertà culturale dovuta all’assenza di altri libri oltre la Bibbia.



Maya confida che l’impatto iniziale sia stato molto pesante, ma presto la quotidianità condivisa con le famiglie ha permesso di cogliere la bellezza della semplicità e dell’essenzialità. Nascono in lei sentimenti contrastanti: senso di colpa per ciò che la storia europea ha lasciato su questa terra, rabbia per la gestione locale, gratitudine per la libertà e il benessere europeo. Maia riflette su quanto la libertà sia limitata nel quartiere e su come sia necessario vivere questa realtà per comprenderne la profondità. L’importanza di una guida durante l’esperienza viene evidenziata come fondamentale.

Lucia individua nella lingua la barriera maggiore, spesso aggravata dalla difficoltà degli altri a comprendere cosa si cerca di comunicare. Lucia racconta di aver incontrato persone dal passato difficile ma ricco, e nota una differenza di apertura tra Compensa e le comunità riberinhas, dove si percepisce più dialogo. Ciò che più la colpisce è la testimonianza viva della fede, che si concretizza nella vita di tutti i giorni, e l’accoglienza ricevuta, che le insegna a vivere con poco. Le case sulle rive del fiume sembrano lussuose in confronto a quelle del quartiere; la consapevolezza che per molti quella non sia una parentesi ma la vita di sempre la colpisce profondamente.

I giovani con alcune delle famiglie ospitanti


Federica racconta di aver fatto molta fatica a inserirsi e si interroga sulla mancanza di strumenti, nella gente, per porsi domande nuove. Tuttavia, la partecipazione all’incontro dei gruppi giovanili in parrocchia le regala uno dei momenti più intensi, grazie a un coinvolgimento affettivo forte e sentito.

Laura ricorda la paura iniziale e la sensazione di pericolo diffuso, che nel corso delle settimane lascia spazio a una visione più aperta e fiduciosa. L’accoglienza calorosa delle famiglie contribuisce a scardinare molti preconcetti, mentre la lingua resta un ostacolo importante. Laura considera prezioso anche il sostegno della comunità intorno alla parrocchia.

Davide viene colpito dalla sporcizia diffusa e dalla scarsa consapevolezza della stessa da parte della popolazione. Ammira il lavoro del parroco che cerca di rendere concreti gli insegnamenti evangelici nella vita quotidiana. Propone per il futuro maggiore collaborazione pratica con la gente, anche in attività semplici come la preparazione dei pasti.

Visitando una delle zone più degradante del quaritere Compensa 




Giuseppe descrive il clima come pesante e lascia l’Amazzonia con più domande che risposte. Ammira la capacità della comunità di incarnare il Vangelo, che si fa concreto nella solidarietà attorno alla parrocchia. Si interroga su quanto il benessere possa invece rendere le persone diffidenti e distanti e riflette su quanto sia difficile, per sé, abbandonare tutto come suggerisce il Vangelo, meditato con le comunità.

Simone evidenzia come la semplicità della vita e una diffusa ignoranza abbiano avuto su di lui un impatto forte, ma sottolinea anche la grande accoglienza e la differenza nel modo di vivere la fede, dalla messa alla preghiera.

Sulla torre del MUSA dalla quale si vede la foresta amazzonica


Domande, prospettive e sfide future

L’esperienza ha fatto emergere, in tutti i partecipanti, la necessità di una preparazione linguistica più solida. L’incontro con la povertà materiale e culturale, ma anche con la fede viva e la solidarietà concreta, ha lasciato segni profondi e domande aperte: come vivere con meno, come mettere al centro la comunità, come portare a casa uno sguardo nuovo sul benessere e la libertà. Il campo missionario a Manaus si è rivelato un’esperienza trasformante per tutti. Ognuno e ognuna dei giovani ha sperimentato i propri limiti, ha condiviso la vita semplice e autentica della gente di Compensa, ha vissuto il Vangelo incarnato nel quotidiano. E, tornando a casa, porta con sé non solo nuovi pensieri, ma la consapevolezza che il mondo - e il proprio modo di abitarlo - può essere visto con occhi diversi, più aperti e più grati.

 

domenica 24 agosto 2025

La teologia dal basso: una lotta in favore degli esclusi ed emarginati

 




Riflessioni, pratiche e sfide del pensiero teologico che nasce dalla periferia

 

Paolo Cugini

Nell’ambito del pensiero contemporaneo, la teologia dal basso si distingue per il suo approccio radicale e inclusivo. Essa nasce dall’ascolto delle voci che spesso vengono ignorate, dimenticate o volutamente escluse dalle grandi narrazioni religiose: le persone emarginate, i poveri, i migranti, chi vive ai margini economici e sociali. Più che una disciplina accademica, la teologia dal basso è un movimento, una pratica comunitaria che pone al centro dell'indagine teologica le esperienze concrete e sofferte degli ultimi, degli oppressi e degli esclusi. È una teologia dell’ascolto, che pone al centro coro che di solito sono ai margini e si pone in cammino con loro. È importante sottolineare questo approccio esistenziale e relazionale richiede tempo, a volte molto tempo e non è detto che abbia esito. Si tratta, infatti, di avvicinare persone che solitamente non vengono considerate e, per questo, hanno prodotto dinamiche difensive, che ostacolano il dialogo immediato.

La Chiesa cattolica e altre confessioni cristiane hanno iniziato, seppure tra resistenze e contraddizioni, a riconoscere il valore di questa prospettiva. Si è dovuto, infatti, abbattere quelle resistenze sorte da una relazione conflittuale, dovuto alle dinamiche colonizzatrici messe in atto nel tempo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Creare relazioni di uguaglianza, rompendo il clima di sfiducia che si respira, è il primo passo importante per una relazione che possa produrre una riflessine teologica a partire dagli ultimi. Papa Francesco, con la sua attenzione ai poveri, ai migranti e agli esclusi, rappresenta un esempio di apertura verso una teologia che nasce dalla periferia. Le sue parole invitano a “una Chiesa povera per i poveri”, capace di ascoltare il grido degli oppressi e di agire concretamente contro l’ingiustizia.

È importante segnalare che, in molti contesti, parroci e religiose portano avanti progetti di inclusione, scuole popolari, mense sociali, case di accoglienza, laboratori di formazione. Tuttavia, il cammino è ancora lungo: persistono forti resistenze, discriminazioni, chiusure identitarie. La teologia dal basso rappresenta una sfida costante a non dimenticare il volto di chi soffre. È il cammino, del resto, che lo stesso Gesù ha percorso, il cammino dello svuotamento delle proprie categorie culturali che, per noi occidentali, sono di supremazia sugli altri. Svuotamento che ha come conseguenza immediata il farsi piccolo, servo per creare quella relazione paritaria che è l’unica capace di creare ascolto, attenzione autentica.

Questa prospettiva non è esente da critiche. Alcuni teologi e teologhe temono che il messaggio religioso venga ridotto a semplice azione politica o sociale, perdendo la sua dimensione spirituale e trascendente. Altri contestano la radicalità di alcune posizioni, che possono mettere in discussione dogmi e tradizioni consolidate. La sfida della teologia dal basso è mantenere un equilibrio tra la fedeltà al messaggio evangelico e la capacità di innovare, di reinterpretare la fede alla luce dei nuovi bisogni e delle nuove sofferenze. Serve dialogo, apertura, capacità di ascolto e discernimento. La teologia dal basso invita a ripensare profondamente il senso della spiritualità. Non una spiritualità individualista e ripiegata su sé stessa, ma una spiritualità incarnata, vissuta nella lotta quotidiana per la giustizia, la pace, la dignità. La fede diventa cammino, relazione, incontro: la preghiera si fa gesto concreto, la liturgia si trasforma in azione solidale. In questo senso, la teologia dal basso propone una nuova visione di Dio: non il Dio distante e giudicante, ma il Dio che abita le ferite del mondo, che si fa prossimo agli esclusi, che cammina con chi lotta per la vita, che si fa voce dei senza voce.

La teologia dal basso è molto più di una corrente teologica: è un appello alla responsabilità etica e sociale, una chiamata a trasformare il mondo a partire dalle sue periferie. Essa ci ricorda che la fede autentica si misura sulla capacità di riconoscere e amare il volto degli esclusi ed emarginati, di lottare per la giustizia e di costruire comunità accoglienti. In un’epoca segnata da crisi e disuguaglianze, la teologia dal basso invita a non voltarsi dall’altra parte, a raccogliere il grido degli oppressi e a camminare insieme, con coraggio e speranza, verso un mondo più umano e più giusto.

 

sabato 23 agosto 2025

I VESCOVI DELL’AMAZZONIA SCOMMETTONO NELLA CEAMA

 




Il messaggio finale dei vescovi

Articolo di Luis Miguel Modino

Traduzione: Paolo Cugini

 

Un incontro in cui si è voluto “ascoltare e identificare i processi che, ispirati dal Sinodo dell’Amazzonia e dall’Esortazione Apostolica Querida Amazônia, ci hanno permesso di riconoscere i nostri progressi, resistenze, sfide e speranze”, secondo il messaggio. Il documento ringrazia per le parole inviate da Papa Leone XIV, nelle quali egli indica che “la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini (cf. AG 1), il trattamento giusto verso i popoli che vi abitano e la cura della casa comune”.

L’episcopato amazzonico, che si sente “pastori in una Chiesa sinodale”, ringrazia e riconosce la generosa e rischiosa dedizione di numerosi membri del Popolo di Dio nell’Amazzonia, sottolineando l’esempio dei martiri, “una testimonianza viva che ci incoraggia continuamente nella nostra missione evangelizzatrice”. Allo stesso modo, vengono valorizzati i progressi significativi “nell’ascolto, nell’articolazione delle diocesi, nella rivitalizzazione dei vari consigli, nella pianificazione pastorale e nella formazione teologica, spirituale, ministeriale e pastorale che cerca di rispondere ai segni dei tempi”. Insieme a ciò, “una maggiore consapevolezza in relazione all’ecologia integrale, al bioma, alla difesa del territorio e ai diritti dei suoi abitanti, in particolare dei popoli originari”, affrontando le minacce che subiscono per la loro difesa dell’ecosistema amazzonico, così importante per la vita delle loro comunità.

Resistenze e paure

Il messaggio riflette sulle resistenze e le paure di una Chiesa sinodale con volto amazzonico, che si manifestano nella mancanza di discernimento e in un certo autoritarismo, clericalismo e scarso spirito missionario, nonché nella poca disposizione e audacia ad andare verso le periferie.

I vescovi si sentono spinti a “essere strumenti di comunione, comunicazione e sinodalità” e chiamati a generare priorità sinodali per la regione, oltre che a crescere in spirito profetico. Tutto questo in “una Chiesa centrata sul Battesimo, da cui sono nate tutte le vocazioni e i ministeri”. In essa, i pastori dell’Amazzonia si impegnano ad ascoltare e condividere “con sensibilità le culture e le spiritualità dei popoli che la abitano”. Un atteggiamento che nasce dall’essere terra e dalla crisi climatica generata da un trattamento irresponsabile e irrispettoso. Ciò spinge i vescovi a rinnovare il proprio impegno per l’ecologia integrale e la cura della casa comune, a camminare con le comunità e a imparare dalla saggezza ancestrale dei popoli indigeni. Di conseguenza, il messaggio sottolinea che “l’Amazzonia non è una terra vuota da sfruttare; è una terra abitata, amata e custodita da generazioni, ed è luogo della presenza di Dio”.

Vescovi che camminano con il popolo

Nella Chiesa dell’Amazzonia, i suoi vescovi affermano di camminare insieme, “prendendosi cura dei nostri fedeli ed essendo accuditi da loro”, schierandosi al fianco del popolo, “condividendo le gioie e le sofferenze delle nostre comunità, imparando dalla loro fede semplice e dalla loro testimonianza di essere sale e luce della terra (cf. Mt 5,13-14), lasciandoci sostenere dalla loro vicinanza e dalla loro preghiera”.

L’episcopato amazzonico riconosce la CEAMA come “spazio privilegiato di comunione, discernimento e missione” e si impegna “a farla crescere, rafforzarsi e consolidarsi, affinché sia un’opportunità di servizio e di rinnovamento per ogni comunità cristiana della regione, e segno di speranza per tutta la Chiesa”. Per questo, puntano su programmi di formazione e auspicano di trovare forme di sostenibilità economica. Un impegno che affidano all’intercessione di Maria, Madre dell’Amazzonia.

 

giovedì 21 agosto 2025

BOGOTA': INCONTRO DELLA CONFERENZA ECCLESIALE DELL'AMAZZONIA

 





Articolo di Luis Miguel Modino

Traduzione: Paolo Cugini


Incontro della CEAMA: “le voci dei Vescovi dell’Amazzonia siano accolte, ascoltate e considerate”

La Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia (CEAMA), “uno dei frutti del Sinodo”, secondo l’arcivescovo di Manaus e presidente della Regione Nord 1 della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB Nord 1), ha convocato i vescovi dell’Amazzonia per un incontro dal 17 al 20 agosto, a Bogotá.

Il cardinale di Manaus, Mons Leonardo Steiner considera Querida Amazonia come “un testo straordinario che potrà ancora aiutarci molto in futuro.” Ha sottolineato la necessità della presenza delle chiese particolari nella CEAMA, poiché non può rimanere limitata a un gruppo. Nonostante i progressi, l’arcivescovo di Manaus afferma che “abbiamo ancora molta strada da percorrere affinché diventi davvero una conferenza ecclesiale.” Ecco l’importanza di questo incontro, data la necessità per tutti di entrare nello spirito del Sinodo, lasciare che questo spirito raggiunga le nostre diocesi, le nostre chiese particolari, le nostre comunità.

L’arcivescovo di Manaus ha evidenziato il lavoro sinodale svolto dai vescovi dell’Amazzonia brasiliana. Per questo motivo, “questo nostro incontro è un’occasione per affermare la CEAMA, per consolidarci come una Chiesa realmente ecclesiale, cioè sinodale. Una Chiesa che ascolta le comunità, una Chiesa che sa ascoltare i laici, ascoltare la Vita Religiosa, ascoltare tutti.” Ha riflettuto sulla diversità ecclesiale, che aiuta a costruire la Chiesa sognata da Papa Francesco, una Chiesa che si preoccupa veramente dei piccoli. Una Chiesa che si preoccupa dei popoli originari.



Parimenti, il cardinale Steiner ha sottolineato la necessità di essere sempre più una Chiesa profondamente incarnata. Ha detto ai vescovi che “nelle nostre persone, nel nostro ministero sono presenti le nostre chiese, le nostre comunità. Non saremmo vescovi se non fossimo nelle nostre diocesi, nelle nostre comunità.” Questo fa sì che l’incontro sia un’opportunità affinché la CEAMA sia profondamente sinodale e sia una Chiesa realmente e profondamente ecclesiale. La partecipazione dei laici diventi sempre più profetica, sempre più ministeriale.

Dal canto suo, il prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, cardinale Michael Czerny, ha dichiarato che “la gestazione e la nascita della Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia (CEAMA) sono state un vero miracolo.” Ha sottolineato, nella CEAMA, che la sua missione è stata definita in relazione a una pastorale condivisa e inculturata che si doveva promuovere tra le diocesi amazzoniche.

Da qui la rilevanza di questo incontro dei vescovi dell’Amazzonia, che ha come obiettivo rendere grazie per tutto questo e, allo stesso tempo, approfondire la loro chiamata, riscoprire la loro vocazione e la loro missione in modo più maturo, e stimolare una nuova tappa nel loro cammino. Il cardinale Czerny ha evidenziato che nella CEAMA i suoi membri e partecipanti non sono solo vescovi, ma rappresentano tutte le vocazioni all’interno del Popolo di Dio, essendo “una Chiesa non solo di ministeri, ma anche di carismi”, seguendo la proposta di Aparecida che ha affermato che i laici devono partecipare al discernimento, alle decisioni, alla pianificazione e all’esecuzione” della vita e della missione di tutta la Chiesa.

Una realtà che dimostra “una brillante e creativa accoglienza latino-americana, sia del Concilio Vaticano II, che dei Sinodi sull’Amazzonia (2019) e sulla Sinodalità (2023-2024); abbracciando la diversità e potenziando la complementarità; oltre a invitarci a implementare dinamiche comunicative proprie di una Chiesa sinodale. Ha insistito che il fatto di essere ecclesiale non rende questa conferenza meno episcopale, e ha invitato a concentrarsi sulla Chiesa locale, dove la Chiesa modella “la propria identità nell’ascolto e nel dialogo con le persone, le realtà e le storie del territorio”, come indicato in Querida Amazonia.

Il cardinale Czerny ha invitato ad aggiungere alla CEAMA la dimensione pastorale e territoriale, che “significa superare la concezione dell’Amazzonia come mero luogo geografico e iniziare a comprenderla come luogo della presenza e rivelazione di Dio”, il che implica la necessità di una fede che “non è neutra né astratta, ma inculturata.” Insieme a questo, c’è un invito perché la CEAMA, più che fare, assuma il ruolo di coordinare, articolare e facilitare per aiutare le chiese locali ad affrontare le principali sfide pastorali e realizzare la loro missione. È per questo che l’incontro mira a far sì che le voci dei Vescovi dell’Amazzonia siano accolte, ascoltate e considerate, e che la CEAMA ridefinisca la propria traiettoria, rilanciando, accompagnando e aiutando le chiese locali a realizzare la propria missione.

 

sabato 16 agosto 2025

INIZIATI I LAVORI NEL PROGETTO DELLA COMUNITA' CRISTO RE

 




I giovani di Reggio Emilia, preparati dal Centro Missionario per un’estate alternativa, arrivati questa settimana si stanno già dando da fare.

In primo luogo, è bene sottolineare che, la scelta fatta assieme al CMD di trascorrere i 20 giorni non in una struttura, ma vivendo nelle famiglie delle comunità della parrocchia, ha trovato un riscontro favorevole negli stessi giovani che nelle famiglie ospitanti. Che cosa sta dicendo a loro questa esperienza lo scriveranno alla fine. Dalla calorosa accoglienza delle famiglie (ma quanto sono accoglienti i brasiliani!) e delle comunità si capisce che la presenza di questi giovani è colta come un momento molto positivo nelle loro vite.

Sabato mattina si sono trovati a svolgere un lavoro in quella comunità che avevo presentato durante i due mesi trascorsi in Italia: Cristo Re (questo è il link in cui spiegavo il progetto: https://regiron.blogspot.com/2025/06/delle-sale-per-la-comujita-cristo-re.html ). È in questa comunità che, nella parte sottostante alla chiesa, vorremo costruire delle sale che serviranno per la cucina della Caritas e altri progetti sociali, oltre che per la catechesi. Lo spazio era piuttosto in disordine. I giovani del CMD, assieme ad alcune persone della comunità, hanno lavorato sodo per ripulire il territorio e lasciare lo spazio il più possibile pulito per poter iniziare i lavori che dovrebbero partire lunedì.

Qui di seguito alcune foto che testimoniano il prezioso lavoro svolto questa mattina. 












martedì 12 agosto 2025

PRIME IMMAGINI DEI GIOVANI DEL CMD DI REGGIO EMILIA A MANAUS

 


Sul ponte del Rio Negro

colazione in una famiglia della comunità san Pietro

visitando la strada del mercato

davanti alla cappella di Cristo Re prima della distribuzione della zuppa



sul tetto della chiesa di san Pietro