domenica 19 maggio 2024

FAÇA BONITO – UN EVENTO PER SENSIBILIZZARE CONTRO L’ABUSO E LO SFRUTTAMENTO SESSUALE DEI MINORI

 




 

Paolo Cugini

 il 18 maggio è in Brasile la “Giornata nazionale contro gli abusi e lo sfruttamento sessuale dei bambini e degli adolescenti”. Istituita dalla Legge Federale 9.970/00, la data è un traguardo che segna la lotta per i Diritti Umani dei Bambini e degli Adolescenti nel territorio brasiliano e ha già raggiunto centinaia di municipi del Brasile.

L’obiettivo dell’evento è quello di guardare più da vicino le molteplici esigenze di rivisitazione delle politiche finalizzate al Servizio nel Brasile, oltre a evidenziare la data per mobilitarsi, sensibilizzare, informare e chiamare l’intera società a partecipare nella difesa dei diritti dei bambini e degli adolescenti.




La nostra parrocchia di San Vincenzo de Paoli da anni in questa data organizza una manifestazione per sensibilizzare la popolazione. La segretaria della parrocchia Wanilda, che è anche una delle due psicologhe che lavorano negli spazi della parrocchia per attendere ai tanti casi di necessità di salute mentale e anche di abusi sessuali, ha creato una serie di incontri tra i coordinatori delle pastorali che hanno a che fare con i bambini e i minori: catechesi, pastorale dei bambini, dei giovani, chierichetti. Sabato 18 maggio c’è stato un momento di incontro nella piazza vicino alla chiesa in cui lentamente sono confluite 6 comunità, per poi procedere in processione sino alla chiesa di san Vincenzo dove, ad accoglierci, c’erano i membri della comunità ospite. In chiesa abbiamo cantato, ballato e poi ascoltato una psicologa che lavora nell’archidiocesi di Manaus Selma Regina Medeiros. Ecco di seguito alcune sue parole:

La psicologa Selma


“È giunto il momento di rivedere le pratiche e le interpretazioni relative all’assistenza alle vittime e ai testimoni di violenza sessuale e quali sono i passaggi da seguire dopo aver denunciato. In questo senso ci siamo chiesti durante l’evento: abbiamo una rete preparata ad accogliere i casi? Comprendiamo la legislazione attuale? Il bilancio pubblico è sufficiente per attuare le politiche pubbliche nei nostri molteplici Brasile? È necessario e urgente garantire a tutti i bambini e gli adolescenti il ​​diritto allo sviluppo in modo sicuro, protetto e libero da abusi e sfruttamento sessuale. La violenza sessuale commessa contro bambini e adolescenti comporta diversi fattori di rischio e vulnerabilità quando si osservano indicatori sociali quali relazioni di genere, razza/etnia, orientamento sessuale, classe sociale, luogo di residenza (rurale o urbano), condizioni economiche e fattori generazionali”.

 


​“Dobbiamo quindi essere sempre consapevoli – ha continuato la psicologa Selma - che in questa violazione dei diritti si instaurano rapporti di potere in cui sia gli adulti che/o le reti di sfruttamento utilizzano bambini e adolescenti per soddisfare i loro desideri e fantasie sessuali e/o per ottenere vantaggi economici e profitti. In questo contesto il bambino o l’adolescente viene trattato come una “cosa” e non come un soggetto di diritti. Si tratta di “oggettivazione”, o addirittura di disumanizzazione di infanzie e adolescenze private di umanità e protezione. È inoltre importante sottolineare che la violenza sessuale è classificata in due tipologie, abuso sessuale e sfruttamento sessuale”.

La stupenda giornata è terminata alle ore 20 con la veglia di Pentecoste.




 

 

sabato 18 maggio 2024

Ripensare la violenza di genere in una società multiculturale e nelle migrazioni

 

 


Progetto a cura di Maschile Plurale sostenuto con i fondi Otto per Mille dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

 

 

Roma 22 maggio dalle 9,30 alle 17.30

Scout Center Largo dello Scautismo, 1 (Metro Bologna- staz Tiburtina)

Una giornata di confronto tra esperienze concrete, analisi teoriche, percorsi politici ed esistenziali e proposte di cambiamento.

Interverranno:

Marie Moïse - John Cabot University , Rodolfo Pesaresi - Civico Zero Roma, Mackda Ghebremariam Tesfau - Iuav, Maddalena Cannito - UniTo, Giuseppe Burgio UniKore, Adil Mauro - giornalista, Francesco Della Puppa - UniVe, Paola Patuelli - FMP Ravenna, Dany Carnassale, Angelamaria Toffanin - CNR, Martina Rosola, Marisa Iannucci


Allarme violenza di genere e politiche xenofobe

 

 

Lo stigma sociale

nell’esperienza dei giovani migranti

 

 

Il patriarcato attraverso diverse culture


 

Il genere come terreno di conflitto

nelle culture e tra culture

 

 

L'esperienza de* migranti in un nuovo contesto di genere

 

 

Esperienza migratoria e modelli di genere tra cambiamento e richiami identitari


Gli intrecci tra revanchismo maschile e spinte xenofobe

I diritti di ogni persona e i processi di cambiamento, tra stigma, paternalismo e approcci neocoloniali

La rappresentazione di un Occidente devirilizzato e la nostalgia di un tempo in cui le donne, beni di proprietà e non soggetti autonomi, “stavano al loro posto”, si mescolano con un’affermazione di superiorità dell’Occidente civilizzato e civilizzante ma anche con l’invidia paradossale per un Islam percepito come quel luogo archetipico di controllo e disciplina dei corpi e del desiderio, compreso quello maschile, che “c’era prima anche da noi”.

E questo nesso comune fra un passato a cui tornare, della sessualità e del desiderio maschile come qualità “bestiale” da controllare nelle relazioni con le donne per bene, si riversa poi sulle altre donne o sessualità , oggetto di disprezzo razzista e di una fantasia di sfogo violatoria e degradante: oggi con la schiava della tratta o con la sessualità non binaria ed eteroconforme su cui esercitare dominio, violenza e pratiche sessuali umilianti, ieri con la bambina delle colonie su cui l’italiano civilizzatore agiva quella violenza che “per loro è normale”.

Non riconoscere le intersezioni fra queste diverse declinazioni della medesima struttura di dominio produce, con le altre distorsioni, grottesche ambiguità di sistema che in nome della difesa –quasi sempre formale- dei diritti civili, delle donne e dei generi, si appella all’islamofobia. Un tangibile e reale mondo al contrario che alimentando il senso di invasione e la paranoia per un inesistente “regime del politicamente corretto e del pensiero unico crea, anche nelle giovani generazioni di


uomini, irreali minacce su posizioni e ruoli sociali inevitabilmente in mutamento, proponendo in definitiva politiche securitarie, reazionarie e meno diritti per tutt*.

E questa erosione è e sarà inevitabilmente più impattante su chi può accedere con maggior difficoltà –o addirittura non può- a tali diritti basilari, ossia proprio le persone migranti: una violenza sociale ed istituzionale che nega la loro soggettività, rende “illegali” le loro vite, non ascolta le loro storie, i loro bisogni le loro competenze.

È tuttavia urgente integrare l’attività di accoglienza e accompagnamento con una più consapevole elaborazione dei riferimenti normativi, di genere e dell’esperienza conflittuale vissuta da ragazzi, giovani adulti e uomini, nel confronto fra il proprio contesto di origine e fra i ruoli, le rappresentazioni e i linguaggi propri delle relazioni tra i sessi e i generi nella nostra società: un lavoro da arricchire necessariamente con una sensibilizzazione e un confronto anche in ambito interreligioso.

Pensiamo infine che la cultura delle radici, nella quotidianità sia delle persone razzializzate o con background migratorio che di chi accoglie, non si sviluppa da una realtà monolitica, omogenea ed immutabile, ma crea una costante rielaborazione che quelle persone fanno della propria origine, del proprio vissuto e delle proprie aspirazioni; attualmente questa rielaborazione manca di strumenti, spazi e parole che la orientino verso la costruzione, la tessitura e lo sguardo aperto verso il molteplice, la novità e le insospettabili numerosissime comunanze alla base del genere Umano.

§  Come promuovere i diritti di ogni persona, sollecitare processi di cambiamento ed

evitare rappresentazioni stigmatizzanti, paternalistiche e neocoloniali?

§  Come ripensare gli interventi di contrasto della violenza e di coinvolgimento degli uomini nella promozione di nuove relazioni di genere in una società multiculturale e a fronte dei processi migratori in atto?

§  Come affrontare le problematiche di genere connesse ai fenomeni migratori e alla società multiculturale?

§  Come supportare operatori/trici sociale nell’accoglienza e nell’interculturalità?

§  Come promuovere una diversa percezione dei giovani migranti?

§  Come affrontare le diverse maschilità nella gestione dei servizi di accoglienza e nelle dinamiche di una società multiculturale?

§  Che prospettiva e che rappresentazione proporre ai giovani migranti e ai giovani di seconda generazione per una identità di genere in divenire?

mercoledì 15 maggio 2024

VEGLIA DI PREGHIERA PER IL SUPERAMENTO DELL'OMOTRANSBIFOBIA VENERDI 24 MAGGIO 2024

 


Ancora oggi, nelle nostre comunità cristiane è importante pregare per superare la violenza dell'omotransfobia. L'invito è rivolto a tutti perché possiamo essere segni di cambiamento e abbattere muri fatti di indifferenza, di odio e di violenza per costruire ponti di amicizia e pace.

Interverranno alla veglia di preghiera: Massimo Battaglio coordinatore del progetto Omofobia.org "cronache di ordinaria omofobia" e don Andrea Bigalli coordinatore per la pastorale d'inclusione dell'arcidiocesi di Firenze.

E tu veglierai con noi? Ti aspettiamo

domenica 12 maggio 2024

Pre-Fospa critica petrolio e gas in Amazzonia nel contesto dell’emergenza climatica

 




Paolo Cugini


L'evento tenutosi svoltosi a Manaus ha riunito più di 60 entità per discutere sul presente e sul futuro dell'Amazzonia

Più di 60 entità che difendono la socio diversità e l'ambiente si sono incontrate questo sabato (11), a Manaus, per discutere del presente e del futuro dell'Amazzonia. I dibattiti hanno avuto luogo nell'undicesima edizione del Pre-Forum Social Panamazônico (Pre-Fospa), evento che precede il Social Forum Panamazônico (Fospa) che, quest'anno, si svolgerà tra il 12, 13, 14 e 15 giugno, a Rurrenabaque e San Buenaventura, in Bolivia. Il programma si è svolto presso la sede dell'Istituto Nazionale di Ricerca sull'Amazzonia (Inpa) e ha visto la partecipazione di indigeni, attivisti ambientali, sacerdoti, suore e ricercatori della regione. L'auditorium gremito era decorato con una serie di striscioni, tra cui uno lungo circa quattro metri con la frase “Amazzonia, la nostra casa comune”. Poiché si è svolto sotto le piogge che hanno già ucciso almeno 136 persone nel Rio Grande do Sul, nel contesto del cambiamento climatico, il dibattito sull'adattamento a questa nuova realtà è stato un tema trasversale in tutte le discussioni. Questo perché Amazonas è un altro Stato che soffre di questa “nuova normalità”, considerando anche la storica siccità del 2023 è già associata al cambiamento climatico.  La presidente dell'Articolazione delle Organizzazioni e dei Popoli Indigeni dell'Amazzonia (Apiam), Maria Baré, afferma che è contraddittorio vedere investimenti in attività che causano danni all'ambiente mentre il pianeta ha già punito la popolazione a causa dell'azione umana.

È importante diversificare la matrice economica dell’Amazzonia? Sì molto. Ma esistono potenziali alternative sostenibili dal punto di vista socio-ambientale. Quando il governo dell'Amazzonia vende sogni alla Conferenza sul clima di Dubai, parla di bioeconomia, mostra progetti sulla carta, è bello, ma sono soluzioni false”.



Secondo Maria Baré, le organizzazioni che compongono Pre-Fospa pubblicheranno una lettera con avvertimenti ai governi riguardo alla conservazione della socio-biodiversità. Uno dei punti sarà quello di allertare sui rischi ambientali delle attività di esplorazione di petrolio e gas.

Abbiamo visto il governo investire nell’attività mineraria, ma questa attività in Amazonas non ha avuto successo. Basta guardare a Coari, che 38 anni dopo l'esplorazione petrolifera, continua ad avere una serie di problemi di fondo, con molta povertà. Ora questo stesso “sviluppo” viene promesso a Silves, dove si esplora il gas, e ad Autazes, nel caso del potassio”.

Il direttore dell'Inpa, il professor Henrique Pereira, ritiene che lo svolgimento del Pre-Fospa presso la sede dell'organismo costituisca un'opportunità per rafforzare la convergenza delle agende socio-ambientali con il lavoro svolto dai ricercatori dell'istituto federale.



La missione dell’Inpa è proporre soluzioni per lo sviluppo della regione; quindi, sono molto felice che possiamo individuare soluzioni per questi movimenti sociali. L’Inpa si arricchisce anche accogliendo e ascoltando le richieste di questi movimenti provenienti da tutta l’Amazzonia”, sottolinea.

 

Il Social Forum Panamazônico (Fospa)  è nata come contrappunto agli incontri del Forum Economico Mondiale (FEM), fondato nel 1971, che riunisce ogni anno aziende e governi per discutere del futuro dell’economia del pianeta. Il World Economic Forum si occupa dell’economia per il profitto, per il mercato, qualcosa di predatorio. E poi è arrivata Fospa per dire che l’Amazzonia ha un altro tipo di economia, che deve essere sostenibile. Fospa è una risposta alla FEM.

 

mercoledì 8 maggio 2024

IMPARARE A GIOCARE FUORI CASA

 



Nuove sfide della pastorale nelle parrocchie

 

Paolo Cugini

 

Abbiamo sempre lavorato in casa, nei nostri spazi parrocchiali per i quali abbiamo fatto notevoli investimenti. Per chi ha un po' di memoria ecclesiale, non è stato papa Francesco ad invitarci ad uscire e a parlare della Chiesa in uscita. Senza dubbio le sue parole hanno scosso le comunità, provocandole ad un esame di coscienza, ad interrogarsi sull’identità missionaria della Chiesa. Comunque, già il Convegno di Palermo del 1995 invitava a portare il Vangelo ai giovani là dove si trovavano, a portare l’oratorio nelle piazze, nei bar, nelle palestre. Oggi gli operatori pastorali sono in grande difficoltà, perché si trovano con le case vuote e con la difficoltà ad uscire. Una cosa, infatti, è giocare in casa: tutt’altra cosa è andare in trasferta. In casa siamo noi che abbiamo il pallino in mano e decidiamo le regole. Fuori casa le regole le detta chi vive la piazza, la panchina, il bar. In casa siamo i padroni, fuori casa siamo ospiti. Il lavoro pastorale in uscita, nei luoghi esistenziali esterni al perimetro ecclesiale, esige un cambiamento di paradigma che si declina in alcune scelte nuove. Il primo e fondamentale consiste nel frequentare i luoghi esistenziali di un territorio. Se gli oratori sono vuoti e le stanze della canonica disabitate, occorre mettersi in cammino, uscire, frequentare questi spazi altri. Chi lo deve fare? È una decisone che dovrebbe prendere il consiglio pastorale. Non è solo il prete che deve uscire, ma la comunità.

 Non basta, comunque, uscire: occorre creare relazioni, creare sintonie e empatie per giungere a farsi consegnare i contenuti. Questa scelta rivela la fiducia che ci sono cose buone che non gestiamo direttamente noi, ma che esistono al di fuori di noi e del nostro controllo. Lo Spirito Santo, infatti, agisce senza bisogno di chiederci il permesso e fa delle cose belle. Un primo aspetto della Chiesa in uscita è la scoperta dell’azione dello Spirito Santo fuori dagli stretti recinti della Chiesa. È quel tipo di azione che il Concilio Vaticano II indicava come frutti delle sementi del Verbo, sparso dal Padre in ogni dove e in ogni tempo. Questi contenuti altri, che troviamo nelle persone incontrate sulla strada sono cose nuove per noi, sulle quali vale la pena soffermarsi. Per questo cammino di condivisione di contenuti altri, l’atteggiamento necessario è l’ascolto attento, il fare spazio, affinché il nuovo possa trovare l’ambiente adatto a manifestarsi. È proprio di questa che in definitiva si tratta: una manifestazione, una rivelazione. Sulle strade del mondo., che solitamente non frequentiamo, incontriamo qualcosa di nuovo, di mai ascoltato, di mai incontrato. Questo motiva la nostra azione, il nostro uscire, lo sforzo di scrollarsi di dosso l’abitudine, l’aver sempre agito allo stesso modo. Questo, a mio avviso, è uno degli aspetti più interessanti che il nuovo contesto scristianizzato e post-cristiano ci offre: ci obbliga ad uscire, ad osare strade nuove, che esigono modalità nuove e, per questo spirito di adattamento.

Chi esce dal tempio per mettersi in cammino sulle strade del mondo si rende conto che la propria casa necessita di essere riordinata. Soprattutto, si rende conto che, nel ritorno, dovrà immediatamente aprire le finestre per togliere l’aria viziata, ammuffita, aria di cose vecchie. L’incontro con ciò che prima non entrava nei nostri orizzonti ci permette di vedere la nostra realtà con occhi nuovi e ci fa comprendere la necessità di rinnovarci, di sistemare ciò che con il tempo si è arrugginito e anche il coraggio di buttare ciò che non serve più. Vengono in mente le parole del profeta Isaia: Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? (Is 43, 19).

martedì 7 maggio 2024

QUANDO I GENITORI PERDONO IL CONTROLLO DEI PROPRI FIGLI

 





ASPETTI DEL DISAGIO SOCIALE

 

Paolo Cugini

Dodici Morelli (FE), ottobre 2022

 

Mi è capitato questa estate in alcune circostanze all’interno delle attività pastorali organizzate dalle parrocchie per i bambini e i ragazzi delle superiori, di avere la sensazione che alcuni genitori non avessero la capacità di gestire i propri figli. Ciò avviene quando il genitore non riesce più a guidare il proprio figlio, la propria figlia, non riesce più a farsi ubbidire. In alcuni casi, ho assistito alla penosa scena del figlio che sgrida il genitore, e quest’ultimo non reagisce dinanzi alle ingiurie del figlio. Che cosa è successo? Come si può arrivare ad una simile situazione? Prima di dire qualcosa sulle cause, vorrei soffermarmi sulla gravità del caso.

Quando il genitore perde il controllo sui propri figli, a livello sociale si apre un dramma. Viene, meno, infatti, la possibilità di un patto educativo, che dovrebbe vedere coinvolte tutte le agenzie educative di un territorio: la scuola, la famiglia, la chiesa, la società sportiva, la piazza. Venendo meno il genitore, sparisce l’anello fondamentale e il ragazzo diviene una mina vagante nel senso letterale del termine: può scoppiare in ogni momento.

In questi anni vissuti in questo territorio, purtroppo ne ho isti parecchi di ragazzi scoppiare. Son adolescenti fragili, ma che si atteggiano con arroganza come se fossero i signori del territorio, per il fatto che hanno alle loro spalle non genitori che li accompagnano in un cammino educativo, ma che sono loro complici, oppure, e capita spesso, sono totalmente assenti. Un adolescente che scoppia ne trascina con sé altri, anche perché il fascino della trasgressione negativa è contagiante a questa età. Una bravata adolescenziale assume grandi significati simbolici che, se non letti in tempo, possono generare, anzi degenerare, in una serie di vandalismi che, con il tempo, diventano incontrollati.

La soluzione plausibile che intravedo in questi casi non sta nelle istituzioni, ma in quegli adulti che in diversi campi come lo sport, l’associazionismo, la religione, sono abituati a relazionarsi e ad agire in modo gratuito e disinteressato. Tutti, infatti, vedono le situazioni negativi generate da questi adolescenti a rischio, ma nessuno si muove e. questo non solo per paura, ma soprattutto per menefreghismo. Chi fa un passo verso questi ragazzi fragili è quell’adulto che è abituato a prendersi a cuore le persone più fragili, che sa vedere dove la situazione può sfuggire di mano. Solitamente questi adulti non agiscono da soli, ma sono parti di gruppi – sportivi, religiosi, associativi, ecc.- e, di conseguenza, spesso riescono a coinvolgere altri in questo lavoro di recupero sociale e individuale.

Un aspetto importante che ho imparato nel tempo è che l’adolescente che fa delle bravate, oltre a farlo per attrarre l’attenzione su di sé, che è una forma di linguaggio non verbale, una sorta di grido di aiuto, non ha gli strumenti umani per reggere un confronto con un adulto che prova ad accompagnarlo. Ciò significa che, spesso e volentieri, l’adolescente cede alla distanza, soprattutto quando incontra un adulto che cerca di comprenderlo, che si pone sul suo cammino evitando il giudizio e, soprattutto, quando capisce che l’adulto non ci molla. Nella mia storia di educatore di strada, mi è capitato speso d’incontrare adolescenti estremamente aggressivi nei miei confronti e, alla distanza, divenire miei amici o, addirittura, miei collaboratori.

Conclusione. Se nei nostri paesini incontriamo adolescenti che passano le giornate seminando il panico, cerchiamo di non perdere la pazienza e proviamo a metterci in cammino con loro. In fin dei conti, con quelle gesta scomposte, stanno semplicemente chiedendoci aiuto.

giovedì 2 maggio 2024

Tra rovine e macerie a Iranduba (Manaus) restano fermi i lavori della Città universitaria

 





Paolo Cugini

 

A circa undici anni dall'inizio dei lavori, i lavori sono fermi senza alcun piano di ripresa. Tra rovine e macerie, i lavori nella Città universitaria continuano a fermarsi a Iranduba, una cittadina che dista circa 20 km da Manaus, capitale dello Stato dell’Amazzonia. Tra rovine, muri incompiuti e materiali da costruzione al suolo, tutto sembra inesorabilmente abbandonato,, senza una data di completamento prevista dopo 11 anni dall'inizio della costruzione. Il progetto, che avrebbe dovuto ospitare circa duemila studenti, è stato proposto come un grande complesso urbano con spazi residenziali e commerciali, oltre ad aree ricreative, turistiche, servizi pubblici e alloggi per il campus UEA. L'area assegnata per i lavori corrisponde a 13.000.000 mq.

I costi iniziali del progetto erano preventivati ​​in 300 milioni di R$ (60 milioni di euro), ma l'ultima stima rilasciata dallo Stato sul valore calcolato per la continuazione del progetto, nel 2017, prevedeva l'utilizzo di 700 milioni di R$. Attualmente, essendo la ripresa dei lavori ancora in fase di studio, non sono previsti costi futuri. Anche dalle informazioni del Portale Trasparenza emerge che circa il 70% dei lavori della prima fase sono stati realizzati, ma non è quello che vediamo quotidianamente, anzi.



La costruzione della Cidade Universitária fu annunciata nel luglio 2012 dall'allora governatore Omar Aziz. I lavori furono sospesi durante il governo del governatore José Melo, poiché non c'erano risorse sufficienti per l'esecuzione. Secondo il Portale Trasparenza il termine originario per la consegna dei lavori avrebbe dovuto essere di un anno.

Oltre al danno causato agli studenti e ai professionisti dell’istruzione che utilizzerebbero lo spazio, l’abbandono del progetto ha generato anche impatti ambientali. Per chi visita l’ambiente circostante all’edificio abbandonato, la sensazione è di disastro ecologico. L’area, infatti, utilizzata per compiere i lavori è vastissima. Impressionante è il percorso stradale realizzato a sei corsi con tanto di marciapiedi. Uno sperpero di risorse immane oltre al danno all’ambiente circostante.



Ancora incerti i prossimi passi per quanto riguarda gli interventi nella città universitaria. Con una nota, il Governo di Amazonas ha informato che sta studiando la possibilità di utilizzare la struttura già realizzata nel progetto Cidade Universitária per ospitare il primo Parco Tecnologico dello Stato. Secondo il governo, l'UEA sta lavorando per realizzare uno studio di fattibilità tecnica e per attirare investimenti finanziari per realizzare i lavori. Oggi, mentre passavo in visita al territorio, c’era solo un trattore al lavoro. Un po' poco per terminare un’opera faraonica come quella pianificata tredici anni fa e che avrebbe dovuta essere pronta in un anno. 

Pluralismo religioso. Alcune riflessioni sul paradigma post-teista

 





Paolo Cugini

La critica radicale al pensiero dogmatico e alle forme rigide della religione apre uno spazio nuovo per il pluralismo religioso, spesso bloccato proprio da questioni teologiche considerate irrinunciabili. L’impostazione post-teista permette di vedere il mondo religioso non dalla parte di chi deve difendere una roccaforte, ma di chi desidera camminare insieme. In questa nuova prospettiva, i contenuti specifici delle religioni, prima di essere patrimonio esclusivo e identitario di un gruppo di persone, diventano possibilità di confronto e di crescita con altre comunità religiose. Il paradigma post-teista permette di considerare i contenuti specifici di ogni religione come cammini aperti ad ogni possibile incontro. C’è un clima di libertà religiosa che aiuta a vedere la religione dell’altro non come rivale o nemico, ma come alleato. In questo modo le religioni acquistano la possibilità di realizzare uno degli aspetti fondamentali della loro esistenza, vale a dire, essere dei costruttori di ponti di pace. Quando le religioni aiutano i popoli a vedere negli altri dèi fratelli e delle sorelle, è possibile giungere a collaborare insieme per divenire costruttori di un mondo di pace.

Riportando Dio in terra, il paradigma post-teista può considerare la scienza non come ostacolo per il raggiungimento del bene, ma alleata. Da sempre la religione è stata identificata como portatrice di una conoscenza non reale, in quanto portatrice di contenuti che vanno oltre i dati materiali. L’immanenza di ciò che sino ad ora era considerato nel cielo, permette uno sguardo più sereno e conciliatore con la realtà. Le religioni possono ora collaborare con la scienza per aiutare a proteggere la terra, attraverso una mistica che considera la terra come una madre, così come da secoli propongono le religioni indigene. In questo modo, le religioni divengono partecipi del progetto di salvezza dell’ecosistema, minacciato da una visione strumentale della realtà, stimolato dai saperi separati che diventano ottusi. La visione olistica della realtà riesce a recuperare la percezione che tutto è interconnesso e, per questo, tutti siamo coinvolti nel progetto di salvezza del cosmo. Il paradigma post-teista permette, in questo modo, può aiutare le religioni a pensare cammini spirituali fedeli alla terra, in sintonia con il cosmo, per la salvezza del creato.

La prospettiva post-teista, inoltre, apre la strada ad ogni tipo di contaminazione. Se è vero che, nonostante le rigide osservanze dogmatiche, che da sempre si sono poste contro ogni forma di assimilazione di contenuti considerati altri e, quindi, non plausibili, le contaminazioni sono sempre avvenute, ancora di più sarà possibile nel nuovo paradigma post-teista. Con buna pace dei difensori del purismo religioso, i sincretismi sono all’ordine del giorno e continueranno a realizzarsi. La contaminazione religiosa rivela la sintonia, più che l’opposizione ideologica, tra i contenuti delle religioni. L’antropologia delle religioni da anni studia il fenomeno mostrando che, quanto più chi vive la religione è lontana dai centri di potere, tanto più la comunità è libera di assimilare contenuti altri, ritenendoli propri. La fine della religione dogmatica, così com’è attualmente pensata all’interno del paradigma post-teista, permette ad ogni religione di vivere pienamente uno degli aspetti della propria identità, che consiste nell’essere spazio aperto per tutti. La contaminazione religiosa, prima di essere un problema, è un’esigenza interna perché rivela la bontà della fonte religiosa stessa, l’identità pacifica del Mistero che percepiamo presente nella storia.

Il pluralismo religioso stimolato dalla prospettiva post-teista, infine, crea uno spazio nuovo per la politica. Sappiamo come le religioni hanno spesso fornito le motivazioni per forme autoritarie e violente di mantenimento del potere politico. L’Occidente moderno è stato caratterizzato da numerose guerre religiose. Anche oggi, in alcune zone del mondo, le guerre hanno matrice religiosa. il paradigma post-teista può contribuire a disinnescare le forme di violenza stimolate dalle religioni tradizionali, quando si sentono minacciate nel cuore della propria identità. Per questo motivo, va incentivata la ricerca del paradigma post-teista e, allo stesso tempo, va favorito sempre più lo spazio che permette ai contenuti religiosi di contaminarsi e, in questo modo, di attutire le correnti più rigide che ogni religione produce, soprattutto, quando sente minacciato il proprio specifico identitario.

 

martedì 30 aprile 2024

FENOMENI SATURI DI DIVINO

 




Paolo Cugini

 

Se il divino si manifesta nello spazio dei fenomeni fisici e quindi anche nell’orizzonte umano, perlomeno è questo che la fenomenologia della religione ci insegna da anni, significa che non c’è bisogno di sacralizzare il fenomeno. Che cos’è infatti ciò che chiamiamo sacro? È il rivestimento umano delle manifestazioni del divino, o perlomeno, è il tentativo umano di circoscrivere il divino. Il sacro, infatti, nasce dalla mentalità religiosa che, come ci ha ricordato Rudolf Otto, è un sentimento che manifesta la relazione dell’uomo con quei fenomeni misteriosi che non trovavano una spiegazione logica. L’esplosione di vulcani, i terremoti, i fulmini, ma anche la presenza di bestie feroci, che terrorizzavano il villaggio: insomma, tutto ciò che creava un sentimento di timore individuale e collettivo provocava la necessità di proteggersi da queste forze irrazionali. È a questo punto del percorso umano che nasce la percezione di una realtà che è al di fuori delle possibilità umane e che devono essere escogitati degli strumenti, da una parte per proteggersi da quello che nei diversi popoli e con diversi nomi possiamo indicare con “Dio”; dall’altra, per ottenere benefici da questa forza misteriosa che l’uomo non può controllare, ma solo attutitire attraverso riti.

Secondo gli studiosi di quella corrente di pensiero teologico sorta recentemente chiamata post-teismo, l’idea di Dio così come l’ho brevemente descritta, sorge molto tempo dopo l’apparizione dell’uomo e della donna sulla terra. Ciò significa, secondo la loro ricerca, che l’uomo e la donna hanno vissuto molto più tempo senza Dio che con il divino. Sappiamo che la ricerca storica, archeologica che analizza la situazione della preistoria è molto scarsa di dati e anche un’affermazione come questa non è per nulla documentabile, ma può essere fatta solo per supposizioni. In ogni modo, può essere utile per comprendere che l-idea di Dio così come ´utilizzata in tutti i popoli non è un dato obiettivo, ma una costruzione umana, che risponde a necessità specifiche. Questo è, perlomeno, l’idea che emerge dagli studi post-teistici e che corrispondano alle affermazioni dei primi filosofi della Grecia antica come Senofonte. Seguire in modo radicale questo pensiero porterebbe ad affermare l’esclusione della possibilità di una rivelazione, di contenuti, cioè, che verrebbero da altrove e che s’imporrebbero alla nostra coscienza. Il problema è capire se la ricerca storico-critica può andare per altri percorsi nella ricerca delle origini dell’esperienza religiosa e, in modo particolare, se è possibile argomentare sulla religione a partire da quegli eventi, quelle situazioni che presentavano degli aspetti non totalmente spiegabili con la ragione umana.

Diceva Jean Luc Marion che esistono fenomeni saturi che lasciano intravedere una presenza che è qualitativamente diversa e che provoca la ricerca verso il significato di questa qualità, di questa diversità. E’ in questo modo che è possibile cogliere fenomenologicamente il sacro. Questo tipo di percorso ammette la presenza di dati rivelati. Ci sono dei contenuti che vengono da altrove: è questa l’esperienza di coloro che incontrano fenomeni saturi, il cui contenuto non è possibile spiegare solamente con i dati della ragione e della scienza. C’è qualcosa di più, di qualitativamente inspiegabile, qualcosa che non sembra appartenere a questo mondo. I post-teisti ci ricordano che il paradigma teista sorge all’interno di un contesto culturale in cui esiste un cielo come luogo separato dalla terra e che dopo la rivoluzione copernicana il cielo non esiste più. Possiamo anche essere d’accordo su questa analisi, ma ciò non toglie la percezione di elementi che hanno caratteristiche che sfuggono ai dati a nostra disposizione: vengono da altrove.

Secondo Marion: “Una rivelazione merita questo titolo solo perché rimane incommensurabile per coloro che la accettano”. Quello che propone Marion è un cammino nel quale vale la pena entrare, perché provoca una riflessione su quello che, in modo generico, viene definita un’esperienza religiosa che, a suo dire, non può che essere un’esperienza di rivelazione.